Su Domani del 4 luglio Marco Damilano ha presentato una ricostruzione di alcuni passaggi della storia dell’impegno politico dei cattolici italiani che, a suo avviso, sarebbe da riprendere in questo momento critico come contributo del cattolicesimo odierno al paese. Dopo l’editoriale della redazione, gli articoli di Franco Monaco, Giuseppe Boschini, Giuseppe Savagnone e Stefano Zamagni, intervengono nel dibattito Giulia Iotti e Roberto Ruini.
Questo contributo si pone nella ricerca di alcuni elementi di fondo per l’impegno dei cristiani in politica, alla luce del dibattito che si è aperto dopo l’interessante articolo di Marco Damilano del 4 luglio sul Domani.
Fede, storia e incarnazione
Partiamo dalla domanda se sia possibile vivere un’esperienza significativa di fede rimanendo estranei alla storia che si svolge quotidianamente intorno a noi. Questa separazione sembra impossibile, perchè significherebbe ridurre l’esperienza di fede ad una dimensione privata e quindi sterile. Inoltre, negherebbe la trasformazione del modo di essere e di guardare il mondo che l’esperienza di fede produce[1].
La relazione con tutto ciò che accade intorno a noi ci interroga prepotentemente e ci spinge a riflettere sul modo in cui la nostra biografia personale si intreccia con quella degli altri. Questa relazione tra la dimensione personale di ogni uomo e ciò che sta intorno (le persone, l’ambiente, la cultura, i drammi collettivi, …) è il luogo nel quale si sviluppa la dimensione politica. Dimensione politica che è quindi uno sguardo su ciò che accade ad ognuno di noi, sia attraverso le scelte compiute sia attraverso l’apertura alla dimensione dello Spirito Santo che agisce nella storia.
La fede è incarnata nella storia. Il Verbo si è incarnato e Cristo ci incontra, nella nostra esistenza unica e personale, come vero Dio e vero Uomo. L’incontro con Cristo ci apre alla dimensione trinitaria, che è in sé una dimensione di relazione. Le tre persone della Trinità non esistono se non in relazione l’una con l’altra e il loro donarsi reciproco è un legame d’amore che alimenta la vita intratrinitaria e si estende verso l’uomo e verso tutto il creato.
Nella nostra condizione filiale, riceviamo l’amore come dono da Dio, una prospettiva che ci viene data non solo per noi stessi ma che si apre al comandamento di amare il prossimo come noi stessi. Qui si radica la relazione tra noi e gli altri (ciò che è altro da noi). Da una parte, infatti, la nostra unicità è preziosa perché è il luogo in cui si radica la relazione con Gesù, che rimane l’elemento fondante di ogni prospettiva di vita, dall’altra invece la logica dell’amore ci spinge al di là di noi stessi.
Ed è proprio lì, nelle relazioni che si costruiscono con gli altri, che si manifesta l’atteggiamento politico che si prende cura di ciò che ci circonda e che ha al centro la persona. L’esperienza di fede quindi ci porta ad assumere la dimensione politica come una dimensione fondamentale della stessa vita cristiana.
Interconfessionale, non relativista
Oggi siamo chiamati a vivere all’interno di un contesto caratterizzato dalla fine di una società cristiana, che per secoli ha contribuito a definire e strutturare i diversi aspetti della vita. La società attuale è articolata in numerosi modelli di vita e di famiglia diversi tra di loro, con un forte dibattito sui diritti, tra i quali quello sul fine vita. Si moltiplicano forme parcellizzate di ricerca di spiritualità e di senso personali e poco istituzionali. Inoltre, la mobilità dei percorsi formativi e professionali porta all’incontro con culture diverse, in un contesto di trasformazioni e sfide ambientali epocali per il nostro pianeta.
Tutto ciò apre per il cristiano la necessità di capire come stare nella politica in modo utile oltre che necessario. Abbiamo certamente bisogno di costruire strumenti e forme, ma ancora di più modi di pensare, sguardi per affrontare un mondo globalizzato che ha subito trasformazioni molto grandi.
Alla luce di questi elementi, riteniamo che lo sguardo del cristiano in una dimensione politica non possa che essere interconfessionale. Questo perché, pur operando in contesti precisi, i problemi con i quali le confessioni cristiane sono chiamate a confrontarsi sono i medesimi.
Gli orizzonti non sono più nazionali, in particolare per le nuove generazioni che vivono con naturalezza la dimensione dell’incontro internazionale. Si consolidano relazioni con le diverse confessioni cristiane e si rende necessaria una conoscenza reciproca. Non si può, per esempio, leggere adeguatamente il grande dramma della guerra in Ucraina senza una comprensione della confessione ortodossa. Così come i viaggi e gli incontri di papa Francesco promuovono in modo forte una prospettiva di dialogo con l’Islam.
