Alcuni giorni prima delle elezioni nazionali del 7 luglio 2019, in uno dei tanti sondaggi di opinione, si chiedeva all’intervistato con quale criterio avrebbe scelto il partito da votare. Il 75% aveva risposto che, a suo giudizio, era da votare quel partito che aveva le prerogative per dare una spinta al paese e assicurare la stabilità politica. In effetti, questa è la prima conclusione che si trae sia dalle elezioni nazionali sia dalle elezioni municipali, regionali ed europee effettuate il mese prima.
Nell’esporre i fatti parleremo spesso di memorandum. Con questo termine in Grecia intendiamo gli accordi firmati da creditori esteri affinché lo stato greco avesse dei finanziamenti e prestiti per pagare i suoi debiti e non arrivare al fallimento. Due di questi memorandum sono stati firmati da governi di centro-destra e uno dal governo della “prima volta a sinistra” come proclamava il governo di Tzipras, dopo aver dichiarato che avrebbe stracciato tutti i memorandum con una legge composta da un solo articolo. Di fatto si è puntato ad una svalutazione interna del 25% circa. Infine, siamo usciti dal regime dei memorandum firmando alcuni accordi preliminari che, per molti economisti e commentatori, equivalgono ad un quarto e più grave memorandum.
Nuova Democrazia (ND)
Nelle elezioni europee del 26 maggio 2019 i votanti hanno premiato ND (Nuova Democrazia) con un 9,4% in più rispetto al secondo partito, cioè Syriza: una differenza così ampia non si era mai registrata tra il primo e il secondo partito da quando si vota per l’Europa. Nello stesso giorno e una settimana dopo, nel secondo turno per le elezioni municipali e regionali del 2 giugno, gli elettori hanno assegnato a ND 12 delle 13 regioni e la maggioranza nei più grandi municipi del paese.
Nelle elezioni nazionali del 7 luglio 2019 i cittadini, con il 39,85%, ossia con 158 seggi al parlamento, hanno dato la loro fiducia a Kyriakos Mitsotakis, giudicandolo capace di venire incontro alle loro aspettative e alle loro speranze.
Si spezza così un filone di votazioni di protesta, iniziato con le elezioni del 2009 contro K. Karamanlìs (jr) per non aver arginato il pesante deficit pubblico. In quelle votazioni l’elettorato ha consegnato il governo a G. Papandreu (jr) che, per affrontare la crisi finanziaria del paese, aveva stipulato il memorandum con i “prestatori internazionali” – la cosiddetta “troica” – provocando il crollo degli stipendi, delle pensioni e dello stato sociale.
Dimessosi Papandreu, è iniziata l’era dei governi in cerca di maggioranza parlamentare basata sulla collaborazione. È cominciato pure il bipolarismo, non su base tradizionale “destra-sinistra” con ciò che può significare, ma con la bipolarità “pro memorandum” e “contra memorandum”.
L’elezione dell’attuale nuovo governo è stata favorita dalla promessa di ND di rinvigorire l’economia nazionale e di ricostruire la classe media schiacciata dalla pesantissima tassazione, imposta via via dal governo Syriza-Anel. Difatti, il ministro dell’economia del governo precedente, Tsakalotos, aveva dichiarato che il restringimento della classe media era nel programma del partito, il che significa che le vecchie ossessioni ideologiche marxiste-leniniste erano in pieno vigore e azione. In effetti, la classe media greca non ha niente da spartire con la borghesia descritta dal marxismo. Sono i piccoli e medi imprenditori e i commercianti, in maggioranza operai, che aspirano a salire e che sono riusciti a salire di qualche gradino.
Syriza-Anel, invece di mantenere la tassazione entro certi limiti tollerabili, ha fatto il contrario. Per alleviare poi il fardello di tutti quelli che la loro politica di tassazione aveva impoverito, ha puntato sulla politica dei sussidi. Piuttosto che niente, anche questo è un bene. Sta di fatto però che, in questo modo, i partiti al governo hanno tenuto legati a sé i beneficiari dei sussidi. Cambiando il governo, infatti, essi potevano perdere quei sussidi cosi determinanti per fronteggiare una vita di stenti. Anche questo, a mio parere, ha fatto guadagnare alcuni punti percentuale in più di Syriza sia alle elezioni europee sia alle municipali-regionali tenutesi quindici giorni prima.
