L’annuncio per il prossimo autunno di un nuovo giornale (Domani) finanziato da Carlo De Benedetti e diretto da Stefano Feltri suggerisce qualche riflessione sull’editoria e i giornali in Italia, sulle intenzioni e la collocazione del nuovo giornale e sull’informazione religiosa oggi.
All’indomani della Seconda guerra mondiale i partiti politici filo-occidentali hanno dovuto fare i conti con la presenza del partito comunista che raccoglieva un terzo dei consensi del paese. Questo ha comportato una parallela spaccatura dell’opinione pubblica spingendo la stampa comunista (L’Unità, Paese sera) a una qualità che permettesse loro di conquistare consensi al di là del bacino elettorale per competere con i giornali «borghesi».
E questi ultimi a raffinare la loro proposta per ottenere il contrario. La borghesia italiana, in gran parte compromessa con il regime fascista, si era schierata con il sistema repubblicano, ma tenuta sotto controllo dall’iniziative industriali para-statali e dai suoi manager. Il riferimento finanziario era Mediobanca e la Banca Commerciale. Di fatto la maggioranza di governo e alcuni privati controllavano i giornali, mentre il PCI controllava i suoi.
Ideologia e informazione
Il sistema si rompe agli inizi degli anni ’70. Il colpo di stato in Cile contro il presidente socialista Allende attesta che il sistema americano non è disponibile ad accettare un governo con simpatie sovietiche. Un avvertimento al PCI italiano che vede aumentare i suoi consensi con i moti di protesta del ’68. Nasce l’idea del compromesso storico di Moro e Berlinguer per «normalizzare» il PCI e integrarlo nel governo del paese. In parallelo si ridefinisce il sistema informativo dei giornali. Nasce Repubblica di Eugenio Scalfari. Il giornale diventa voce dell’istanza governativa della sinistra e del cambiamento d’orizzonte culturale della borghesia e del ceto medio. Un tentativo riuscito. Tanto da svuotare L’Unità, ridotta ad essere la voce del vecchio PCI.
Le altre testate giornalistiche si ricollocano fra centro e centro–destra, ma rapidamente (anni ’80) giornali come La Stampa e il Corriere della sera si spostano più a sinistra per inseguire Repubblica in uno spazio di consenso che si amplia significativamente.
La destra politica è presidiata solo da Il Giornale di Montanelli. Intanto si capovolgono i rapporti fra Repubblica e PCI. Non è il giornale che insegue il partito, ma il partito che insegue il giornale. L’inversione delle forze fra politica e informazione apre, nel decennio successivo, la possibilità di riuscita per le reti televisive di Silvio Berlusconi. Esse, diversamente dalle reti di stato, che restano centriste ed equidistanti nel dibattito politico, prendono decisamente una posizione a favore del partito socialista di B. Craxi.
Un’azione di sostegno che Berlusconi devia a proprio vantaggio pochi anni dopo creando Forza Italia e affondando la «prima Repubblica». Facilmente riconoscibili i due blocchi dell’informazione giornalistica: il primo intorno alle reti Fininvest a favore del centro-destra, mentre Repubblica, il Corriere e gli altri giornali sono più favorevoli al centro-sinistra.
Questioni di stile
Le reti di Berlusconi e il giornalismo limitrofo sdoganano una nuova cultura e nuove modalità informative. Esse perdono i riferimenti garbati e paludati mirando alla «pancia» della gente. Quello che prima era una cultura di serie B (barzellette, divertimento, slogan, offese) prende il centro della scena ed erode progressivamente l’informazione più seria. L’effetto di trascinamento è vistoso. La rivoluzione telematica la accelera.
Piattaforme come Facebook, Twitter e simili, danno a chiunque lo spazio di sentirsi opinionista. La comprensione di questo meccanismo e la canalizzazione dei consensi sono alla base del successo del movimento Cinque stelle, che, senza giornali e senza televisioni, ottiene un larghissimo seguito anche elettorale.
Tuttavia rimaneva e rimane uno spazio di offerta e di produzione di informazioni per i decisori politici ed economici. Essi hanno bisogno di informazioni più solide e affidabili di quelle disponibili sulle piattaforme digitali e sulle televisioni commerciali. Informazioni minoritarie ma determinanti per guidare le classi dirigenti italiane e quelle straniere sull’Italia. I lettori e le tirature diminuiscono, la qualità media si abbassa e la domanda di qualità resta aperta.
Si consolida il rapporto Repubblica e sinistra politica e quello del «berlusconismo» con il centro-destra. Si crea lo spazio di alleanza tra alcuni giornali e il movimento 5S. La legittimazione e il consenso sulle piattaforme digitali comprime ed esalta la richiesta qualitativa. Non bastano i voti per una egemonia culturale che ha bisogno di argomenti più solidi veicolati dai media «tradizionali». A inseguire il movimento 5S ci hanno provato vari giornali ma oggi appare esserci un consolidamento più organico con Il Fatto Quotidiano. Il prestito di due milioni e mezzo al giornale garantito dal Fondo centrale di garanzia del Ministero dello sviluppo economico (cf. Libero, 12 giugno) sembra attestarlo.