Per questi motivi pensiamo si possa superare la definizione di «impegno politico dei cattolici», con l’assunzione di un «impegno politico dei cristiani», esteso ed articolato in una dimensione interconfessionale e di dialogo interreligioso. Questo, non solo per le motivazioni di contesto, ma anche perché stare nella prospettiva interconfessionale ci obbliga alla continua verifica e dialogo con la diversità, e sviluppa un atteggiamento di confronto fortemente politico oltre che teologico.
Si può obiettare che questo porti a un relativismo sui contenuti e sui valori. Niente di più fuorviante. Il confronto e il dialogo devono partire da una consapevolezza significativa della propria identità. Ma è proprio questa consapevolezza che oggi è faticosa. Se in passato, l’appartenere a una cultura di riferimento (soprattutto quando era molto diffusa, come quella cattolica in Italia) dava degli strumenti e dei codici per leggere la realtà e interagire con essa, oggi invece questo compito è demandato molto di più al singolo, che deve trovare prima di tutto in sé e nella sua rete di relazioni gli elementi necessari al confronto.
Con una propria identità solida, si può entrare nello spazio della costruzione del dialogo con gli strumenti per allontanare i rischi del relativismo, nella consapevolezza di essere spesso in minoranza.
Dimensione politica
Quando parliamo di dimensione politica intendiamo considerare non solo l’aspetto istituzionale e partitico, ma anche tutte quelle forme di partecipazione associativa, comitati, gruppi di interesse e luoghi di espressione e partecipazione. Non tutte queste forme hanno un contenuto di dialogo o sono orientate al bene comune: ci si ritrova spesso con forme di partecipazione il cui fine è la tutela di gruppi di interesse che hanno contenuti fortemente autocentrati.
Nonostante emerga la voglia di allontanarsi, questi sono luoghi e pensieri da cui, in quanto cristiani, non dobbiamo sottrarci, ma abitarli con la consapevolezza che solo attraverso il confronto e un pensiero cristianamente fondato è possibile produrre cambiamenti reali nella società. Non è lo scontro o la rimozione quindi la via da perseguire, ma è la fatica di proporre, in questi contesti, un pensiero che ha radici che si fondano nella fede.
Per fare questo, il cristiano deve tenere verificato il proprio cammino nella storia con la sua conversione e la sua vita di fede. L’esperienza della relazione con Cristo apre alla necessità di cambiare, di trasformarsi, di lasciarsi interrogare da una Scrittura che parla ad ogni uomo e da una vita liturgica e di preghiera che alimenta la relazione intima con Cristo. Se questo cambia nel profondo, cambia anche il modo attraverso il quale si agisce nella storia. Nella relazione con Cristo si sperimenta la riduzione del proprio sé per lasciare spazio a un uomo trasformato e rinnovato. Ciò rende disponibili a riconoscere che nella storia abitano persone e pensieri che, seppur diversi, possono essere utili e a volte indispensabili a produrre una nuova sintesi e quindi a contribuire alle risposte ai problemi.
Questo riconoscimento è il modo per individuare i «semi del Verbo» e per costruire risposte politiche ai problemi piccoli e grandi che si sperimentano nei contesti degli uomini. Questo stare vicino e dentro le fatiche è un lavoro di ascolto e di cucitura, che fa sì che il cristiano si misuri in una necessità di sintesi politica, giuridica e legislativa.
Questione di stile
Damilano, nel suo articolo, fa riferimento all’esperienza di Verona e del sindaco Tommasi come simbolo di coerenza tra biografia individuale e impegno pubblico cristianamente orientato. Biografie come quelle di Tommasi rappresentano sicuramente punti di riferimento utili, ma possono diventarlo ancora di più se si individuano i punti forti della biografia e dell’impegno concreto per riproporli nelle tante persone sparse nel nostro paese che hanno a cuore il bene comune e intendono impegnarsi in politica.
Crediamo infatti che oggi non serva tanto creare dei «miti», ma un modo di essere diffuso che possa essere assunto da tante donne e uomini nella loro specificità culturale, sociale e geografica.
[1] In questa direzione si esprime anche il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa (nn. 166 e 167), che indica come la promozione del bene comune impegna tutti i membri della società: nessuno è esentato dal collaborare, a seconda delle proprie capacità, al suo raggiungimento e al suo sviluppo.
Mettere le proprie idee in bocca alle persone o far partecipare davvero le persone?
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