Un altro punto a favore di ND è il suo impegno a mettere fine allo stato d’animo di insicurezza che da tutte le parti assilla il cittadino. Non si tratta solo della paura di perdere il posto di lavoro, del basso reddito e della striminzita assicurazione sociale, della non chiara politica migratoria, ma soprattutto del clima teso, creato sia dalla criminalità dilagante di ogni genere sia dai continui disordini di tipo anarcoide. Ormai ogni weekend nel quartiere del centro di Atene, Exarchia, si effettuano incursioni contro le forze dell’ordine pubblico ad opera di gruppuscoli di anarchici che la fanno da padroni in quel quartiere. Tanto che ormai si parla della “chiusura” di Exarchia, per preservare dagli attacchi le forze di polizia.
La gente è convinta che lì agiscano degli sconosciuti ben conosciuti, ma altrettanto ben protetti, perché così fa comodo ad alcuni ambienti.
Così, molti che hanno nostalgia di una vita tranquilla e sperano di avere indietro almeno una parte di ciò che hanno guadagnato con una vita di sacrifici, si sono decisi a tornare a ND che dà molte fondate speranze per una vita più serena.
La nomina di Chrisochοidis come ministro “Per la protezione del cittadino”, personaggio già conosciuto per aver messo le mani sulla più grande organizzazione terrorista nostrana – “17 Novembre” – offre fondate ragioni di guardare con reale ottimismo al futuro.
Un’altra promessa fatta da ND, intercettando un desiderio comune, è di avere un governo che faccia funzionare lo Stato, che affronti di petto i vari problemi, almeno del vivere quotidiano, faccia fronte alla burocrazia dilagante, faccia progredire l’economia, che non sia solo assistenzialismo statale ma che valorizzi anche l’iniziativa privata, in armonia con l’iniziativa statale, e che non nasconda i problemi sotto il tappeto, facendo finta di niente. Vanno bene i sussidi statali al momento del bisogno, ma ad insistere su questi, pubblicizzandoli e moltiplicandoli, si finisce per narcotizzare le coscienze.
Il nuovo governo è un interessante mix di politici e di tecnocrati con esperienza nel mondo del mercato, delle imprese e dell’industria, diversamente da come si è fatto finora con la nomina di professori universitari oppure di sindacalisti e di politici. Dei 51 ministri e viceministri del nuovo governo, 18 sono tecnocrati. Nel nuovo Consiglio, inoltre, ci sono 21 membri non eletti nel parlamento e, fra questi, i 18 tecnocrati che sono stati nominati al posto dei segretari generali dei ministeri. Anzi, diversi di loro non appartengono né al partito né all’area del partito.
Si realizza così la promessa fatta a suo tempo dall’attuale primo ministro, cioè l’“apertura” a persone che si muovono al di fuori di Nuova Democrazia. Ha portato sulla scena politica nuovi volti, valorizzando dirigenti di successo, scegliendo persone sia dal settore privato sia da quello pubblico, come anche richiamando in patria persone che all’estero avevano posti di responsabilità e che sono stati apprezzati per i risultati del loro lavoro.
Le priorità da affrontare
Il nuovo governo entrerà subito in acque profonde, poiché deve affrontare di petto grandi problemi che non possono aspettare. Per esempio: salvare e sanare il colosso pubblico della produzione di energia elettrica – il DEH –, afflitto da tempo da problemi che si sono accumulati nel tempo e che il precedente governo regolarmente nascondeva sotto il tappeto. Il DEH si regge ormai su piedi di argilla.
Altrettanto centrale è la questione dei “prestiti rossi”, direttamente collegata al ripristino del buon funzionamento del sistema bancario, per poter finanziare il retto avviamento dell’economia.
Non dimentichiamo poi le questioni dell’ordine pubblico.
La cosa positiva è che il nuovo personale del governo è consapevole delle priorità da affrontare subito. Non mette da parte le questioni scottanti, ma cerca sollecitamente di trovare soluzioni, facendo capire che, almeno questa volta, il lavoro preliminare è stato fatto.
