L’eliminazione di Ayman al-Zawahiri

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L’eliminazione di Ayman al-Zawahiri, successore di bin-Laden alla guida di al-Qaida, merita considerazioni nel tumultuoso sviluppo politico mediorientale: tra queste non possono mancare quelle sul possibile tradimento, sulla precisione del colpo, sulle conseguenze e sull’eredità della figura.

al-Zawahiri

Osama bin-Laden e Ayman al-Zawahiri. (Fonte: ISPI)

Tradimento?

Il tradimento, in casi del genere, è sempre possibile. Al-Zawahiri era diventato ingombrante, depositario di tanti segreti, ormai troppi. A chi poteva risultare ingombrante? Per chi lo ha eliminato o per chi lo ha ospitato fino a farlo alloggiare in un appartamento nel pieno centro di Kabul?

Tutti sanno – e la frangia stessa ha confermato – che si tratta della fronda Haqqani, estremista e designata come terrorista da anni, di grande peso politico e miliziano nell’universo dei Talebani. La rete degli Haqqani è guidata dall’attuale ministro dell’interno afghano, Sirajjuddin Haqqani, braccio armato della scuola coranica deobandi e della famigerata Shura di Quetta, consiglio fanatizzato e influentissimo nella cerchia che fu del mullah Omar.

Il destino dei leader estremisti, sembra destinato a incontrare sempre un qualche traditore. La ricerca del traditore – che raramente si trova – fa perdere di vista però la sostanza: esiste un magma, un movimento oscuro molto diverso da quello apparentemente rivoluzionario o terrorista, fatto di complicità, connivenze, usi perversi delle persone. È comunque da lì, dal magma, che emerge il tradimento. Probabilmente è stato così per bin–Laden, per al-Baghdadi– ucciso a centinaia di chilometri di distanza da dove fece perdere le sue tracce e al di là delle linee nemiche che lo assediavano –, ora per al-Zawahiri.

Come mai dal ritorno dei Talebani al-Zawahiri non aveva fatto una sola dichiarazione sull’Afghanistan? Come mai il possibile protettore Haqqani aveva mai fatto cenno della sua presenza nel Paese? Che peso aveva al-Zawahiri nel nuovo Afganistan?

In questi gruppi la perversione della vera religione è fuori discussione, ma ancor più indiscusse sono le relazioni torbide, ciniche e altrettanto perverse con ambienti, regimi e servizi e contro–servizi segreti, pronti a qualsiasi trasversalità. Capire il magma a me sembra più importante che individuare il supposto vero traditore.

La precisione

Il secondo elemento è la precisione. Uccidere un super ricercato sembra un risultato in sé. “Ti abbiamo scovato!”: ha in sostanza detto il presidente Biden. Ma l’effetto cercato, a me sembra, sia un altro: uccidere un uomo dentro la sua casa, al centro di Kabul, senza sfiorare – se vero – le altre persone presenti nell’appartamento, senza fare neppure grandi danni all’immobile, senza, quindi, il minimo danno collaterale, è la vera prova di efficienza e di forza del presidente degli Stati Uniti.

La strategia obamiana – combattere il terrorismo da remoto – sembra aver trovato così, con l’operazione ordinata da Biden, la sua compiutezza: la war on terror di Obama, sarebbe in grado comandare – da un computer – un’eliminazione anche tra i letti a castello, senza rompere una tazzina da caffè, mentre la strategia antiterroristica di Bush avrebbe impiegato l’invasione dell’Iraq e un arco di tempo lunghissimo per scovare Saddam sotto un tombino.

La particolarità afghana sta nel fatto che il gruppo che stava coprendo – o controllando – al-Zawahiri, ha chiuso subito l’intera zona e ha fatto sparire nel nulla i suoi familiari, subito dopo l’operazione militare statunitense.

Il ministro dell’interno Sirajjuddin Haqqani, con tutta la sua notissima potenza e influenza, sa di essere ora nel mirino, perché si è posto fuori dagli accordi che i Talebani e gli Stati Uniti di Trump avevano siglato prima del ritorno degli studenti coranici a Kabul: questi escludevano ogni rapporto di copertura dei qaidisti. Kabul ne dovrà ora render conto.

Le conseguenze

Quanto alle conseguenze, la più ovvia sarà la scelta di un sostituto di al-Zawahiri in al-Qaida. C’è già chi assicura che – per la stessa al-Qaida – la sostituzione sarà un sollievo. La leadership di al-Zawahiri non è stata notata infatti per altro che per la sua dedizione al fronte interno. Significativo è il fatto che un tale leader di al-Qaida abbia marcato la presenza della sua organizzazione – nei tempi in cui il mondo è preso dalla guerra in Ucraina –soffermandosi sul dovere delle donne indiane di indossare l’ijhab: ciò è probabilmente la conferma che al-Qaida non ha, da tempo, energie per parlare al cuore dei combattenti di Allah.

