Elon Musk e la favola della «libertà di espressione»

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(AP Photo/Alessandra Tarantino)

Nel dibattito sulla politica della rabbia [ospitato su Appunti, il Substack dell’autore − ndr] oggi è il turno di Jan Zielonka, firma prestigiosa, polacco di origine, poi a lungo professore all’Università di Oxford, oggi insegna Relazioni internazionali alla Ca’ Foscari di Venezia e in Italia pubblica i suoi libri per Laterza.

Jan è il primo a porre in modo così esplicito in questa discussione – innescata dal libro di Carlo Invernizzi-Accetti sui vent’anni di rabbia – il tema di come la democrazia si deve interfacciare con il digitale, con i social, con una sfera pubblica che ormai è mediata da qualche tecnologia e device.

È una coincidenza curiosa che nella mia programmazione questo pezzo vi arrivi all’indomani della conversazione tra Donald Trump ed Elon Musk su X-Twitter, forse l’episodio più inquietante dell’evoluzione politica dei social e della degenerazione di Musk.

Un’ora di flusso di coscienza di Trump – definirla intervista sarebbe esagerato – durante la quale Elon Musk ha offerto a un golpista eversore, criminale condannato, tutto il potere digitale di cui dispone per favorirne il ritorno alla Casa Bianca.

Trump ha prodotto la sua abituale serie di incredibili falsità: ha sostenuto che l’immigrazione verso gli Stati Uniti è una strategia di governi sudamericani e africani che spingono carcerati, malati di mente, stupratori e terroristi oltre il confine, ha detto che il riscaldamento globale non esiste (e che alcuni posti diventano più caldi, ma altri più freddi), ha sostenuto che con lui al potere non ci sarebbe stata la guerra in Ucraina e così via.

Tutte falsità evidenti alle quali Elon Musk assentiva, c’è pure stato un momento di imbarazzo quando Trump si è reso conto che negare il riscaldamento globale e difendere benzina e petrolio poteva essere scortese quando l’interlocutore è il primo produttore globale di auto elettriche.

Musk non fa una piega, in fondo il suo business dipende in gran parte da sussidi diretti (incentivi all’acquisto di auto elettriche) o indiretti (commercio di quote di inquinamento con il sistema di prezzo dell’anidride carbonica ecc.).

Mai era successo che una piattaforma digitale fosse così apertamente asservita a una parte politica. Musk aveva comprato Twitter per 44 miliardi di dollari anche per sottrarlo alla gestione di Jack Dorsey e ai suoi rapporti con l’FBI e pezzi dell’establishment democratico che avevano portato la piattaforma a oscurare voci suprematiste, scettiche sui lockdown,censurare le inchieste sul figlio di Joe Biden e, dopo l’assalto a Capitol Hill, a cacciare Trump dal social. 

Musk aveva promesso il massimo della libertà, anche a costo di tollerare incitazioni all’odio ed estremismi vari.

Mentiva, ha soltanto cambiato linea editoriale e ha trasformato una piattaforma un tempo imprescindibile per ogni giornalista e politico in una cloaca di pubblicità e propaganda, con alcune iniziative estreme come l’intervista a Trump o la creazione di uno spazio di interviste per Tucker Carlson, ex giornalista della Fox.

Per fortuna c’è l’Unione europea: il commissario al Mercato unico – il francese Thierry Breton – ha mandato una lettera a Musk prima dell’evento con Trump per segnalare il rischio che X-Twitter violasse le regole del Digital Service Act europeo che sanziona le piattaforme che diffondono falsità.

Ora Breton è criticato perché non ha concordato la lettera con la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, con la quale ha da tempo degli attriti, ma nel merito ha ribadito una cosa importante: le piattaforme digitali sono basate negli Stati Uniti, ma il loro impatto è globale, i danni che Musk può fare vanno ben oltre i confini geografici e culturali dell’America.

E l’Unione europea ha il diritto – e forse ormai anche l’obbligo giuridico – di occuparsene. È una interferenza nel processo elettorale americano? Sì e no, perché se la sfera pubblica digitale non rispetta i confini degli Stati, anche i tentativi di regolarla non possono farsi limitare dalla geografia.

Trump è un pericolo immediato per la democrazia, ma Elon Musk non è da meno. Se il sistema istituzionale americano non riesce ad arginare l’uno o l’altro, speriamo ci riesca l’UE, che come noto è un nano geopolitico ma un gigante regolatorio e burocratico.

  • Dal Substack di Stefano Feltri, Appunti, 14 agosto 2024

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