Syriza
Si deve riconoscere che Syriza ha retto bene, anzi ha aumentato la sua percentuale, dal 24%, delle elezioni europee tenutesi un mese prima, al 31%. Per questo risultato esso canta vittoria e si vanta di essere la più grande forza di sinistra dell’Europa.
Un commentatore ha scritto che Syriza il 7 luglio è caduto dall’Acropoli e che non solo non si è schiantato, ma ha trovato un portamonete pieno, alludendo alla percentuale ottenuta, inaspettatamente alta.
Adesso, con il 31,53%, è chiamato, per la prima volta nella sua storia, a fare qualcosa che non ha mai fatto prima: ossia essere un partito che non reagisce come sinistra quasi extraparlamentare, investendo politicamente sulla rabbia della gente o sullo stato di miseria del paese e sul grande numero degli indignati.
Il suo successo è dovuto al fatto che una parte dell’elettorato è affascinato dalla parola “sinistra”, intesa come sinonimo di progresso. Funziona come con i tifosi: basta che la squadra ci sia. Se va bene, tanto meglio; se va male, si protesta, anche aspramente, ma la si ama, si rimane fedeli e la si propaganda.
Ci sono di quelli che passano per l’intellighenzia nostrana, la quale si autoproclama protettrice dei poveri e dei diseredati, ma che abita e vive nei quartieri alti e si nutre di “cibi prelibati”, di cultura raffinata e di discussioni appassionate sulla giustizia sociale, basta che non si tocchino i loro privilegi. Ci sono anche dei poveri, dei nuovi poveri, che si sono rassegnati a vivere con i “sussidi statali” e che hanno paura di perderli, Ecco il motivo per cui hanno dato il loro voto.
Di certo, ci sarà una forte opposizione. Adesso però Syriza dovrà scegliere quale tipo di opposizione esercitare. Si indirizzerà su un serrato dibattito parlamentare o tornerà all’opposizione sui marciapiedi e nelle piazze, come, con “molto successo”, faceva da piccolo partito anti-sistema?
Di sicuro vi è un cambiamento d’indirizzo del partito che, già da tempo, aveva inglobato e fatto eleggere nelle sue liste molte personalità del vecchio Pasok, dal sapore socialista.
Per quanto riguarda metodi di lavoro, concezioni e interpretazione della realtà, si era spostato su posizioni socialiste e socialdemocratiche. Del resto, nelle ultime elezioni nazionali, molti ex deputati del partito Anel (Indipendenti greci, partito a destra di ND, che in comune nutrivano astio nei confronti dei memorandum, salvo averne firmato un terzo e, successivamente, per rientrare nella cosiddetta normalità, si sono accordati su un nuovo memorandum), con i quali Syriza ha formato il governo, adesso sono stati eletti nelle liste di Syriza, e sono persone chiaramente di destra.
«Come funziona il Syriza odierno non mi ispira. Nella sua forma attuale ha chiuso il suo ciclo», pare abbia detto Tsipras all’assemblea della segreteria politica, secondo fonti bene informate del giornale VIMA. Quindi, il via alla trasformazione del partito è già stato dato. Le discussioni sono aperte. Molti auspicano che la strada verso la nostalgia del vecchio Pasok si fermi subito e in modo definitivo. Molti guardano verso il modello dei laburisti inglesi di Corbyn. Altri, invece, pensano che il partito costituisca di fatto il polo della sinistra e che debba accentuare ancora di più questo suo carattere.
Kinal
Il terzo partito per numero di seggi, che è entrato in parlamento, è il “Movimento per il cambiamento”, Kinal, un raggruppamento di partitini di centro, centro-sinistra, che vivono attorno al partito dominante o che sono, per così dire, il Pasok, (tanto che alcuni commentatori dicono che Kinal sta per Pasok). È di inspirazione social-democratica. Ha ottenuto l’8,10% dei voti, che si traduce in 22 seggi.
Alcuni esponenti si sono meravigliati che esso non abbia ottenuto una percentuale a due cifre. Altri hanno tirato un sospiro di sollievo dicendo “Meno male! Poteva andare peggio!”, però lo hanno solo sussurrato. Si sa che, in ogni votazione, esistono solo vincitori.
Prima delle elezioni, il Kinal aspirava ad essere l’ago della bilancia per formare il governo, nel caso che non ci fosse la maggioranza assoluta di un solo partito.
