A circa 6 mesi dal suo insediamento, il percorso del Governo Meloni inizia a farsi un po’ più complesso. E, al tempo stesso, diviene possibile cominciare a tracciarne un profilo più realistico, alla prova dei fatti e delle sfide che sta iniziando ad affrontare.
Le sfide dei fatti che attendono il Governo
Una Finanziaria, per quanto affrettata, già alle spalle e ora da attuare. Un PNRR che va sicuramente preso in mano e condotto diversamente. Un sistema pubblico in grande fatica, specie sul delicatissimo fronte della sanità. Il Reddito di cittadinanza – tema scottante ai fini del consenso, specie al sud – solo rinviato a giugno, ma su cui ora tocca decidere definitivamente.
Il superbonus 110% rimasto a mezzo per tante famiglie e oggettivamente carico di problemi e storture. Varie riforme annunciate, ma tutte complesse e di difficile gestione tecnica e politica (riforma del sistema fiscale, regionalismo differenziato, presidenzialismo…). Per tacere dell’esplosione ormai inarrestabile di temi storici e mai veramente governati – da nessun partito – come la denatalità e il fenomeno migratorio…
Insomma, il percorso del Governo Meloni è certamente giunto ad una svolta: perché una serie di questioni importanti – alcune poste dal Governo stesso, altre ereditate – sono ormai in agenda e non sarà più possibile abbozzare, o cavarsela con una narrazione mediatica, per quanto la capacità della Meloni (e della politica tutta) di shiftare i dibattiti dal piano reale a quello mediatico sia ormai elevatissima.
La luna di miele dei consensi
Non sarà dunque più possibile fare affidamento (solo) sulla forza del consenso e sulla simpatia dell’opinione pubblica. Unica forza di opposizione a Draghi, Fratelli d’Italia aveva ottenuto un consenso del 26% alle elezioni del 25 settembre 2022. Una maggioranza ampia che, unita ai voti di Lega e Forza Italia (peraltro, molto ridimensionati), delineava un mandato di ampia fiducia da parte di un quarto dell’elettorato italiano, riposto su un partito che, ancora nella primavera del 2018, veleggiava ben al di sotto del 5%.
La fiducia, a meno di clamorosi errori, non si esaurisce mai in breve tempo: ed è quindi normale che, per un certo numero di mesi, il consenso della nuova Presidente del Consiglio si sia mantenuto alto, anzi sia addirittura cresciuto, assieme a quello del suo partito, arrivato – nella media dei sondaggi settimanali pubblicata da vari siti – a superare il 30% a fine febbraio 2023.
Tuttavia, a dar retta a questi sondaggi (mai del tutto affidabili, specie in Italia, negli ultimi anni), la Meloni sarebbe scesa dal 49% di giudizi positivi di dicembre 2022 al 44% attuale e il suo governo, nello stesso periodo, passato dal 47% al 43% (dati IPSOS). Anche FdI, come partito, avrebbe perso nell’ultimo mese tra 1 e 2 punti percentuali nelle medie sondaggi settimanali (dati YouTrend e Termometropolitico.it).
Ma, al di là dei numeri, l’impressione è che, negli ultimi tempi, il Governo abbia incontrato qualche difficoltà in più, e sia cominciata quella fase – inevitabile – in cui gli elettori si chiedono cosa si sta facendo di buono, cosa è cambiato o sta cambiando davvero nel Paese. Insomma, quella fase in cui alle parole devono conseguire fatti o in cui le narrazioni pubbliche – se non proprio i fatti reali – devono mantenere consistenza, non solo appoggiarsi sull’onda favorevole che segue, nei primi mesi, ogni largo successo elettorale.
Proviamo, allora, a scorrere alcuni eventi e temi politici che potrebbero in parte avere intaccato il consenso iniziale del Governo Meloni.
