De Gasperi: il coraggio e la pazienza

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Dunque, l’Italia è stata una Repubblica presidenziale, sia pure solo per due settimane; e il primo Capo provvisorio dello stato non è stato Enrico De Nicola ma Alcide De Gasperi. Il quale, peraltro, non ha fatto nulla per essere ricordato in tale veste nei libri di storia, ben altri e di più ampio respiro essendo i suoi meriti davanti al paese. E tuttavia non è privo di interesse il fatto che il richiamo ad un passaggio quasi del tutto oscurato della nostra vicenda politica sia stato riportato alla luce dal Presidente della Repubblica in carica, Sergio Mattarella, e che ciò sia avvenuto in occasione della lectio svolta a Pieve Tesino, luogo natale dello statista democristiano, il 18 agosto scorso anniversario della sua scomparsa avvenuta nel 1954.

Due fronti attuali

Perché la scelta di ingrandire questo fotogramma? Sarebbe già un merito se l’intenzione fosse quella di uscire dalla rete dei luoghi comuni di una letteratura degasperiana registrata sul modulo (andreottiano) del garante della continuità dello stato dopo la disgregazione del fascismo e sull’impianto (fanfaniano) del “ricostruttore” che favorisce l’avvento del vero “riformatore”.

Un discorso commemorativo è difficile da scrivere e da interpretare, perché deve contemperare il tema storico con le urgenze dell’attualità. D’altra parte, è opinione comune che «la storia è sempre contemporanea» e non è arbitrario ricercare nel testo quel che, oltre la cronaca, l’autore ha voluto comunicare.

Il tributo all’attualità politica è stato sobrio, con due riferimenti: l’Europa e le frontiere in rapporto alle migrazioni. Sul primo punto Mattarella ha scelto di marcare il carattere volontaristico delle scelte compiute nella costruzione dell’Unione. Che è frutto – ha detto – «non di banche e transazioni economiche» ma dell’azione «di uomini politici e di parlamenti lungimiranti». Per cui, «soltanto la nostra miopia nel riconoscere il bene comune» potrà distruggere l’edificio.

L’altro spunto è stato svolto con il riferimento all’accordo De Gasperi-Gruber che, nel 1946, consentì a Italia e Austria di regolare in modo stabile e lungimirante la condizione delle minoranze di lingua tedesca nella regione di confine, costituendo un modello valido per tante situazioni consimili. Era un riferimento d’obbligo dato che l’incontro si svolgeva in Trentino, ma non era obbligatoria la sottolineatura del significato della “sdrammatizzazione” della frontiera del Brennero, in un momento in cui la pressione migratoria offre esca ai cattivi pensieri di ripristino.

Le due virtù del politico

Della figura di De Gasperi, il proprium dell’intervento Mattarella ha messo a fuoco essenzialmente due caratteristiche, presentate come requisiti importanti dell’agire politico: il coraggio e la pazienza.

De Gasperi dette prova di coraggio quando, dopo il referendum del 1946, che aveva scelto la Repubblica, dovette fronteggiare, da Presidente del Consiglio, le contorsioni dell’establishment monarchico e dello stesso monarca Umberto II che contestavano, in sostanza, la validità del voto e miravano a riaprire la partita. E qui Mattarella riporta la testimonianza del ministro Bracci che assistette al colloquio decisivo tra il re e il presidente: «È quasi commovente – così si espresse – quest’uomo mite, che non ha origini repubblicane e che, da galantuomo, affronta deciso e sereno la lotta contro la corona per obbedire al popolo».

In quella circostanza de Gasperi aveva dalla sua soltanto l’esito del voto popolare stentatamente convalidato dalla Corte di Cassazione. Molti speravano (o temevano) che si sarebbe avventurato in un problematico tentativo di mediazione. Invece non ebbe esitazioni; e lo fece perché convinto che – come spiegò più tardi – «solo il popolo è l’artefice del proprio destino». Il popolo, non una dinastia fondata su un presunto diritto divino.