Il Corriere della sera, baluardo della borghesia illuminata milanese e riferimento per una parte delle classi dirigenti, sembra cercare, giorno dopo giorno, il suo spazio specifico, in parte debitore degli interessi commerciali del suo amministratore delegato, U. Cairo. È il quadro internazionale ha produrre il cambiamento più recente.
La crescita impetuosa della Cina, la potenza militare russa e il parziale ripiegamento sovranista degli USA crea l’opportunità di una rinnovata alleanza «atlantica» a garanzia degli interessi di lungo termine del paese (oltre che degli interessati). USA e Unione Europea non sono più un dato inevitabile, ma si configurano come scelta. In questo spazio si comprende l’acquisto (dicembre 2019) da parte della finanziaria Exor N.V. della famiglia Agnelli (John Elkann) del gruppo editoriale GEDI della famiglia De Benedetti comprendente Repubblica, La Stampa, Il Secolo XIX, l’Espresso e altri giornali locali.
L’interesse economico più immediato sembra essere il maxi-prestito da 6,3 miliardi di euro al gruppo FCA (Fiat Chrysler) da parte di Intesa San Paolo e garantito dello stato (Sace Simest) anche in ordine alla fusione con il gruppo PSA francese. Assicurati gli affari e l’ancoraggio atlantico rispetto alle aleatorie simpatie russo-cinesi di Lega e 5S, gli indirizzi politici dei giornali non dovrebbero mutare in maniera significativa.
Domande inevase
Fra gli interessi e i riferimenti valoriali si è prodotta un’inversione che mette in sofferenza la qualità professionale. Mentre fino agli anni ’90 i giornali avevano comunque una posizione ideale e valoriale in grado di condizionare gli interessi più immediati, nella «seconda Repubblica» gli interessi industriali e politici tra giornali e proprietari si intrecciano molto più strettamente. Si assottiglia lo spazio per una stampa sufficientemente libera e indipendente. Giornali e giornalisti sono sempre più di parte e condizionati dagli imprenditori.
Il calo vertiginoso delle copie e l’ancora scarsa redditività delle edizioni on-line riduce gli spazi per le assunzioni e spinge non tanto a costose indagini e inchieste, quanto a denuncie di scandali, più o meno veri. Una polverizzazione e frammentazione morale del giornalismo, specchio della polverizzazione delle classi dirigenti e politiche in Italia. Persino gli extra-rivoluzionari del movimento 5S che volevano aprire le istituzioni come scatolette di tonno sembra l’abbiano fatto, ma per mangiarselo.
All’incrocio fra domanda di serietà professionale, di notizie e commenti affidabili, di uno spazio d’indipendenza fra Repubblica e Il Fatto e di collocazione del paese nella nuova egemonia «post-atlantica» si pone la difficile – per alcuni improbabile – sfida del giornale annunciato: Domani.
Senza il prodotto non ancora disponibile si può fare affidamento solo sulle comunicazioni ai nuovi abbonati. Dichiarazioni d’intenti che attendono la verifica. Spinta alle inchieste (in parte sovvenzionate dai lettori), temi privilegiati (ambiente, salute, lavoro, disuguaglianze), distanza dai palazzi della politica, attenzione al sociale e ai nuovi protagonismi: ecco qualche tratto fra quelli enunciati.
Indicativi alcuni giudizi: sugli Stati Generali (prova generale di quando arriveranno i 172 miliardi dal bilancio UE e i 36 dal fondo salva-stati, «chi otterrà una quota di quei soldi si salverà, gli altri verranno travolti dalla recessione»), sul nuovo presidente della Confindustria, C. Bonomi («si è convinto di poter rifondare non soltanto il capitalismo italiano, ma pure la democrazia»), sulla Cina (non potremo farne e a meno, ma è ingombrante, non democratica e tendenzialmente egemonica), sulle false notizie (il Covid-19 non viaggia coi salmoni) ecc. Una voce nuova è comunque apprezzabile, se non altro perché stimola tutti a migliorare la propria offerta.
Le stagioni dell’informazione religiosa
Quali suggestioni per l’informazione religiosa? La schematica narrazione di questi decenni conferma la marginalità del tema religioso che solo in via eccezionale scalza il privilegio della politica, dell’economia e del costume. E tuttavia ha un suo percorso non privo di influenza, anche in un contesto fortemente secolarizzato come l’attuale.