I drammatici fatti di Cutro e la loro pessima gestione mediatica
Il drammatico naufragio di Cutro, lo scorso 26 febbraio, potrebbe aver rappresentato il primo punto davvero negativo per il Governo Meloni. Si noti: politicamente la cosa è rilevante, se si considera che, sui temi dell’immigrazione, l’opinione pubblica italiana è da tempo molto preoccupata, nettamente contraria a “sbarchi” e flussi incontrollati.
E, soprattutto, se si considera che proprio Fratelli d’Italia – e la Lega, specie in passato – sembravano incarnare al meglio proprio questa volontà di “diga politica” contro l’immigrazione (tema che, invece, ha sicuramente penalizzato negli ultimi anni le sinistre).
La cosa rilevante è che, forse per la prima volta dopo molti anni, le preoccupazioni sicuritarie o di identità sociale dell’elettorato italiano sembrano avere ceduto di fronte alla drammatica disumanità di quanto accaduto a Cutro, al numero elevatissimo di vittime (ad oggi circa 90), alla percentuale altissima di bambini e minori annegati. Più precisamente, è come se a Cutro si fossero saldati nella frustrazione due fronti diversi dell’opinione pubblica italiana: quel 30% circa che si sente profondamente empatico verso la condizione di chi emigra fuggendo da scenari drammatici, e quel 40% che ritiene che la politica sia responsabile (ai suoi vari livelli, soprattutto europei, ma anche nazionali) di non riuscire ad arginare il fenomeno.
Così, il Governo è finito schiacciato tra il coinvolgimento emotivo di chi ha seguito attentamente in TV quelle terribili immagini (il 50% della popolazione, secondo un sondaggio pubblicato a inizio marzo da Ghisleri-Euromedia) e chi ritiene che non si faccia abbastanza per fermare gli sbarchi.
La doppia impressione che si potesse fare di più, sia per evitare il naufragio, nello specifico caso, sia in generale per governare il fenomeno o impegnarvi politicamente l’Europa, ha chiuso quasi ogni area di manovra politica al Governo.
Se avesse mostrato troppa empatia per le vittime, l’esecutivo avrebbe dato l’impressione ai propri elettori di derogare da una linea di chiusura e di fermezza; ma – al tempo stesso – proprio su questa linea i fatti hanno dimostrato che non si è stati efficaci.
Da qui è derivata la difficoltà del Governo a muoversi nei giorni immediatamente successivi la tragedia. Mentre il Presidente della Repubblica si recava a Cutro già il 2 marzo, visitando salme, famiglie e feriti, il Governo riusciva solo il 9 marzo a organizzare la propria discesa in Calabria, peraltro senza alcun incontro con le vittime e senza saluto alle salme.
La Meloni personalmente arriva a ricevere – in forma peraltro riservata – alcuni sopravvissuti e familiari solo il 16 marzo, a Palazzo Chigi, in modo certamente tardivo e ricevendo anche ampi rifiuti all’incontro.
A segnalare e ad aggravare la difficoltà politica interna al Governo si registrano poi le dichiarazioni del Ministro degli Interni, tutt’altro che attente all’accesa sensibilità dell’opinione pubblica a fronte della tragica perdita di vite umane.
Piantedosi – già reduce da infelici espressioni sul concetto di “carico residuale” – si avventura a parlare di genitori irresponsabili nel caricare i propri figli su quelle traversate, finendo anche per accusare la parte “buonista” dell’opinione pubblica italiana di rappresentare un “fattore attrattivo” per gli sbarchi. Un linguaggio che – in realtà – è difficile pensare casuale o distratto, specie da parte di un ministro considerato da molti assai vicino alla Lega, un partito certamente interessato a lucrare spazi di aggressività politica lasciati aperti dalla Meloni più prudente e istituzionale vista negli ultimi mesi.
Anche la conferenza stampa del Governo, maldestramente organizzata e gestita a Cutro lo stesso 9 marzo, porta a pessimi risultati mediatici, esponendo la stessa premier Meloni ad una serie di dichiarazioni in cui si abbandona il voluto registro istituzionale e si decade in una ruvida discussione politica, tra l’altro indebolita da numerose imprecisioni sui fatti, prontamente rinfacciate ai due esponenti, soprattutto dai giornalisti dei media locali.