E questo coraggio lo confermò nella decisione, che fece adottare al Consiglio dei ministri, con cui detronizzò il re assumendo, come la legge gli consentiva, i poteri di Capo dello stato. Poteri che mantenne fino all’elezione di De Nicola, avvenuta a fine giugno. E che utilizzò, tra l’altro, per dichiarare estinto il Senato (di nomina regia) e per approvare la grande amnistia di pacificazione predisposta dal guardasigilli Togliatti.

Una storia di determinazione politica degna di figurare tra gli esempi contenuti ne I profili del coraggio di J.F. Kennedy. Una storia che sarebbe stata confermata nel 1953, dopo il mancato scatto della «legge truffa» quando – come è stato recentemente ricordato da Luigi Berlinguer – De Gasperi rifiutò il riconteggio dei voti accettando la sconfitta politica al di là di ogni certificazione numerica.

 Il tema della pazienza è abbordato sempre in connessione con il trapasso dalla monarchia alla repubblica, anche qui sulla base di una testimonianza di un democristiano che chiede di affrettare i tempi e si sente rispondere che occorre evitare che… il treno si ribalti. De Gasperi non amava “i gesti gladiatori” anche se – come si è visto – sapeva decidere. Dire che «la principale virtù della democrazia è la pazienza» non era un elogio dell’inerzia o un esercizio di controllo degli impulsi, e neppure un tener conto delle «lentezze dell’uomo». Era semplicemente un «esercizio della speranza».

Il concetto è convalidato dalla bella citazione di un discorso del 1948: «Non abbiamo il diritto di disperare dell’uomo, né come individuo né come collettività; non abbiamo il diritto di disperare della storia». È il testo in cui respinge la tentazione di perseguire la giustizia sociale indipendentemente dalla libertà politica e dai tempi che essa richiede. Dove l’invito alla pazienza pare rivolto alle forze della sinistra; ma, simmetricamente, si dovrebbe ricordare che De Gasperi, sempre in nome della «pazienza democratica», si oppose all’idea di mettere fuori legge il Partito Comunista come pure gli era richiesto da diverse sponde. Nella sua visione tripolare (Mattarella la chiama “trialistica”) egli contrastava decisamente le spinte antisistema, ma non accettava di farlo al di fuori del contesto di democrazia che gli era caro.

Per quale disegno?

Elogio del coraggio, dunque, ed elogio della pazienza. A servizio di quale disegno? Anche qui Mattarella offre una citazione preziosa. Riguarda il programma dell’Assemblea Costituente ed è importante evocarla perché a De Gasperi si è spesso imputato di aver trascurato la preparazione della Carta. Dice De Gasperi che l’Assemblea «creerà nella Costituzione una repubblica di tutti, che si difende ma non perseguita, sarà equilibrata nei suoi poteri, fondata sul lavoro ma giusta verso tutte le classi sociali, riformatrice ma non sopraffattrice, rispettosa delle libertà delle persone, dei Comuni, delle Regioni». Soprattutto quel «fondata sul lavoro» merita attenzione. Fino ad ora ci si era accapigliati sulla paternità della formula dell’art. 1: se la Repubblica democratica fondata sul lavoro fosse un’idea di Fanfani o delle sinistre costituenti. Ora sappiamo che l’ispirazione veniva dal Capo dello stato, Alcide De Gasperi, nel primo e probabilmente ultimo discorso pronunciato in tale veste.

Chiosa finale. Mattarella giustamente ricorda che i governi di De Gasperi dal 1945al 1953 realizzarono importanti riforme e altre ne misero in cantiere. È esatto ma non basta. Occorrerebbe aggiungere, guardando a quel che è accaduto dopo, che la stagione degasperiana è stata la più ricca di interventi riformatori dell’intero settantennio repubblicano. Ma questo è l’argomento di un’altra narrazione.

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