Un primo passaggio è stato fra la «buona stampa» e l’«informazione religiosa». Cumulando la tradizione devota di decine di migliaia di piccole e grandi riviste, l’attenzione internazionale veicolata dalle missioni e la tradizione sociale di una parte del mondo cattolico al momento del concilio Vaticano II, si è prodotto il passaggio dalla «buona stampa» all’informazione religiosa. Anche sulla stampa laica cominciano ad apparire cronache che non si esauriscono nei racconti delle liturgie e negli scontri ideologici.
La vita ecclesiale (liturgica, catechetica, caritativa, teologica, storico-civile) resa visibile dalle discussioni nell’assemblea conciliare si impone alla narrazione informativa, sia dentro che fuori i confini di Chiesa. Nasce la figura del vaticanista che riesce a portare sui giornali le voci dei teologi e dei pastori, tanto da motivare i timori di chi ne denuncia l’eccessivo condizionamento. Le prime ricerche di sociologia religiosa raccontano lo sfaldarsi della forma di cristianità, la minor presa dell’associazionismo, gli scontri e divergenze interne al tessuto ecclesiale e l’apertura al dialogo ecumenico e interreligioso.
Dagli anni ’70, in coincidenza con i movimenti sociali che attraversano il paese, l’informazione religiosa perde rilievo sui media (eccezion fatta per il papato) e registra l’avvio di un’inversione. Se fino a quel momento i gruppi editoriali e informativi più importanti erano a capo delle famiglie religiose (paolini, conventuali, dehoniani ecc.), sono successivamente le istituzioni ecclesiali ad assumere progressivamente il ruolo trainante.
Non tanto per i settimanali diocesani, quanto per le attività dei nuovi uffici stampa e delle iniziative in capo alla Conferenza episcopale italiana. Il caso più emblematico è Avvenire. Nasce nel 1967 alla confluenza di L’Avvenire d’Italia e Italia con l’attesa di diventare un punto di riferimento per tutta la cattolicità italiana, capace di interpretarne le anime e di governarne le tendenze. Un ruolo che assume in parte solo qualche decennio dopo, con il pieno funzionamento dei servizi televisivi di TV 2000, radiofonici (Radio inBlu) e d’agenzia (Sir). I media laici registrano in particolare la vivacità del volontariato e l’azione coraggiosa della Caritas con qualche attenzione alla CEI, soprattutto in occasioni di interesse anche politico. Appaiono le prime attenzioni verso le altre confessioni cristiane e religioni.
Le fedi nel digitale
Da metà degli anni ’80 il digitale modifica il sistema produttivo delle informazioni, ridefinisce le professionalità e condiziona i contenuti. L’informazione religiosa sui media laici non muta in maniera significativa, fatta eccezione della nascita del sito Vatican Insider che La Stampa avvia e il cui ideatore (A. Tornielli) è oggi direttore editoriale del dicastero vaticano per la comunicazione. Cambia molto il panorama interno all’informazione ecclesiale.
Scompaiono migliaia di piccole riviste, si moltiplicano blog e siti, spesso connotati da toni conservatori e modalità aggressive. Le vecchie partizioni fra riviste devote e professionali, liberali e conservatrici, conciliari e anticonciliari, popolari o culturali si scolorano davanti a problemi comuni di sopravvivenza.
Cresce un magistero significativo che, per l’Italia, è segnato dal nome di C.M. Martini (la lettera pastorale Il lembo del mantello è del 1991), dal Direttorio delle comunicazioni sociali (2004), dal convegno Testimoni digitali del 2010 e dall’assemblea della Conferenza episcopale del 2018 dedicata alla presenza ecclesiale nell’attuale contesto comunicativo.
Delle sfide che la «società informazionale» propone a tutti, come il tema della sicurezza personale in balìa dell’enorme flusso di dati che ci vengono «carpiti» o la questione dell’intelligenza artificiale, dei «sistemi esperti» in grado di apprendere e sviluppare responsabilità, è di particolare interesse per l’informazione religiosa il tema della verità o meglio della post-verità.
Cioè il nuovo modo di pensare l’informazione non più legato ai fatti ma alla sua capacità di produrre sul destinatario un impatto emotivo confermandone le credenze e oscurando il passaggio fra verità e menzogna. Se l’appello agli argomenti di autorità perde senso, non così la forma del dialogo. Esso diventa interlocuzione esigente, risposta alle questioni che attraversano gli interlocutori, contesto che permette anche la riproposta della verticalità della verità, della sua trascendenza.
Dal versante dell’attenzione dei media laici alle fedi si potrebbero evidenziare molte sfide come la dimensione post-confessionale del cristianesimo vissuto, l’opportuna conoscenza teologica non solo delle confessioni cristiane, ma anche delle altre fedi e la dimensione mondiale di alcune di esse. Ma vi è un paradosso di cui l’informazione religiosa dei media laici non sembra consapevole.
