21 febbraio 2016
Qualcosa di ancora indistinto si sta muovendo attorno all’impresa politica di Matteo Renzi. Né l’assemblea del Pd del 21 febbraio ha fatto sufficiente chiarezza. Da più parti si è parlato di un “complotto” per un cambio di governo. Alcuni grandi fogli internazionali hanno posto più di un interrogativo. E ha fatto rimbombo il rimbrotto parlamentare di Mario Monti: che il Presidente del Consiglio stia più attento al galateo europeo se non vuole incappare in qualche infortunio.
Quanto alle “unioni civili” la storia è ancora in gran parte da scrivere. Per ora il pendolo oscilla tra il problematico recupero dell’appoggio dei «5stelle» e il ricorso alla fiducia, previa intesa con il Ncd e annessa modifica della legge. Costi e ricavi sono tutti da stimare.
Un bilancio
Intanto due anni sono passati da quando – immagine memorabile – un gelido Enrico Letta consegnò il campanello di Palazzo Chigi al suo arrembante successore. Dopo 24 mesi una variazione del clima rientra nella fisiologia della politica. Il potere – come è noto – «logora chi non ce l’ha» (Andreotti), ma non lascia indenne chi lo esercita. Soprattutto quando il trascorrere del tempo mette in grado di misurare lo scarto tra il programmato e il realizzato, tra il promesso e il mantenuto. E, siccome Renzi non è stato avaro nell’assumere impegni, è naturale che l’abbondante massa da rendicontare non sia tutta da iscrivere all’attivo.
Qui si può ricorrere alla dottrina militare per trovare un’immagine interpretativa appropriata: che non è quella irreparabile dell’assedio, ma quella del “disagio logistico”, cioè dell’allungamento insostenibile della catena dei rifornimenti. I manuali spiegano che tale situazione si determina quando un esercito – metti Napoleone nella campagna di Russia – si spinge troppo lontano dalle sue basi di partenza e così né armi, né munizioni, né vettovaglie arrivano più nel tempo dovuto ai reparti combattenti.
Questioni aperte
Quando poi tante sono le campagne da sostenere contemporaneamente il quadro si complica. Qualche campione dal catalogo delle questioni aperte: flessibilità di bilancio, salvataggio delle banche, immigrazione e tensioni con i partners sul versante europeo; unioni civili, occupazione, tenuta della maggioranza in Italia; e, nel Pd, attriti irrisolti attorno all’evoluzione del partito verso un “centrismo dinamico” multiuso.
Ben a ragione, il governo chiede che si apprezzino i risultati raggiunti nel biennio in condizioni tanto difficili; ma non basta. Imponente è la mole delle opere da completare (si pensi alle tante deleghe ottenute dal parlamento) e inoltre – specie nelle ultime vicende – c’è stato qualche intoppo che non può essere addebitato né ai soliti «gufi» né ai sopraggiunti «canguri». Un’analisi non emotiva imporrebbe di considerare sia il dato oggettivo della quantità e della qualità dei problemi da affrontare (magari evitando di aggiungerne altri come è accaduto ultimamente a proposito della balzana idea di decurtare le pensioni delle vedove), sia le conseguenze dei comportamenti soggettivi connessi, in particolare, alla personalità del Presidente. E questo, probabilmente, è il passaggio più scabroso: perché il carattere delle persone non si cambia agevolmente e neppure, se ci sono, si possono mascherare i difetti. A Firenze si direbbe che « ‘un si po’ mette la cravatta a i’ maiale»…
Un supplemento di saggezza
Renzi possiede tuttavia, e lo ha dimostrato, senso politico sufficiente per rendersi conto dell’esigenza di una correzione di rotta. Può essergli utile il suggerimento del padre dei sindacati cristiani, Achille Grandi, il quale usava dire che chi dirige deve saper dire al popolo quando si deve avanzare, quando ci si deve fermare e quando è il caso di ritirarsi.
Sono tre le prove dell’itinerario di legislatura che richiedono un supplemento di saggezza: le elezioni amministrative di primavera, il referendum confermativo d’autunno e il congresso del Pd. La sfida è quella di utilizzare ciascuna di tali tappe per rianimare il consenso attorno ad una proposta politica che sia aggiornata, credibile e possibilmente coerente. Il ricorso, pur motivato, al pendolarismo delle maggioranze può essere la risorsa risolutiva?
Il centrosinistra ha di fronte a sé questa prova e non può fare affidamento, per superarla, solo sul dissesto delle destre e sulla refrattaria inaffidabilità dei grillini. I guai altrui possono aiutare, ma non bastano a risolvere i propri.