Però ha dimostrato di non avere la potenzialità per assumere un ruolo guida (a cui aspirava) nello spazio del centro-sinistra. Non è riuscito a presentare una chiara identità ideologica, malgrado in campagna elettorale si fosse presentato come alternativa di sensibilità sociale rispetto ai due partiti più grandi.
Per tradizione Kinal è contrario alla destra. Nella campagna elettorale la discussione intorno a questo partito verteva non tanto sulle sue dichiarazioni programmatiche, ma piuttosto con quale partito si sarebbe alleato nel caso che ND o Syriza non avessero ottenuto la maggioranza assoluta.
Che il partito sia in uno stadio critico, lo testimonia il fatto che si presenta come memoriale di fedeltà non tanto ai principi dei padri fondatori quanto alle personalità di A. Papandreou, Melina Merkouri, Ghenimatas… Molti, al suo interno, stimando che il partito abbia fatto il suo tempo (tempo segnato da alcuni grossi scandali), propongono di collaborare o di allearsi con Syriza o con ND. Non poche delle sue personalità si sono indirizzate verso Syriza ma anche verso ND.
La questione, che adesso si presenta, è se troverà una collocazione chiara dentro quello spazio che si suole chiamare “centro-sinistra”, dove sta approdando con grandi pretese anche Syriza. (Ho la vaga impressione che Syriza voglia diventare qualcosa come il Pd italiano).
La grande incognita e oggetto di discussione è l’atteggiamento di Fofi Ghenimata, capo del Kinal, figlia di Ghenimatas, uno dei padri fondatori di grande carisma del Pasok e prestigioso ministro del governo dei tempi d’oro del Pasok.
L’unica cosa certa è che l’area del cosiddetto centro-sinistra è in grande fermento. Le cose diventeranno ancora più interessanti con il passare del tempo e in rapporto all’incisività che avrà il governo guidato da Mitsotakis. Probabilmente avrà la stessa sorte delle grandi formazioni di centro-sinistra del passato che, dopo uno o due quadrienni di gloria e di governo, pian piano scompaiono. E, dopo qualche tempo, vengono alla luce nuove formazioni che confluiscono in un partito multi-contenitore che porta in sé anche il seme di un’eventuale scissione.
In Grecia solo la destra rimane sempre compatta anche cambiando nome. Prima della dittatura si chiamava Ere, cioè Unione Radicale Nazionale, dal 1956. Dopo la dittatura, il fondatore di Ere, di ritorno da Parigi dove viveva in esilio volontario (quando perdette il potere, nel 1963, se n’era andato a Parigi), fondò ND spostando l’asse verso il centro-destra.
Invece, il centro-sinistra, che come partito si chiamava “Unione di Centro”, al potere dal 1963 in poi, aveva cominciato a sfaldarsi già due anni prima della dittatura cominciata il 21 aprile 1967. Dopo la dittatura, esso si divise in tanti partitini sino il 1981, quando prese il potere con il nome di Pasok.
Partito Comunista
Nel parlamento non poteva mancare il Partito Comunista, con il suo 5,30% e 12 seggi, sempre fedele ai vecchi ideali comunisti di tipo sovietico e col suo linguaggio politico di legno (linguaggio tipico dello stalinismo farcito di retorica). Il partito partecipò legalmente alle elezioni nazionali del 17 novembre del 1974. Per un certo periodo si alleò con altre formazioni di sinistra e, alle elezioni del 1993, realizzò da solo un 5-6%.
Anche questa volta, durante la campagna elettorale, il suo slogan era la difesa delle classi meno abbienti e dei beni pubblici dalle bramosie del capitalismo nostrano ed estero e in difesa dell’economia statale.
