Le elezioni di ieri in Baviera hanno probabilmente segnato l’uscita di scena della CSU quale forza politica a livello federale: non essendo in grado di garantire il monopolio governativo del Land, il suo peso a Berlino decresce proporzionalmente. Non solo, nel dopo-guerra la CSU è stata la Baviera, oggi questa stretta simbiosi è venuta meno. La scelta del duo Seehofer-Söder di incorporare parti elettorali della AfD si è rivelata fallimentare, ma già le ultime elezioni federali erano state un chiaro campanello di allarme in questo senso.
La CSU ha perso voti verso la AfD (prognosticabile) e i Verdi (inatteso), mostrando l’improbabilità non solo della sua campagna elettorale, ma anche del suo stesso progetto politico reazionario-ricattatorio a Berlino. Nelle prossime settimane vedremo quali ne saranno le conseguenze: a Monaco per la coalizione di governo del Land e a Berlino nei rapporti con la CSU e Merkel.
Il Partito social-democratico continua, a ogni tornata elettorale, la sua discesa negli inferi dell’irrilevanza. La scelta magica di far saltare la grande coalizione di Berlino non sarebbe altro che una terapia palliativa. Il problema della SPD non è essere al governo federale, ma non sapere cosa fare in quella posizione ed essersi consegnato a un’arrendevole subalternità davanti alle beghe interne fra CDU e CSU. I liberali rientrano molto probabilmente nel Parlamento bavarese, ma senza alcun impatto effettivo – pagando quella scelta a livello federale di non voler governare che fece saltare il banco di una possibile coalizione inedita a tre. I Verdi escono da queste elezioni come l’unico partito «tradizionale» capace di resistere momentaneamente alle trasformazioni in atto a livello sociale e di cultura civile.
La AfD entra per la prima volta nel Parlamento del Land, con una percentuale non irrisoria (di poco sopra il 10%) ma minore alle aspettative (in perdita rispetto alle ultime elezioni federali). Il lieve aumento di voti del partito contenitore locale dei «Freie Wähler» (un +2,5% che li attesta all’11,6% complessivo) gli consente di essere un serio (e comodo) candidato per una coalizione con la CSU.
Due brevi considerazioni generali. La Germania dovrà imparare a vivere di coalizioni variabili, nello scarto di una legge elettorale che le vede o come eccezione o come costanti nel tempo/spazio. La mancata crescita della AfD e l’inaspettato successo dei Verdi non deve essere celebrato come argine sicuro al populismo montante. Il volto della Germania si rivelerà nel corso delle elezioni previste per il prossimo anno in molti Länder della ex-DDR, vero e proprio bacino di consensi della AfD (comunque ancora in leggera crescita anche sul piano nazionale).
La Germania ha un grande e un piccolo problema. Il primo è quello di una riunificazione costituzionale a cui non è mai corrisposta una riunificazione civile e culturale. Il secondo è quello dello scollamento, all’interno di ogni partito, fra politiche comunali e politica federale. La leadership a venire del paese, ma non solo, dipenderà dall’abilità di aprire una discussione nazionale a trent’anni dalla caduta del muro di Berlino, da un lato, e dalla volontà di dare rilievo politico al sentore quotidiano delle amministrazioni locali, dall’altro.
Se questi due processi non dovessero avviarsi, la Germania potrebbe prendere la strada di una regionalizzazione spinta della sua realtà socio-culturale e politica, smetterebbe ossia di essere un paese diventando l’agglomerato di molte parcellizzazioni separate fra loro da muri mentali.