Al di sotto del sanguinoso conflitto russo-ucraino vi è un progetto di civiltà o, piuttosto, la posta in palio è la democrazia? Sulla prima posizione si collocano gli interventi del patriarca di Mosca, Cirillo. Sulla seconda si pone l’arcivescovo maggiore degli ucraini greco-cattolici, Sviatoslav Shevchuk.
Il patriarca sta ripetendo la sua posizione da molti mesi e, ultimamente, lo ha fatto nell’intervento al forum internazionale delle «culture unite» (San Pietroburgo, 11 settembre). Il secondo, molto meno esposto, ha espresso il suo pensiero a Berlino, in occasione di un tradizionale ricevimento titolato a san Michele davanti alle classi dirigenti del paese e della Chiesa (10 settembre).
Le due interpretazioni non sono sullo stesso piano. La soluzione «cirillica» esaurisce la funzione della Chiesa in una «civilizzazione» funzionale al potere di Putin. Il secondo distingue il compito proprio della Chiesa (evangelizzazione) dall’urgenza storica di sostenere i valori di riferimento che alimentano la dimensione democratica dell’Ucraina, ma anche delle società occidentali.
Cirillo ignora la violenza e la disumanità del conflitto in nome di una civiltà «cristiana» appannaggio della Chiesa russa. Il secondo parte dalla dimensione drammatica della violenza e dalla sua disumanizzazione per evidenziare la necessità di una «pace giusta».
Cirillo: siamo il futuro
Intervenendo l’8 settembre in una celebrazione al monastero Sretensky a Mosca, il patriarca si interroga retoricamente sulla perfetta equivalenza dei processi democratici fra Russia e Occidente. I poteri sono elettivi, le strutture interne statali sono similari, le responsabilità internazionali comuni e allora perché il conflitto?
«Voglio gridare ad alta voce. Cosa? Non riesco a trovare altra ragione se non il fatto che la Russia e, per grazia di Dio, la Bielorussia e la nostra Chiesa offrono al mondo, compreso il mondo occidentale, un’alternativa allo sviluppo della civiltà. Se, in Occidente, c’è una comprensione assolutamente errata della libertà come permessivismo, se lì, sotto le spoglie di libertà, il diritto delle persone a commettere peccato non solo viene incoraggiato ma legiferato, allora questa è la strada verso la fine. Perché? Sì, perché il peccato non è vitale […] Il peccato porta solo divisione».
Alcuni giorni dopo sottolinea che già ai tempi di Alexander Nevsky si era capito che dalle potenze dell’Est (i mongoli) si chiedevano alla Russia benefici materiali, mentre dall’Occidente (cavalieri teutonici) si pretendeva la “nostra anima”.
In questo scontro di civiltà, la guerra in Ucraina è ricondotta ai “tumulti” interni che la Russia ha conosciuto in diversi passaggi storici e che sono abilmente gestiti «dal nostro presidente Vladimir Vladimirovich Putin e della sua squadra. Ma, dietro questo, c’è il forte sostegno sia del popolo che della nostra Chiesa» (intervento del 28 agosto).
La Russia conosce bene le contraddizioni dell’intellettualismo formale occidentale (Comte, Feuerbach, Marx) e il processo di de-culturazione che ha avviato una traiettoria suicida. La de-culturazione, infatti, conduce alla disumanizzazione. Concede che il cristianesimo è universale, ma esso trova oggi difesa solo nel contesto ortodosso russo.
In Occidente, non c’è universalismo, ma globalismo o, propriamente, una cultura dell’annientamento. «Oggi stiamo vivendo uno scontro fra cultura e anticultura. Questa è una lotta per il concetto stesso di uomo, per cosa sia l’uomo» (intervento a Pietroburgo, 11 settembre).
«Siamo chiamati – ripete – a fermare congiuntamente il processo di disumanizzazione della cultura, restituendo l’uomo e l’umanità alla loro alta dignità determinata da Dio».
E, nelle successive risposte, specifica il rifiuto dei modelli occidentali.
«Perché parlo con tanta sicurezza del nostro Paese come prescelto da Dio? […] Per la capacità di preservare la cosa più importante. In questo vedo una certa scelta di Dio. Il Signore è con noi, non lascerà la nostra ’Rus».
Ci stiamo avviando a un tempo apocalittico in cui emergerà la sintesi della civiltà russa, cioè una moderna civiltà scientifica e tecnologica unita alla fede in Dio e alle basi morali della vita umana. Lo slancio retorico lo porta ad affermazioni paradossali:
«La Russia, nonostante la sua potenza, è un paese molto umile. Non imponiamo nulla a nessuno, non occupiamo nessuno, non schiavizziamo nessuno. Stiamo seguendo con calma il nostro percorso storico».
Salviamo i valori della democrazia
Mons. Sviatoslav Shevchuk richiama alla realtà i suoi interlocutori occidentali: «Non vi sono dubbi sulla totale spietatezza e malvagità delle intenzioni geopolitiche e genocide della Russia. Putin lo ha detto chiaramente e non si fermerà davanti a nulla finché non sia obbligato a farlo […]; il suo obiettivo è la distruzione degli ucraini e la “soluzione finale” della questione ucraina», purtroppo con l’aiuto del patriarca che giustifica il male e trasforma la Chiesa in uno strumento di guerra.
Shevchuk ricorda i massacri di Bucha, Irpin, Borodianka, Izium, i 13 milioni di sfollati (8 all’estero e 5 interni), le case distrutte (per tre milioni e mezzo di persone), le 3.793 scuole e università bombardate, la devastazione del sistema sanitario (1.736 ospedali e presidi danneggiati), le 630 chiese rase a terra. A questo si aggiunga la devastazione delle strade, dei ponti (344), delle stazioni ferroviarie (126) degli aeroporti (18), fino alla minaccia del terrorismo nucleare.
La Chiesa non difende sé stessa. È nelle mani di Dio. Difende il popolo e il suo diritto alla libertà.
«Siamo riusciti a garantire la libertà di stampa e di espressione pubblica, la libertà religiosa, la convivenza pacifica e la cooperazione fraterna tra Chiese e organizzazioni religiose. Le recenti decisioni prese dal parlamento ucraino (legge contro le organizzazioni religiose che abbiano relazioni con Mosca − ndr) mirano a impedire la trasformazione della religione in un’arma bellica e in un’aggressione spirituale contro la nostra libertà».
Appartengono agli stereotipi della propaganda russa l’accusa all’Ucraina di non volere la pace, di essere uno stato in fallimento, di essere travolta dalla corruzione.
Quest’ultima, in particolare, è un’eredità della tradizione comunista più che un fatto endemico.
«L’Ucraina sta imparando la democrazia in condizioni estreme. Impara attraverso il sacrificio. Abbraccia i principi di libertà e di responsabilità in un momento in cui le tendenze autoritarie e nichiliste stanno rinascendo in Europa e sempre più persone stanno diventando scettiche nei confronti della democrazia e dei suoi benefici […] Questa non è solo una guerra in Ucraina: è una guerra da cui dipende il futuro della democrazia in Ucraina, in Europa e nel mondo».