Il danno arrecato dalla conferenza stampa del Governo a Cutro – un caso di scuola che si presterebbe ottimamente per un seminario di formazione politica e giornalistica – consiste soprattutto in questo: che, dopo mesi trascorsi a far emergere il proprio profilo istituzionale – da Roma a Bruxelles, da Kiev a Washington –, la Meloni viene fatta ripiombare di colpo nel pieno dello scontro politico destra-sinistra e tra Italia ed Europa. E a farla ripiombare indietro è – forse non a caso – un ministro di area leghista e soprattutto Salvini.
Salvini che, per primo, gestisce pessimamente il suo intervento stampa a Cutro, e poi organizza a stretto giro la sua festa di compleanno, dove la Meloni trova il modo di farsi riprendere a duettare col leghista, in un karaoke non apparso consono col clima di lutto di gran parte dell’opinione pubblica. Tanto più se la canzone prescelta per la prestazione canora è quella che Fabrizio De André aveva dedicato – affogata o no – ad una giovane donna ripescata esanime dalle acque.
A Cutro, insomma, si potrebbe leggere sia un passo falso della Meloni “statista”, sia un primo accenno di inserimento della Lega (area salviniana) nello spazio politico della destra più pasionaria: un potenziale fattore divisivo che da tempo si sospetta poter covare nella maggioranza.
Il problema PNRR e pubblica amministrazione
Immediatamente dopo la chiusura della “crisi di Cutro” (dove si dimostra amaramente che nessun fatto, per quanto drammatico, riesce a coinvolgere larghi strati della popolazione per più di qualche settimana), il Governo si riposiziona avviando la discussione sull’attuazione del PNRR. Discussione che, in parte, viene indotta dalle opposizioni, preoccupate dei ritardi nell’attuazione.
Ma, in parte, viene prodotta dagli stessi esponenti del Governo che, a partire dal Ministro preposto, Raffaele Fitto, dichiara che occorre «prendere atto di cosa è possibile e cosa è impossibile fare», poi invoca la possibilità di rivedere deadlines e allocazione delle risorse rispetto ai Fondi Strutturali europei, infine – forse richiamato a maggiore prudenza – ripiega affermando che non esiste nessun reale problema in merito.
Il tema del PNRR è interessantissimo e importantissimo non solo perché si tratta del più grande investimento per lo sviluppo del Paese dai tempi del Piano Marshall, ma perché penetra fino nelle profondità dei sistemi amministrativi del Paese, costituendo una cartina di tornasole per analizzarne lo stato e – soprattutto – un’occasione per riformarne inefficienze e vischiosità.
Proprio i temi della semplificazione amministrativa e antiburocratica sono da sempre un cavallo di battaglia di Lega e Forza Italia. Un eventuale ritardo sul PNRR sarebbe, dunque, non solo un problema in sé, ma un danno grave di linea politica, su un punto saliente di attrazione che la destra da sempre esercita verso imprenditori, professionisti, classi medio-elevate.
Il PNRR, insomma, è una di quelle sfide dove si “parrà la nobilitade” del Governo e di tutta la classe dirigente, anche nuova, che Fratelli d’Italia ha portato a responsabilità impensate fino a pochi anni fa.
Ecco allora spiegarsi anche la grande enfasi che assumono d’improvviso una serie di nomine in amministrazioni e società partecipate dallo Stato (tra cui le “grandi” Eni, Enel, Poste, Leonardo e Terna): nomine che, da normale routine di subpotere romano, divengono in primo luogo una tenzone interna tra Lega, FI e FdI.
Ma – soprattutto – divengono la prova del nove che davvero Giorgia era “pronta” per il Governo (come recitava la sua campagna elettorale nel 2022), cioè con una classe politica all’altezza e già formata, in grado quindi di “mettere a terra” le ingenti risorse e le grandi sfide di riforma del sistema-Italia insite nel PNRR.
