Il governo della post-verità

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salvini

Che tra il dire e il fare ci sia di mezzo il mare lo diceva già un vecchio proverbio; ma che si possa dire il contrario esatto di quello che si sta facendo, senza essere ridicolizzati, anzi mantenendo una assoluta credibilità agli occhi dei propri sostenitori, è una singolare peculiarità di questo nostro “governo del cambiamento”.

Non si sono ancora spenti gli echi delle vigorose (come sempre) assicurazioni del vicepremier Matteo Salvini al congresso di Verona sull’intangibilità dei diritti delle donne, soprattutto di quelle che lavorano, quando arriva una circolare dell’INPS in cui si fa presente che, nella legge di bilancio per il 2019 varata da questo governo, non è più previsto il bonus fino a 600 euro mensili, per un massimo di sei mesi, che permetteva alle madri di pagare la babysitter o l’asilo nido, se per esigenze di lavoro sceglievano di rinunziare al congedo parentale.

Al congresso di Verona, accusato di voler ridimensionare gli spazi delle donne nel mondo professionale, per rinchiuderle a casa, il ministro leghista della famiglia Fontana e lo stesso Salvini avevano risposto con sarcasmo, irridendo a una simile insinuazione e denunciando il clima di sistematica falsificazione dei fatti da parte degli oppositori dell’iniziativa. Hanno dimenticato però di dire che in realtà quello che il governo aveva appena deciso era di impedire alle madri di restare al lavoro nei mesi successivi al parto, tagliando il finanziamento che consentiva loro di farsi sostituire da babysitter e asili nido. Esattamente ciò che avevano negato di voler fare.

Che cos’è la post-verità

Non siamo davanti solo a un ennesimo esempio della tendenza dei politici a mascherare i fatti con le parole: qui è in gioco una sfida più radicale, resa possibile dal nuovo clima culturale instauratosi con la post-modernità, e che si collega all’avvento della cosiddetta post-verità.

Con post-verità si intende oggi una qualunque affermazione o notizia che, pur non corrispondendo alla realtà (come nel tradizionale concetto di «verità»), si impone tuttavia nell’opinione pubblica per una serie di fattori emotivi che le consentono di esercitare il proprio influsso come se fosse vera.

Che, nell’episodio del congresso di Verona e del bonus eliminato, si tratti di post-verità, lo dimostra il fatto che, di fronte all’evidente contrasto tra la realtà e le dichiarazioni dei governanti leghisti, la maggioranza degli italiani non ha reagito – come in passato sarebbe accaduto – accusando i secondi di aver mentito spudoratamente, ma ha mantenuto la sua fiducia al governo, preferendo chiudere gli occhi sui fatti. E sui social si continuerà a irridere e insultare chi metterà in dubbio che Salvini sia un indomito difensore dei diritti della famiglia e delle donne. Perché lo ha detto!

Le post-verità sui migranti

Non è una novità. Salvini ha raddoppiato in quest’ultimo anno i suoi consensi elettorali (e non solo nei sondaggi, come dimostrano le recenti elezioni a livello regionale) sostenendo sostanzialmente due tesi: la prima, che i problema del nostro Paese dipendevano dalle errate e interessate politiche migratorie dei governi precedenti e che, finendo quella «pacchia», i nostri giovani avrebbero avuto maggiori possibilità di lavoro; la seconda, che in Italia era in corso un’invasione di barbari che alla lunga sarebbe stata insostenibile, e esibendosi come indomito difensore delle nostre frontiere e della nostra sicurezza.

Entrambe queste tesi erano evidentemente infondate. I problemi dell’Italia erano ben altri (debito pubblico, per cui non si è fatto nulla; corruzione ed evasione fiscale, per cui non si è fatto nulla; scarsità di investimenti, per cui non si è fatto nulla) e i fatti lo hanno ulteriormente confermato: da quando c’è il “governo del cambiamento” l’unica cosa che veramente è cambiata è che la nostra economia ha interrotto il timido processo di ripresa iniziato da alcuni anni e al pur debole trend positivo ne ha visto subentrare uno negativo; lo spread è cresciuto; e anche il tasso di disoccupazione, secondo gli ultimi dati OCSE, è in aumento. Ma la gente è contentissima del governo.

