Il discorso della regina

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La regina Rania di Giordania al Forum Ambrosetti, 7 settembre 2024 (ANSA foto)

La regina Rania di Giordania lo scorso 7 settembre è intervenuta al Forum Ambrosetti di Cernobbio, sul lago di Como. Nel suo breve e appassionato discorso, ha portato all’attenzione internazionale la disumanità dell’orrore che si sta consumando a Gaza, proponendo cinque punti chiave per aprire in modo serio e costruttivo una strada che possa portare alla risoluzione del conflitto israelo-palestinese.

Motivi di fondo: sfiducia globale e doppio standard morale

A fare da sfondo al discorso della regina, l’attuale situazione internazionale, dominata da un clima generalizzato di sfiducia.

Le regole e i riferimenti morali cui l’Europa stessa, dopo le brutalità delle guerre mondiali, aveva contribuito in modo decisivo a dare forma, i principi sanciti dalla Dichiarazione dei Diritti Umani, di cui Nazioni Unite e Corte Internazionale di Giustizia dovrebbero essere garanti, vengono continuamente disattesi. Il diritto umanitario è applicato in modo selettivo, le risoluzioni dell’ONU vengono ignorate, i tribunali internazionali vengono intimiditi e sminuiti, i pareri consultivi della Corte Internazionale di Giustizia sono ignorati o respinti: tutto ciò crea una condizione di sfiducia e di disordine globale in cui nessuno può dirsi realmente al sicuro.

La risposta di Israele all’orrendo attacco di Hamas dell’ottobre dello scorso anno si è tradotta in una guerra che ha progressivamente normalizzato un’inimmaginabile sofferenza della popolazione civile:

«La Striscia di Gaza, un’area grande appena un terzo di Roma, è stata colpita con circa 70.000 tonnellate di bombe – più di tutte le bombe sganciate su Londra, Amburgo e Dresda durante tutta la Seconda Guerra Mondiale. Oltre 40.000 palestinesi sono stati uccisi – la maggior parte donne e bambini. Quasi 100.000 sono rimasti feriti. Questa guerra ha prodotto il più grande gruppo di amputati infantili della storia; i medici descrivono l’orrore di dover amputare bambini troppo piccoli per camminare. Secondo Save the Children, si stima che oltre 20.000 bambini siano dispersi, detenuti, sepolti sotto le macerie o in fosse comuni».

È la disumanizzante morale del doppio standard: un’ingiustizia che in Occidente non potrebbe in nessun modo essere tollerata – occupazione, oppressione e violenza –, in Palestina viene da decenni impunemente perpetrata sotto gli occhi della comunità internazionale; l’Europa, che si fa carico di difendere i diritti del popolo ucraino, abbandona i civili innocenti di Gaza ad una punizione collettiva senza precedenti.

Per ricostituire fiducia nei valori di cui l’Europa è stata promotrice, facendosi «campione del diritto internazionale e dei diritti umani, guadagnandosi benevolenza, rispetto e potere persuasivo e dolce in tutto il mondo», è necessario agire – ha affermato la regina Rania in modo accorato –, non solo per fermare il bagno di sangue che si sta consumando in Palestina, ma anche per tracciare una strada migliore, una strada che tutti, davvero, possano percorrere. Una strada che respinga i doppi standard, esiga responsabilità e si impegni ad aprire un percorso comune verso la pace.

I cinque punti della regina

Avviare processi che portino ad una pace giusta e sostenibile non è un compito semplice e non è possibile se non partendo da una base condivisa, fondata su una serie di principi fondamentali cui tutti possano concordare e aderire.

Sono cinque, secondo Rania, i punti indiscutibili da porsi a fondamento di tutte le iniziative di pace.

  • Il diritto internazionale deve prevalere senza eccezioni.

Poiché nessuno può dirsi neutrale, è necessario ancorare l’impegno alla pace su una base di neutralità che solo il diritto internazionale è in grado di garantire. Il diritto internazionale è il minimo imprescindibile di ogni negoziazione – il che significa, tradotto concretamente, «far rispettare le risoluzioni vincolanti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e rispettare le opinioni e l sentenze dei tribunali internazionali, anche quando sono politicamente scomode».

  • L’autonomia, la dignità e i diritti umani sono universali e assoluti.

I diritti umani non devono essere guadagnati e non sono negoziabili, per nessuno. «La pace non può essere creata adottando le maniere forti contro una parte più debole, costringendola ad accettare condizioni sfavorevoli».

  • Affinché la giustizia prevalga, bisogna assumersi la responsabilità.

Individui, istituzioni e nazioni devono sentirsi chiamati a rispondere di ciò che fanno, l’impunità non deve prevalere. Generiche parole di condanna non sono sufficienti, rimangono su un piano ideale e non politico, mentre «per raggiungere la giustizia, dobbiamo colmare il divario tra principio e pratica».

  • Una pace giusta rende la sicurezza reciproca.

Gli stati possono trovare condizioni di sicurezza solo quando vivono nella pace. È assurdo pensare di garantire la sicurezza ai propri cittadini, negandola ai cittadini di altri stati. Solo una pace giusta può spezzare il ciclo vizioso «repressione, risentimento, rappresaglia».

  • Le voci estreme – indipendentemente da dove provengano – devono essere escluse dalla conversazione.

Il futuro non può essere tenuto in ostaggio dagli estremismi e dagli estremisti, non possono essere loro a dettare la conversazione.

Fili intrecciati

La riflessione della regina Rania si sostanzia di brevi citazioni, intrecciate con sapienza alla trama del discorso – dalla giornalista del Washington Post Karen Attiah, a Shimon Peres, al procuratore capo della Corte Penale Internazionale Karim Khan.

Ed è come un ricamo in filigrana l’accorato invito finale, che vive dello stesso desiderio di pace della canzone più famosa di John Lennon e Yōko Ono:

«L’Europa può contribuire a promuovere una via migliore da seguire, una in cui il nostro sistema internazionale produca giustizia, non favoritismi, dove gli ideali immutabili prevalgano sugli interessi a breve termine e dove tutti i soggetti coinvolti siano più attenti al costo umano della guerra che al costo politico della pace.

Immaginate di raccogliere i frutti di quel futuro.

Immaginate di essere un genitore in quella Palestina. In quell’Israele. Nessuno stomaco vuoto o sedie vuote a tavola. Nessun senso paralizzante d’incertezza. Nessun motivo di animosità tra due popoli, che vivono fianco a fianco nella sacra luce della pace».

Il discorso della regina si chiude citando un brevissimo verso della poetessa palestinese-americana Naomi Shihab Nye, «È tardi… ma tutto viene, dopo».

La poesia si intitola Jerusalem.


Il discorso della regina Rania può essere ascoltato o letto integralmente a questo link.

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2 Commenti

  1. Laura 16 settembre 2024
  2. Chiara 16 settembre 2024

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