Dopo le elezioni, abbiamo assistito al solito ritornello di tutti i “dopo-elezioni”: abbiamo tenuto le nostre posizioni, malgrado che tutte le condizioni ci fossero avverse; i falsi dilemmi, le pressioni, le intimidazioni e i ricatti del nostro governo e non solo, hanno cercato di schiacciarci, ma noi rimaniamo sempre fedeli ai nostri ideali: essere l’avanguardia e la guida delle masse popolari, reagendo alla nuova invasione del capitale internazionale e locale…
Nel nuovo parlamento sono entrati due nuovi partiti
a) Mέpa 25
E’ il più grande e ha come capo, fondatore e inspiratore l’ex ministro dell’economia, Y. Varufakis, protagonista di quei primi mesi del 2015, di beata memoria, del governo di Syriza, che, con arroganza, con disinvoltura e con una certa dose di narcisismo (tutte qualità che conserva tuttora), seguendo la linea di A. Tsipras, dichiarava: «Noi suoneremo i tamburi e loro (i creditori e l’Europa) balleranno». Ha trattato con i poteri forti dell’Unione Europea con un atteggiamento pusillanime così che, per poco, non ha portato il paese a frantumarsi contro gli scogli.
Questo partito ha la singolarità di essere la versione greca del partito da lui fondato a livello europeo, il Diem25 che, in Grecia, è stato battezzato Mέpa25, che tradotto significa “Fronte della disobbedienza realistica europea”. Ha raccolto il 3,44% con 9 seggi. Lo stesso Varufakis ha dichiarato che il suo partito vuol portare nella scena politica europea e nazionale un sano internazionalismo europeo veramente radicale e democratico.
Inoltre, lui stesso si posiziona a sinistra, ma definisce il suo partito multi-contenitore. Infatti, guardando i nomi dei suoi aderenti, si nota che ce ne sono di tutti i sapori e di tutti i colori.
Che cosa ci si può aspettare da un partito che, di fatto, ha raccolto i voti dei suoi fan personali, acquisiti in quei giorni “gloriosi” del primo semestre del 2015, dei delusi syriziani e dei diversi gruppuscoli anti-sistema? Potrà forse svolgere un ruolo costruttivo di critica, magari aspra ma coerente, non a priori antieuropea e contro l’establishment politico ed economico dell’UE e del nostro paese?
Il capo carismatico Y. Varufakis ha dichiarato di essere contro il nuovo bipartitismo dove i due poli sono per i memorandum e quindi non solo non darà il voto di fiducia a nessuno dei due grandi partiti, ma anche non collaborerà in nessun modo né con Syriza né con ND. Ha promesso inoltre che, ad ogni progetto di legge, presenterà un proprio progetto parallelo, il che non è male, la dichiarazione è buona, vedremo l’attuazione.
L’eterogeneità dei componenti del partito pone la domanda come sia possibile che tutti questi possano coesistere sotto lo stesso tetto. La personalità del suo fondatore e leader, visti i precedenti del 2015, non promette nulla di buono.
b) “Soluzione greca”
A destra di ND si è posizionato un altro nuovo partito: “Soluzione greca”, con il 3,70% e 10 seggi. Questo partito è ritenuto l’erede di un partito analogo chiamato “Popolo” – “Laòs” – che, definitosi come “Emergenza (allarme) popolare e ortodossia”, a suo tempo professava il trittico: patria (cioè la Grecia ombelico del mondo, invisa da tutti e quindi in diversi modi perseguitata), famiglia e ortodossia. Il partito “Laòs”, attualmente ridotto al di sotto dell’1%, è stato presente per due legislature in parlamento.
Il capo e fondatore della “Soluzione greca”, Velopoulos, fu deputato del Laòs che, in politica estera, ha aggiunto anche una tinta filorussa e ortodossa.
Velopoulos è televenditore di preparati paramedici, di integrativi dietetici e di libri. Si è immischiato in una vicenda che sa di comico e di patetico perché, tra l’altro, ha pubblicato Le lettere scritte da Cristo. A suo dire, gliele ha procurate un monaco del monte Athos. Forse questo monaco non gli aveva spiegato che sono scritti apocrifi dei primi secoli, già pubblicati, oppure egli stesso non ha capito di cosa si trattasse. Ad ogni modo, è scoppiato un parapiglia. Molti circoli ecclesiastici lo hanno bollato come persona empia, sfruttatore delle cose divine. Questo brutto caso, con ogni probabilità, gli è costato il ben volere dei circoli ecclesiastici sui quali puntava.
