Se Parigi, sabato 15 dicembre, ha conosciuto una giornata più calma, le manifestazioni dei “giubbotti gialli” sono continuate in provincia.
Dopo quattro sabati di violenza, soprattutto sui Champs Elisées, si è visto un certo calo di tensione, dopo gli annunci della Presidenza della Repubblica e all’avvicinarsi delle feste di Natale. Tuttavia, il malessere sociale continua.
Questo malessere tocca la struttura della Francia; la messa in questione diretta del Presidente della Repubblica è sì il risultato della mancanza di abilità di comunicazione da parte del governo e, in primo luogo, del Capo dello Stato, ma è anche causata dalla particolarità del centralismo francese, dalla frattura tra le élites e il popolo, dall’aumento delle differenze tra Parigi e la provincia e, infine, della crescita significativa del divario tra le entrate dei più ricchi e quelle dei più poveri.
I giubbotti gialli sono disoccupati, agricoltori, artigiani, pensionati con basse pensioni, persone sole, famiglie con basso reddito, abitanti di città medie dove non vi sono servizi pubblici, abitanti delle periferie urbane senza mezzi di trasporto. Una Francia dal basso e poco considerata si è sollevata – talvolta con violenza – contro i super ricchi, rompendo vetrine di lusso addobbate alla maniera francese per i turisti, contro uno stato centralizzato e personificato da un giovane presidente che è apparso arrogante e troppo sicuro delle sue analisi. I corpi intermedi più vicini ai municipi e ai sindacati sono stati ignorati e spesso anche dagli stessi manifestanti.
La Francia monarchica o repubblicana, stato centralizzato per eccellenza, conosce da secoli queste rivolte che diventano talvolta rivoluzioni o cambiamenti di regime. A lungo e storicamente il più grande paese d’Europa ha tratto la sua forza dalla sua coesione, ma questa coesione lo rende difficilmente riformabile. La Francia è circondata da vicini che sono costruiti su federazioni di regioni, di province, che si possono chiamare “stati federali”, mentre la Francia ama proclamarsi una e indivisibile.
Le riforme autoritarie la dividono. Le misure che coniugano l’ingiustizia con il pretesto dell’uguaglianza, che colpiscono i più poveri e che risparmiano o, peggio, favoriscono i più ricchi con il pretesto dell’efficienza infrangono il sentimento di unità nazionale e provocano rivolte che si richiamano ad un ideale nazionale che non si riconosce più nelle sue rappresentazioni democratiche.
Emmanuel Macron diventa più maturo attraverso questa prova. Scopre che, anche se è stato eletto con una forte maggioranza, non disponeva affatto di un consenso popolare. Si rende conto che non basta pensare in maniera giusta e con una specie di intelligenza superiore per governare rettamente! La mancanza di consultazione dei corpi intermedi è stato un errore, e può essere scusato per la sua inesperienza della democrazia di base.
Le domande attuali dei “giubbotti gialli” di possibili referendum di iniziativa popolare vanno più nel senso di una democrazia diretta dei cittadini nei confronti dello Stato centrale che verso il riconoscimento dei corpi intermedi. Come se, alla fine di questo episodio di rivolta, dove il Presidente ha fatto un passo indietro e riconosciuto i suoi errori, la struttura monarchica e paternalistica della repubblica possa riprendersi! Ridando così, la Francia, una chance al suo presidente.
La Chiesa di Francia, attraverso la voce del consiglio permanente della Conferenza episcopale, ha lanciato, l’11 dicembre scorso, un appello alle parrocchie: «Ci proponiamo di suscitare gruppi di confronto e di proposte, invitando ad ampio raggio altre persone, che condividono o no la nostra fede».
Si può anzitutto notare questa felice insistenza ad andare oltre la comunità cristiana, ma nella fedeltà alla dottrina sociale della Chiesa e al principio di sussidiarietà: l’apertura ad una migliore partecipazione democratica per ricercare luoghi o corpi intermedi.
Negli angoli delle strade in provincia, pastori e cristiani si sono messi una stola “gialla”.