Il vero confronto con lo Stato Islamico avviene con la sua vitalità interna. La questione è nota: si combatte il nemico vicino o quello lontano? Al-Qaida ha inteso colpire al cuore il nemico lontano – l’Occidente – dentro casa sua, ove pulsava il cuore dell’imperialismo, negli Stati Uniti e in Europa; lo Stato Islamico – l’Isis – invece ha puntato a combattere il nemico vicino, impossessandosi della terra islamica e delegando gli attentati internazionali al franchising terroristico radicato nel web.

Ecco perché, per i combattenti di al-Qaida, mancare un appuntamento come quello del conflitto in Ucraina, soffermandosi invece sulla questione del velo per le donne indiane, è una stordente enormità.

L’epoca di al-Zawahiri sarà dunque ricordata come l’epoca della riorganizzazione interna nell’incapacità di ricollocarsi al cuore del progetto violento? La lotta al nemico lontano non ha fatto grandi passi avanti, mentre al-Qaida è penetrata in nuovi territori, africani in particolare, ma anche asiatici, e il franchising è diventato di casa anche dalle loro parti: esiste il gruppo centrale e ci sono i gruppi sparsi in varie regioni del mondo che, per aderire, debbono adottare un codice politico e così farsi succursale locale del gruppo che fu di bin-Laden.

La leadership di al-Zawahiri ha segnato dunque l’epoca della diffusione, ovvero dell’incapacità di riorganizzazione del movimento devastato dalla cattura di bin-Laden e dalla lettura dei documenti che aveva nel suo covo? Avverrà ora la ristrutturazione della rete più aggressiva della stessa per risollevare le sorti di un movimento in difficoltà?

Gli esperti della materia assicurano che il semi-oscuro e freddo maestro egiziano al-Zawahiri abbia continuato a fare il maestro di scuola anche nella sua ultima apparizione videoregistrata: in quel video – davvero l’ultimo – ha dato dell’imbecille ad un leader della sua galassia, dell’inetto ad un altro e così via.

A voler vedere dal punto di vista della propaganda interna, questa non è una linea che possa scaldare i cuori, specie di chi voglia dedicare la sua morte all’ira di dio contro i nemici, sionisti o crociati che siano.

Eppure, la conseguenza dell’eliminazione di al-Zawahiri potrebbe essere proprio un sussulto armato: se ci sarà, non dipenderà tanto dalla rabbia, religiosamente ispirata, per la morte di un leader che alcuni jihadisti hanno salutato con sollievo, quanto dall’intensità della campagna che ciascun leader votato alla successione scatenerà per la conquista del vertice.

Resta il fatto che l’orizzonte di al-Qaida è assai nebbioso. Non si può neppure affermare che i Talebani ospitando al-Zawahiri – e Haqqani coprendolo – volessero davvero mostrare la loro solidarietà – quanto il loro controllo – sull’uomo che stava guidando i resti dell’orribile armata che è stata allestita da bin-Laden.

L’eredità

Giungo infine alla considerazione sull’eredità di al-Zawahiri, la più difficile.

A me sembra un segno dei tempi che l’uomo candidato alla successione sia Saif al-Adel, uno della vecchia guardia: il suo nome dice poco ai più; la sua storia lo vuole, per lunghi periodi, agli arresti domiciliari nel sancta sanctorum dei nemici di al-Qaida, in Iran. Strano, ma fino a un certo punto. Finire in Iran è stato il destino toccato a tanti parenti di bin-Laden. Dove altro possono stare – in rifugio – i capi di al-Qaida? Il Sudan è instabile, la Somalia ancor di più. Quale altro Paese è pronto ad offrire un domicilio coatto?

Qui torna la teoria del magma, dell’inconfessabile. Davvero a persone simili si può offrire un domicilio, sebbene coatto? Personalmente lo escludo. Ritengo che sia al-Qaida, quanto l’Iran, vogliano fare fronte comune contro il loro nemico occidentale: sono immersi, insieme, nel magma.

La notorietà della frequentazione iraniana di al-Adel porta a valutare la sua candidatura a successo improbabile. Tuttavia, il resto della catena di comando – quella storica di al-Qaida – parla di figure, per lo più, senza qualità. Al-Qaida sapeva un tempo come apparire allettante: con la parola bin-Laden sulle labbra e con tanti soldi in tasca.

E ora, cosa troveranno di allettante nella nuova al-Qaida i gruppi – sovversivi o eversivi – che popolano il mondo della più brutale violenza? La successione al-Zawahiri dipende dalla risposta a questa domanda. Dipende da questo anche il futuro del citato confronto circa le priorità del terrorismo internazionale: lotta al nemico vicino o lotta al nemico lontano.

I bacini di coltura del terrorismo sono enormi e nessuno – ahinoi! – ne ha cura. Non fanno che aumentare disordinatamente. Il fatto che la giustificazione di ogni guerra sia diventata la lotta al terrorismo, mi fa pensare alla necessità del nemico perfetto e ben visibile. Mentre il magma, in cui prospera il male, rimane invisibile.

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