Ad ogni modo, egli ha dichiarato che sia lui sia il suo partito eserciteranno un’opposizione costruttiva e senza esagerazioni, basata sulla logica. Non dirà no a tutto. Anzi è disposto ad appoggiare quelle proposte di legge di ND con le quali concorda. Però…, esiste sempre un però. Avendo saputo che in Ucraina si presenterà la proposta di legge di punire i pedofili con la castrazione chimica, in un twit, non solo ha appoggiato l’iniziativa, ma l’ha anche proposta come esempio e soluzione per la Grecia. Propone infatti di indire un referendum per punire i pedofili o con la pena di morte o con l’ergastolo o con la castrazione chimica. Propone lo stesso trattamento anche per gli schiavisti e gli spacciatori di droga: punirli o con la pena di morte o con l’ergastolo a vita. Dove chiarisce che, quando dice “a vita”, vuol proprio dire “per sempre”!
Quelli che sono rimasti fuori
a) “Indipendenti greci”
È scomparso il Partito degli “Indipendenti greci” che, nelle elezioni del 25 febbraio 2015 aveva ricevuto il 4,15% con 13 seggi. Si presentava come un partito popolare, a destra di ND, ma fanaticamente contro i memorandum.
Ha governato con Syriza, che non aveva la maggioranza assoluta (36,34% e 149 seggi), funzionando, come si diceva, “da stampella”. Era d’accordo su tutto. Qualche volta inizialmente diceva di no ma, alla fine, si allineava su tutto. Quando Syriza e altri partiti decisero di consentire l’attribuzione del nome “Macedonia del Nord” alle Scopie, il partito, che si presentava pregiudizialmente contro la concessione di tale nome, si è spaccato, molti dei suoi deputati sono passati a Syriza, dando la loro adesione, specialmente quelli che avevano posti di ministro o posizioni di potere. Evidentemente per non perdere “la sedia”, come è stato commentato allora!
Dopo la caduta del governo, il suo fondatore e capo dichiarò finita l’esperienza del partito e lo sciolse. Alcuni però hanno voluto proseguire, ma non ebbero fortuna. Quelli dei suoi che erano stati nominati ministri nel governo di coalizione con Syriza, e altri suoi membri che avevano appoggiato Syriza, sono stati premiati con posti di prestigio nell’apparato statale e, alla fine, sono stati assorbiti da Syriza. Alcuni di loro sono stati eletti nelle liste di Syriza come membri effettivi di quel partito.
b) “Alba dorata”
Quel che è molto interessante e consolante è che la formazione di “Alba dorata” – a giudizio generale di ispirazione nazista – non è riuscita ad entrare in parlamento per pochi centesimi. Ha raccolto il 2,93% sul 3,00% richiesto per entrare in parlamento. Nelle elezioni del 25 gennaio 2015 era numericamente il terzo partito presente in parlamento con il 6,28% e 17 seggi.
Speriamo che questa formazione estremista, scomparendo dal parlamento, perda anche la sua influenza deleteria nella società. In epoca di crisi generale nel paese, era riuscita a raccogliere gente più o meno disperata e diseredata, senza voce nella vita sociale e ai suoi margini, fornendo come modo di esserci, purtroppo, quello dello squadrismo fascista.
c) Finalmente due piccoli partiti sono rimasti fuori parlamento: il Potàmi e l’Unione dei centristi.
Il Potàmi, che significa “fiume”, era entrato, il 25 gennaio 2019, con il 6,05% e 17 seggi. Una formazione centrista progressista che, a detta del suo fondatore e capo, si ispirava alla linea di Macron.
A causa della sua linea politica e ideologica non chiara ha cominciato dapprima a scompaginarsi e ha finito decidendo di non presentarsi come partito autonomo alle ultime elezioni.
L’ Unione dei centristi
E’ un partito di vecchia data, ma è entrato in parlamento per la prima volta a “sorpresa” e come “sorpresa” e incognita, sull’onda della protesta e dello smarrimento generale del 25 gennaio 2015, raccogliendo il 3,43% dei voti e 9 deputati.
Come ideologia politica professa il liberalismo sociale (in inglese: social liberalism), cioè un liberalismo economico che dovrebbe includere la giustizia sociale. Ma la sua fortuna elettorale occasionale e le aspirazioni personali della sua gente lo hanno accompagnato alla porta d’uscita, con l’1,24% dei voti.
E con la Chiesa?