Una classe dirigente un po’ sgrammaticata
Di fronte a sfide politiche così serie e rilevanti, di fronte a dubbi sulla reale tenuta di tutta la classe dirigente pubblica centrale e locale, certamente non aiuta riscontrare che, molto spesso, nelle ultime settimane, esponenti di Fratelli d’Italia o del Governo si lasciano andare ad “esternazioni” che – con l’amplificazione immancabile dei social – diventano casi mediatici.
Oltre a non generare fiducia, questi casi mediatici non facilitano oggettivamente il lavoro della Meloni, specie perché distolgono attenzione, energie e tempo dai temi più importanti, costringendo a prese di posizione spesso delicate o equilibristiche (per non condividere, e insieme non smentire). Quelle classiche situazioni che facilmente scontentano segmenti di elettorato, più radicali o più moderati.
Il caso più evidente è stato quello delle recenti dichiarazioni di Ignazio La Russa, già presidente di FdI, ora Presidente del Senato e quindi seconda carica dello Stato, a proposito di via Rasella e della strage delle Fosse Ardeatine. Dichiarazioni non solo segnate da inesattezze storiche, ma che rischiavano di richiamare alcuni dei luoghi comuni della propaganda nazifascista su quei tragici fatti.
Di fronte ad una posizione praticamente indifendibile sul piano storiografico, la Meloni ha dovuto prendere le distanze da La Russa, definendo le sue parole una «sgrammaticatura istituzionale»: e questo, per evitare di farsi schiacciare su posizioni così “nostalgiche” e – ancora una volta – rischiare di danneggiare il lavoro di “credibilità istituzionale” impostato negli ultimi mesi, in Italia e all’estero.
Ma, a fianco del grave caso La Russa (grave specie per il suo ruolo istituzionale), non sono mancate altre “sgrammaticature” che hanno gettato qualche ombra sulla concentrazione della classe dirigente di Governo: quella del ministro della Cultura Sangiuliano che, a gennaio, ascrive Dante Alighieri a fondatore del pensiero di destra; quella del parlamentare di FdI Donzelli che accusa il Pd di connivenza con le violenze anarchiche a proposito del caso Cospito; quella del ministro Valditara che minaccia provvedimenti disciplinari contro un dirigente scolastico reo di avere scritto – a suo parere – una lettera non equilibrata sui fatti di violenza politica avvenuti davanti ad una scuola di Firenze; fino alla recente proposta di legge Rampelli (deputato FdI e vicepresidente della Camera) volta ad espungere parole straniere dalla lingua ufficiale italiana (facendo sovvenire i tempi in cui il “Touring Club Italiano” diventò la “Consociazione Turistica Italiana” o il “toast” un “pantosto”).
Queste e altre polemiche – spesso davvero di basso profilo e di piccolo cabotaggio – finiscono però per occupare i media, offrire appigli unitari ad una opposizione per altri versi piuttosto in difficoltà e divisa, e soprattutto costringono la Meloni o i suoi portavoce ufficiali ad un costante inseguimento, che consuma oggettivamente gran parte del lavoro svolto per incrementare il profilo della “statista conservatrice”, opposto a quello di una destra “storica” e rissosa.
Ma il punto è che non basta che Giorgia salvi la sua credibilità: è quella di una intera classe dirigente che lei ha portato con sé alla guida del Paese che deve ora palesarsi.
L’evoluzione di Forza Italia (e la Lega a mano libera?)
Mentre la Meloni cerca di tenere a freno gli esuberanti esponenti del suo partito, così rapidamente cresciuto da piccola nicchia a grande forza nazionale di Governo, la Lega – che ha fatto il percorso inverso – morde il freno “movimentista”, con la sua componente salviniana. Fattore che – come dicevamo – potrebbe generare tensioni nel Governo ma che, per ora, al di là di tante ricorrenti voci, sembra rimanere sotto controllo, visto che esiste anche un’anima “governista” della Lega, incarnata soprattutto dalla sua ormai ampia classe dirigente a livello nazionale, regionale e comunale.