Anche la seconda tesi andava contro i fatti. L’Italia ha meno stranieri di molti altri paesi europei. Quanto ai nuovi arrivi, gli sbarchi erano già diminuiti dell’80% da gennaio 2018, mesi prima che Salvini diventasse ministro degli Interni. Ma lui ha detto che questa diminuzione era merito suo e la gente ci ha creduto, anche perché questa illusione ottica è stata abilmente suffragata da alcuni «respingimenti» tanto spettacolari quanto sproporzionati (poche centinaia di disgraziati non erano certo le orde di «invasori» annunciate), che hanno meritato al nostro ministro degli Interni la fama di difensore dei confini pericolanti della nostra patria.

La Libia è un posto sicuro?

Che la realtà non sia un problema per questo governo lo dimostra anche l’insistenza con cui, per giustificare i «respingimenti», ha sostenuto che la Libia è un «posto sicuro» e che, di conseguenza, costituisce il luogo naturale a cui i migranti devono essere indirizzati.

Una tesi che ha potuto trovare anche l’interessato appoggio di esponenti dell’UE desiderosi di sbarazzarsi del problema migratorio, ma che è ampiamente smentita da tutte le organizzazioni internazionali, compreso l’Alto commissariato dell’Onu per i diritti umani, che hanno più volte denunziato il regime disumano a cui sono sottoposti in Libia uomini e donne che vi giungono per tentare di attraversare il Mediterraneo.

Il che spiega, fra l’altro, la disperata reazione dei migranti quando le navi che li soccorrono cercano di riportarli nell’inferno da cui stanno fuggendo. Emblematiche le parole di un naufrago, riportate dai media che diceva: «Meglio morire che tornare in Libia».

Se anche non si vogliono fare indagini approfondite sulla situazione libica, basterebbe ascoltare in televisione o leggere sui titoli dei giornali le ultime notizie, che parlano, proprio in questi giorni, di una guerra civile in corso, per nutrire il dubbio che, quando Salvini ribadisce che «la Libia è un posto sicuro», non dica esattamente la verità.

L’illusione ottica dello slogan «Aiutiamoli a casa loro»

Un ultimo gioiello di post-verità del governo a trazione leghista è costituito dalla formula magica «aiutiamoli a casa loro», risuonata incessantemente sulle labbra di Salvini e riecheggiata all’infinito dai social. Con la pretesa, ribadita recentemente dal premier Conte, di salvare in questo modo le vite umane di tanti che non sarebbero più costretti ad avventurarsi nel Mediterraneo in balìa dei trafficanti di uomini.

Problema risolto, dunque. Si può andare a letto, anche da buoni cattolici, con la coscienza tranquilla, perché non si sta mancando di fraternità verso i poveri, anzi, al contrario, la si sta esercitando in modo più intelligente e funzionale, per noi e per loro…

Ancora una volta l’illusione ottica fa scambiare le parole con la realtà. Sono anni che la Lega, anche quando era al governo prima di ora, alleata di Berlusconi, ripete questo slogan. E allora gli aiuti ai paesi in via di sviluppo si ridussero drasticamente (la post-verità cominciava già a farsi strada).

E oggi? I porti sono stati chiusi. Ma qualcuno ha verificato che, in concomitanza con questa svolta, ce ne sia stata una nell’aiutare i poveri a casa loro? Lo ha detto Salvini, dunque sarà vero. Anche se, curiosamente, il principale contributo visibile dell’Italia ai Paesi poveri sono le armi che, nella logica del business, vendiamo ai loro governi per alimentare guerre sanguinose che decimano le popolazioni civili. «Aiutiamoli a casa loro». Possiamo tornare a dormire tranquilli. E a sognare un mondo che a noi va bene, anche se non esiste.

Giuseppe Savagnone è direttore dell’Ufficio per la pastorale della cultura dell’arcidiocesi di Palermo. Post pubblicato nella rubrica «I chiaroscuri» (su www.tuttavia.eu), il 5 aprile 2019.

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