Il 16 luglio 2019 il primo ministro Mitsotakis ha incontrato nel palazzo del governo l’arcivescovo Ieronimo. Si sono accordati di dare un nuovo inizio ai rapporti Stato-Chiesa, sulla base del rispetto dei loro ruoli distinti e in un impegno di onestà e di sincerità in modo che i loro rapporti non siano oggetto di meschino sfruttamento da teatrino dei partiti.
In questo contesto, è stata concordata la necessità di una riapertura immediata della commissione del dialogo tra lo Stato e la Chiesa, al fine di risolvere tutte le questioni relative alle relazioni tra le due istituzioni, come ad esempio l’insegnamento religioso nella scuola e la valorizzazione delle proprietà della Chiesa.
Il primo ministro, da parte sua – come ha annunciato il suo ufficio stampa –, ha pienamente garantito la salvaguardia del regime esistente per quanto riguarda lo stipendio dei preti e dei laici che lavorano nella Chiesa, l’assicurazione sociale del clero e i diritti pensionistici. Dall’altra parte, l’arcivescovo ha sottolineato che il Santo Sinodo ed egli stesso sono d’accordo di considerare nulle tutte la proposte dell’accordo fra Stato e Chiesa stipulate nel novembre scorso. Inoltre hanno discusso sulle modalità di finanziamento dei posti di lavoro dei nuovi parroci.
La Chiesa cattolica
Dobbiamo riconoscere in tutta sincerità che finalmente con il governo Syriza-Anel abbiamo avuto un riconoscimento giuridico con una formula che è una novità. La Chiesa cattolica è stata riconosciuta come “persona giuridica religiosa”. Il peso politico della Chiesa cattolica, fortunatamente, è insignificante.
Articolo a tratti interessante. I numeri sono giusti, meno altre considerazioni; sarebbe piaciuta un’analisi meno faziosa, più “giornalistica” (chiara l’inclinazione politica destroide di chi scrive). Da come si tratteggia pare che il nuovo governo sia una eccellente opportunità di superamento del disastro Syriza; è bene ricordare che l’attuale premier greco è figlio di Kōnstantinos Mītsotakīs anch’egli premier nei primi anni novanta e copartecipe dei disastri che il figlio dovrebbe risolvere. Una dinastia che continua, insomma. La politica dinastica non ha mai portato bene; innumerevoli gli esempi. Le pastoie e le storture di una gestione, quella greca, non certo marginalmente corrotta, sicuramente clientelare e che hanno portato al noto sfacelo dei conti, pare strano non saranno minimamente ereditate da un figlio così come da un padre si eredita vario altro. Omesso totalmente il riferimento alla questione macedone che di voti al premier uscente ne ha fatti perdere assai; in un’analisi oculata il tema non doveva essere sorvolato. Altro pugnale nel fianco di Tsipras il referndum 2015, da molti ritenuto ancora oggi un tradimento. Riguardo la politica fiscale sappiamo che il calo delle tasse è ambito ovunque, ma un paese come la Grecia, incastonato nell’armatura europea, non se lo può permettere, né ora, né tra anni. L’impoverimento della middle class non può essere recuperato con tagli al cuneo fiscale, ma con serie politiche per il lavoro. In Grecia, oggi, il diritto del lavoro è inesistente; remunerazioni orarie alla soglia di paesi africani, flessibilità al limite dell’inumano, ammortizzatori sociali inconsitenti. Questi i veri problemi, non le imposte; se non ci sarà un allineamento alle remunerazioni ed alle garanzie medie europee, anche l’impossibile totale annullamento dell’imposizione fiscale non porterebbe il benessere minimo necessario a sopravvivere dignitosamente. Riguardo la sicurezza non va generalizzata la situazione del distretto di Atene con quella di tutta la nazione; pur essendo ivi concentrata la maggior parte della popolazione del paese, non lo rappresenta in toto. Mītsotakīs figlio, dunque, vince con gli stessi strumenti con i quali le destre vincono in ogni paese: taglio tasse, sicurezza, immigrazione, nazionalismo tout court. Sappiamo anche che tra il dire ed il fare c’è di mezzo il mare e questo mare si concretizzerà nel prossimo memorandum che il neo premier sarà costretto a firmare e non ci sono presupposti tecnici perché sia più favorevole dei precedenti, ma solo tante chiacchiere.