Mentre nel contesto laico largamente egemone dell’Europa e dell’Occidente gli operatori dei media possono permettersi l’incultura religiosa, è la prorompente forza delle religioni nella politica internazionale (dal fondamentalismo islamico all’Ortodossia russa, dalla sinizzazione delle fedi al ruolo degli evangelicali nel Brasile di Bolsonaro) a imporre l’attenzione e la competenza.
In particolare, per l’ebraismo e il cristianesimo, fedi che hanno attraversato per intero la storia del moderno. Il loro apporto diventa prezioso perché i valori della modernità non si rivelino ciechi davanti alla complessità delle sfide e non implodano su se stessi per l’incapacità di alimentarsi.
Germogli di un tempo nuovo
Giugno 24, 2020 / gpcentofanti
La società e la Chiesa stessa, specie nelle sue gerarchie, possono avere sperimentato tra il novecento e l’inizio del nuovo secolo molti passaggi. Da un certo spiritualismo, moralismo, ad un cammino di liberazione da tanti schemi. Restando però in un orizzonte di fondo intellettualista che si è andato consolidando fin dall’epoca di Galileo. Si è così giunti al tempo delle ideologie e poi con il loro fallimento storico al ripiegamento sul privato che ha finito per sfociare nell’omologazione tecnicista. Nella Chiesa un discostarsi dalle risposte prefabbricate e da una spiritualità meno attenta all’umano specifico, in qualche misura elitista, può talora avere orientato ad un pragmatismo della vita, dell’incontro. Con scarsa attenzione allo sviluppo, nei modi e nei tempi adeguati fin dalla scuola, anche delle identità.
Dunque fughe dal razionalismo ma proprio in quanto fughe restando nel suo quadro di riferimento. Sommovimenti però non inutili perché capaci di smuovere tante riduttive strutturazioni. Mentre osserviamo il dipanarsi nella cultura, tra le gerarchie ecclesiali, di questi processi rileviamo anche a causa di essi un movimento più profondo, quello della gente comune, nella Chiesa e nel mondo.
Da un lato la manipolazione, l’omologazione, lo spogliamento a tutto campo, tecnicista, pragmatista, provocano in diverse situazioni sentimenti non sempre meditati di rivolta verso il potere. Da un altro lato sembra confusamente sentirsi tra non poche persone, specie per esempio nella Chiesa, il bisogno di venire aiutati a crescere in una spiritualità autentica, semplice, capace di comprendere il cammino, i bisogni, di ciascuno e anche di imparare da ogni uomo. Almeno nei tempi e nei modi adeguati, fin dalla scuola maturare nella propria liberamente scelta serena identità e nello scambio con le altre.
È il germogliare di una fede che va oltre le astrazioni, i vuoti, di cui sopra. Pur cogliendone gli intenti positivi anche se erano visti di fatto in modo riduttivo, variamente meccanico: le identità, la spiritualità, la vita concreta. È il traboccamento verso il ritrovare, il trovare più profondamente, la via del cuore semplice, ora nella Luce serena, liberata da moralismi e schematismi. Il riprendere contatto con la propria personalissima, autentica, umanità, oltrepassando finalmente il razionalismo con le sue varie possibili conseguenze sopra menzionate.
Un vissuto sguardo spirituale e umano rinnovato tendenzialmente rinnova tutta l’esistenza, la cultura, la società. Vi è da chiedersi se tale diffusa maturazione giungerà in tempo per evitare un drammatico crollo del mondo tecnicista o se dovrà essere stimolata (se qualche uomo potrà sopravvivere sulla terra) da questo sfacelo totale.
Viene forse un tempo in cui non solo per la Chiesa ma per tutti, ciascuno sul proprio personalissimo cammino e nell’incontro con gli altri, potrà nuovamente risuonare il messaggio di speranza di Ezechiele: “Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne” (Ez 36, 26).
È possibile? Se tutto si spegne sin dalla scuola in un omologante falso filantropismo non vi sarà gente interessata a leggere e si tratterà di sopravvivere dipendendo da potentati sempre più concordi nel dominare la massa svuotata di ogni cosa. Il pensiero unico parla sa sé. Dove si trovano voci anche solo parzialmente non allineate col politically correct?
Se si vuole dare un barlume di speranza ad una società che va verso lo spogliamento a tutto campo, verso il crollo bisogna dare voce a tutte le voci serie, serene ma non di sistema che ancora vi sono nella società.
Qualcuno recentemente ha inconsciamente affermato una piccola verità: ”A parte Cairo, per gli altri editori la stampa non è il business principale, e dunque usano i loro giornali per i loro interessi economici prevalenti, e questo è un dramma”. Il punto è che l’Editoria italiana come il business del calcio dovrebbero essere amministrati non come una “clava” piuttosto un’opportunità imprenditoriale strategica. Visioni ancora difficili in Italia