«Con il governo Meloni abbiamo completamente invertito la tendenza: l’economia italiana cresce più della media UE, abbiamo raggiunto il più alto tasso di occupazione mai registrato in Italia e il maggior numero di contratti stabili». Così il sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri Giovanbattista Fazzolari, uno degli uomini più fidati di Giorgia Meloni, in un’intervista con Libero lo scorso 5 maggio.
Facciamo la verifica
È la dichiarazione politica perfetta per una verifica: contiene almeno tre fatti verificabili in modo puntuale, cioè il record di contratti e del tasso di occupazione, e la crescita migliore della media; un altro per cui c’è bisogno di fare una piccola analisi del contesto, l’inversione di tendenza. Il tutto al servizio di un chiaro messaggio generale, cioè che l’economia italiana stesse andando particolarmente bene nella primavera di quest’anno.
Per quanto riguarda i record, diciamo subito che Fazzolari aveva ragione su tutti e tre. A inizio maggio i dati confermavano una crescita italiana maggiore della media UE.
Controllando il database Eurostat si può vedere che, nel primo trimestre dell’anno, il Prodotto interno lordo (PIL) dell’Italia era cresciuto dello 0,6 per cento rispetto al trimestre precedente, mentre la media dell’UE a 27 si fermava a più 0,1 per cento (il giorno della dichiarazione di Fazzolari la situazione era un po’ diversa perché i dati erano provvisori e alcuni non ancora disponibili, ma la sostanza non cambia).
Stessa cosa per il tasso di occupazione, cioè la percentuale degli occupati nella popolazione tra i 15 e i 64 anni di età: a marzo 2023 quello italiano era del 61% circa, la percentuale più alta degli ultimi vent’anni (prima del 2004 non sono a disposizione dati mensili confrontabili). E record confermato anche per i contratti a tempo indeterminato: circa 15,4 milioni a marzo, numero più alto dal 2004.
Al di là dei freddi numeri, però, il punto della dichiarazione è un altro. E sta tutto in quella rivendicazione: «abbiamo completamente invertito la tendenza». Il governo avrebbe cioè dato una sterzata, cambiato passo, modificato la direzione dell’economia italiana.
Ecco, a guardare i numeri nel loro contesto questo però non era vero. Già nel corso del 2021 e del 2022, durante i quali al governo ci fu Mario Draghi per la gran parte del tempo, l’Italia era cresciuta più della media europea, anche se si veniva dal tonfo del 2020, l’anno della pandemia, durante il quale il risultato italiano era stato tra i peggiori del continente.
Anche i record dei contratti a tempo indeterminato e del tasso di occupazione non erano cosa nuova, visto che da anni entrambi gli indicatori crescevano in modo lento ma costante.
A voler allargare ancora più lo sguardo, poi, era piuttosto improbabile che il governo Meloni, insediatosi a fine ottobre 2022, avesse ottenuto un cambio di passo dell’economia così deciso in appena sei mesi, senza peraltro prendere provvedimenti particolarmente rivoluzionari in materia economica. Insomma: i dettagli erano giusti, il messaggio complessivo del tutto sbagliato.
Come fare fact-checking
Questo esempio racconta bene che cosa fa il fact-checking politico (= verifica), un genere di informazione nato negli Stati Uniti nei primi anni Duemila e diffusosi poi in mezzo mondo da allora. Nell’ambito statunitense ha ottenuto riconoscimenti importanti, come il Premio Pulitzer per il giornalismo nazionale vinto da PolitiFact nel 2009, e vi si dedicano giornalisti molto conosciuti, come il fact-checker del Washington Post Glenn Kessler o Oliver Darcy della CNN.
Spesso si indica con fact-checking anche un tipo di verifica piuttosto diversa – per obiettivi, strumenti, pubblico – ovvero quella che si occupa delle bufale diffuse online, dei video o delle foto manipolate o perfino delle leggende metropolitane.
Per far meno confusione sarebbe meglio indicare questa seconda operazione con il nome di debunking, ma il comune obiettivo di valutare la veridicità di qualcosa – insieme al fatto che chi si occupa di fact-checking politico qualche volta si dedica anche al debunking, e viceversa – fa utilizzare il primo termine anche nel secondo campo di applicazione. Al rischio di qualche confusione, ma è una battaglia semantica forse perduta.
Informare o convincere
I politici non amano essere l’oggetto del fact-checking. Un paio di giorni dopo la pubblicazione del nostro articolo sulla dichiarazione di Fazzolari, durante un comizio ad Ancona, Giorgia Meloni se la prese proprio con «quelli che fanno il fact-checking» che «ti devono contestare per forza perché sono numeri e i numeri non mentono!», accusandoci di aver voluto negare i record del suo governo. In realtà li avevamo confermati, ma avevamo fatto notare che non si era trattato di nessuna «completa inversione di tendenza».
Come abbiamo visto nell’esempio da cui siamo partiti, è spesso una questione di contesto.
