Europa: oltre populismi e paure

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Europa ritrova speranza

Papa Francesco con i capi di Stato e delle istituzioni dell’Unione Europea nella Cappella Sistina
(Città del Vaticano, 24 marzo 2017. Foto ANSA / L’Osservatore romano)

Europa ritrova speranza! È l’auspicio e l’imperativo che attraversa il discorso di papa Francesco ai capi di stato e di governo dell’Unione Europea, riuniti a Roma per il 60° della fondazione (24 marzo). Testo impegnativo che completa quanto da lui detto al Parlamento europeo, al Consiglio d’Europa (25 novembre 2014) e in occasione del premio Carlo Magno (6 maggio 2016). Il primo papa non europeo consegna al continente di avviare un «nuovo umanesimo europeo», di non rassegnarsi a una inevitabile vecchiaia, di non spegnere il suo sogno (cf. Sognare l’Europa, EDB, Bologna 2017; con saggi di L. Caracciolo e A. Riccardi).

60 anni di pace e di democrazia

Sessant’anni di pace, «il più lungo tempo di pace degli ultimi secoli». Anche se per molti può apparire un bene scontato, essa «è un bene prezioso ed essenziale, poiché senza di essa non si è in grado di costruire un avvenire per nessuno e si finisce di “vivere alla giornata”». Si può aggiungere: sessant’anni di democrazia. Il frutto vistoso è stato la caduta del muro fra Est e Ovest. «Tanto si faticò per far cadere quel muro! Eppure oggi si è persa la memoria della fatica. Si è persa pure la consapevolezza del dramma di famiglie separate, della povertà e della miseria che quella divisione provocò». Legare i popoli che si erano combattuti per collegare le generazioni e costruire una casa comune. Un progetto allora embrionale, ma chiaro, definito e ponderato.

I valori fondanti

Come negli altri interventi, riemergono i valori fondanti relativi all’umanesimo, alla trascendenza, alla coscienza, al ruolo delle fedi: «la centralità dell’uomo, una solidarietà fattiva, l’apertura al mondo, il perseguimento della pace e dello sviluppo, l’apertura al futuro». Nessuno pretesa di neo-cristianità e nessuna contrapposizione alla laicità delle istituzioni pubbliche. La memoria degli uomini che allora ebbero il coraggio di archiviare gli «anni bui e cruenti della seconda guerra mondiale» diventa un atto del presente: da Spaak (Belga) a De Gasperi, da Bech (Lussemburgo) a Pineau (Francia), da Adenauer (Germania) a Luns (Olanda).

L’attuale crisi economica, di modelli familiari e sociali, la diffusa crisi delle istituzioni apre un «tempo di discernimento, che ci invita a vagliare l’essenziale e a costruire su di esso: è dunque un tempo di sfide e di opportunità». «L’Europa ha un patrimonio ideale e spirituale unico al mondo che merita di essere riproposto con passione e rinnovata freschezza e che è il miglior rimedio contro il vuoto di valori del nostro tempo, fertile terreno per ogni forma di estremismo».

Le sfide maggiori

L’invito alla speranza si oppone ad una vecchiezza priva di attesa, alle spinte centrifughe (dalla Brexit ai nazionalismi risorgenti), alla «tentazione di ridurre gli ideali fondativi dell’Unione alle necessità produttive, economiche e finanziarie». L’auspicio è ripetuto cinque volte e affronta le sfide maggiori del futuro.

Anzitutto, superare lo scollamento affettivo fra i cittadini e le istituzioni comunitarie. Il che significa «unità delle differenze e unità nelle differenze»: l’armonia di una comunità che non diventa uniformità. «Oggi l’Unione Europea ha bisogno di riscoprire il senso di essere anzitutto “comunità” di persone e di popoli», al di là delle diverse motivazioni che hanno portato l’originario gruppo iniziale (6 paesi) agli attuali 28 (27 quando uscirà la Gran Bretagna).

La seconda sfida è la solidarietà dentro e fra gli stati, vero «antidoto ai moderni populismi». Essi «fioriscono proprio dall’egoismo, che chiude in un cerchio ristretto e soffocante e che non consente di superare la limitatezza dei propri pensieri e “guardare oltre”. Occorre ricominciare a pensare in modo europeo, per scongiurare il pericolo opposto di una grigia uniformità, ovvero il trionfo dei particolarismi».

La terza sfida è la paura, la pretesa di sicurezza che esclude. La realtà delle migrazioni si colloca su questo versante. «La ricchezza dell’Europa è sempre stata la sua apertura spirituale e la capacità di porsi domande fondamentali sul senso dell’esistenza», senza farsi dominare «dal timore che l’altro ci strappi dalle abitudini consolidate, ci privi dei confort acquisiti, metta in qualche modo in discussione uno stile di vita fatto troppo spesso solo di benessere materiale».

La quarta sfida è quella dello sviluppo che non è dato solo da un insieme di tecniche produttive. «Esso riguarda tutto l’essere umano: la dignità del suo lavoro, condizioni di vita adeguate, la possibilità di accedere all’istruzione e alle necessarie cure mediche».

Infine, la sfida del futuro, in particolare dei giovani, offrendo loro educazione e possibilità di lavoro, ma anche curando la famiglia e la sua fecondità. «L’Unione Europea non ha davanti a sé un’inevitabile vecchiaia, ma la possibilità di una nuova giovinezza. Il suo successo dipenderà dalla volontà di lavorare ancora una volta insieme e dalla voglia di scommettere sul futuro».

Temi anticipati da una recente intervista al Segretario di stato, card. P. Parolin (La Stampa, 22 marzo) che insiste sui valori spirituali (fra cui il cristianesimo) oltre che culturali, giuridici, politici e umani. Populismi e paure anti-immigrati sono segnali da non sottovalutare e di cui tenere conto, all’interno di una capacità di progetto che è il proprio di una politica vera.

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