A due settimane dall’uccisione del presidente della provincia di Kassel, Walter Lübcke, si fanno più chiari non solo i contorni del suo omicidio, per cui è sospettato un appartenente ai circoli dell’estrema destra locale, ma anche quelli della capillare e preoccupante diffusione dell’estremismo di destra in Germania.
Anche se la maggior concentrazione del fenomeno può essere ricondotta ai Länder dell’ex DDR, non ci si può più limitare a considerarlo come una questione circoscritta a livello locale. Il pericolo di un aumento di azioni violente da parte delle frange dell’estrema destra tedesca riguarda oramai l’intero paese, e richiede quindi una risposta a livello federale.
La strategia deve essere decisa a Berlino, tenendo anche conto della riattivazione della rete di contatti internazionali con organizzazioni di carattere terroristico da parte dell’estremismo di destra tedesco.
Si tratterà anche di una verifica delicatissima della tenuta dei servizi di sicurezza federali e dei servizi segreti – la prossimità di questi ultimi sia a personale sia all’ideologia politica dell’AfD ha già provocato, nel recente passato, non poche preoccupazioni a livello politico e di opinione pubblica. Inoltre, rimane non del tutto chiara quali siano i rapporti effettivi fra la rappresentanza politica della nuova destra tedesca, l’AfD appunto, i movimenti popolari di strada come Pegida, e le organizzazioni clandestine di estrema destra che si vanno a collocare sempre più in un ambito di sovversione e terrorismo.
Il mancato sfondamento politico dell’AfD in occasione delle recenti elezioni europee apre un periodo di profonda criticità per la Repubblica federale. La frustrazione per il «fallimento» del progetto politico potrebbe funzionare da detonatore per la riattivazione armata e violenta di cellule della destra estrema su tutto il territorio nazionale.
Secondo G. Botsch, attento osservatore dello scenario degli estremismi in Germania ed Europa, «i prossimi diciotto mesi saranno particolarmente pericolosi. L’immagine del nemico è chiaramente delineata. A questo hanno contribuito sia l’AfD sia Pegida. Tutte queste forze, che ufficialmente prendono distanza dall’uso della violenza, hanno chiaramente versato benzina sul fuoco di una campagna denigratoria»; a cui, per i circoli dell’estremismo di destra, deve seguire un passaggio all’azione violenta.
All’uso della violenza linguistica, della denigrazione verbale e delle minacce, sulla rete sembra corrispondere una struttura clandestina sempre meglio organizzata che trae da essa legittimazione e riconoscimento per i propri interventi violenti contro persone e cose. Si apre quindi la possibilità di una nuova stagione armata, sotto il segno della destra estrema.
Se per la Germania questo può significare il ritorno di un incubo che si pensava definitivamente superato, a cui però si è lasciato troppo spazio e libertà di azione sia da parte politica sia da quella giudiziaria, non possiamo illuderci che si tratti solo di una questione tedesca. Non fosse altro che per quella riattivazione di una fitta rete di contatti internazionali fra diversi circoli e frange (non solo europei) dell’estremismo di destra.
Comunque, definitivamente svanita è l’illusione di immaginare che la violenza dell’«hate speech» possa rimanere ben confinata e anestetizzata nell’ambito della rete. Mentre da essa trae la sua immunità, quella violenza si riversa nell’effettività dei rapporti quotidiani e alimenta progetti sovversivi che minano in radice il quadro di una democrazia e di uno stato di diritto sempre più deboli.