Mentre questi fattori potenzialmente irritativi sembrano tenersi in equilibrio, le preoccupazioni per la salute di Silvio Berlusconi portano però alla ribalta un tema da tempo noto: che ne sarà del partito personale di Forza Italia, nel giorno in cui il fondatore non potesse più tenerne – per un motivo o per un altro – le redini politiche? Inutile negare che, in questi giorni, lo scenario è stato discusso, nella villa di Arcore come tra i dirigenti di Forza Italia (molti dei quali – peraltro – già fuggiti da tempo in altri lidi, specie centristi).
Dopo la fase in cui Forza Italia sembrava avvicinarsi alla Lega –addirittura fondersi – in chiave anti-meloniana, oggi sembra prevalere dalle parti di Arcore – magari anche nelle idee di Marina Berlusconi – un avvicinamento proprio a Fratelli d’Italia, quindi ad una destra più liberal-conservatrice e governista. Evento che non fa altro che ampliare però le tentazioni della Lega – almeno di quella salviniana – di approfittare degli ulteriori spazi che così si generano, e del possibile monopolio nella funzione di destra movimentista.
Un anno decisivo
I prossimi dodici mesi, allora, saranno per tanti versi decisivi, per la Meloni. Non tanto perché il Governo rischi davvero qualcosa, data l’ampiezza della maggioranza e la debolezza delle opposizioni. Ma per la forza, il trasporto popolare del suo consenso.
Renzi, Grillo, Salvini hanno mostrato come nell’elettorato odierno si possa perdere tutto in 2/3 anni. Anche la Meloni, allora, non può distrarsi, non può concedersi tutte le fragilità e sbavature che la sua compagine ha avuto sin qui, e che l’eventuale crisi di Forza Italia potrebbe ampliare.
I prossimi dodici mesi saranno decisivi per vedere l’attuazione del PNRR, del DEF, di tutta una serie di riforme annunciate, non facili. Dodici mesi che si concluderanno con un giudizio inevitabile: l’importante tornata di voto comunale, regionale ed europeo del 2024.
Sarà in questi mesi, dunque, che la Meloni dovrà dimostrare di saper mantenere le tante attese su di lei riposte da quasi un terzo degli elettori, consentendo a tutti di valutare se la sua sarà l’esperienza politica del prossimo decennio, o se sarà invece l’ennesima stella destinata lentamente a spegnersi, alla prova dei fatti di un Paese – oggettivamente – sempre più difficile da governare. O dove il governare si dissolve, tra tante polemicucce quotidiane, fino a diventare – come diceva una figura storica ben nota a Giorgia – praticamente inutile.
Ma perché occorre mettere il manifesto politico ovunque? A mio avviso in testate di alto livello culturale, come questa, è giusto affrontare i problemi politici riguardanti la vita di un paese nel senso di Agorà, ma quando si cade nel manifesto politico di continua campagna elettorale, in questo caso da una parte politica, ma ci sono esempi on line di riviste di senso opposto, la cosa cade molto in basso. Ricordo tutta la campagna dalla seconda repubblica in poi…
Proprio quando abbiamo testate di livello e di intelligenza superiore alla media è necessario parlare di politica e fare cultura politica. Certe valutazioni lasciano senza parole.
Articolo che ben esprime il disagio di chi, non sgrammaticato, deve cercare di dare un senso alle uscite surreali di Meloni & C. su svariate tematiche dall’immigrazione, all’uso dell’inglese e alla filiera alimentare. Per generosità verso di loro si spera che siamo solo polemiche in stile cortine fumogena per nascondere la madre di tutti i problemi: l’incapacità di spendere i soldi del PNRR. In fondo speriamo siano solo uscite per distrarre l’opinione pubblica dal vero problema, perché se multare chi parla inglese e vietare la carne coltivata sono cose in cui credono davvero, allora non ci aspetta un futuro votato all’indietrismo.
L’ articolo e’ un modo decoroso per rilanciare gli argomenti degli oppositori del governo e niente altro. Tutto cio’ e’ assolutamente coerente con il calibro politico dell’ autore