Le dichiarazioni politiche non hanno l’obiettivo di informare, ma di convincere, accrescere il consenso, ottenere voti.
Al contrario, informare dovrebbe essere il compito del giornalismo: per cui, se un politico mette in giro dati sbagliati, o dà un’interpretazione scorretta dei numeri e dei dati di fatto, dovrebbe esserci qualcuno là fuori a provare a correggerlo.
La scelta dei temi dipende quindi dalle occasioni contingenti e i politici sceglieranno di commentare alcuni fatti piuttosto di altri, perché funzionali al loro messaggio.
Nessun esponente del governo ha fatto gran dichiarazioni sui risultati del Pil negli ultimi sei mesi, com’è comprensibile: nel secondo trimestre dell’anno il Pil italiano è calato dello 0,3 per cento e in quello successivo (dati del 31 ottobre) è rimasto fermo.
Ma il governo è stato rapido a intestarsi il calo dell’inflazione, almeno a parole, salvo riconoscere nei documenti ufficiali che il merito in larga parte non è suo.
Un anno al potere
In un anno di governo Meloni, Pagella Politica ha verificato diverse centinaia di dichiarazioni (tra cui circa duecento di Giorgia Meloni) e ha riassunto i risultati in un libro pubblicato da poco, Bugie al potere. Abbiamo anche analizzato le cento promesse più importanti fatte dal centrodestra in campagna elettorale e verificato il loro livello di attuazione.
Come se l’è cavata il governo, in generale?
Fare un bilancio è difficile e ancor più lo è confrontarlo con i precedenti, perché è inevitabile dare un giudizio che rischia di suonare di parte o politico. In più, chi si occupa di fact-checking tende a un certo scetticismo generale e a vedere solo le dichiarazioni scorrette. Meglio far parlare i risultati del fact-checking e lasciare a ciascuno di farsi la propria idea.
Per fare qualche esempio delle dichiarazioni del governo certamente sbagliate, poco dopo l’insediamento e sull’onda di un fatto di cronaca l’esecutivo è intervenuto sui rave party, corredando le nuove norme con la tesi piuttosto strampalata che l’Italia fosse una sorta di paradiso delle feste di musica elettronica illegali, cosa non vera.
Giusto qualche giorno fa Matteo Salvini ha rivendicato con orgoglio che i rave sarebbero scomparsi nel nostro Paese, ma è falso pure questo.
Lo stesso Salvini, ministro delle Infrastrutture, ha detto più volte che il Ponte sullo Stretto costerebbe come un anno del Reddito di cittadinanza, ma gli stessi documenti del governo, come il Documento di economia e finanza di aprile scorso, lo smentiscono riportando stime ben più alte (circa 13,5 miliardi contro circa 7).
Anche sui benefici promessi ha dato per certi ben 120 mila posti di lavoro, ma le stime sono assai varie e da prendere con prudenza.
Blocco navale e altre falsità
Verificare le dichiarazioni vuol dire anche tenere d’occhio il dibattito politico con continuità, accorgendosi di cambi di rotta, contraddizioni e smentite. Che, nell’incostante politica italiana, poco ancorata a convinzioni ideologiche forti, incline all’esagerazione e refrattaria ai progetti di lungo periodo da portare avanti con coerenza, avvengono in continuazione.
Ad esempio, Fratelli d’Italia ha proposto per anni la soluzione del blocco navale (un atto di guerra secondo il diritto internazionale), salvo poi fare marcia indietro e dire che era una «scorciatoia semantica» poco prima del voto.
Qualche volta poi ci si imbatte in numeri del tutto strampalati: come quando il ministro Adolfo Urso dichiarò che il settore dell’automotive italiano vale il 20% del PIL, percentuale assai fuori scala.
Ma questa dell’esagerazione del peso di un settore economico è una vera e propria costante della retorica italiana: abbiamo sentito negli anni numeri mirabolanti sul peso del turismo sulla nostra economia (che probabilmente non va oltre il 6-7%), anche se la più curiosa in questo settore riguarda il calcio italiano e risale a qualche anno fa, quando un ex sottosegretario del M5S dichiarò che valeva il 7% del PIL e dava lavoro a 120 mila persone. Anche in questo caso, numeri in libertà.
Il fact-checking politico, se fatto bene – e bisogna dire che spesso i media italiani dimostrano di non capire davvero che cosa sia, chiamando fact checking articoli o servizi televisivi che sono veri e propri pezzi d’opinione – dovrebbe servire a capire da dove vengono i numeri, perfino a fare un po’ di alfabetizzazione numerica in un Paese piuttosto refrattario alla matematica e a maneggiare bene gli ordini di grandezza.
Più in generale, il fact-checking prova a dare contesto al nostro dibattito politico, a fornire qualche punto fermo in un dibattito spesso caotico e incostante.
- Dal Substack di Stefano Feltri, Appunti, 11 novembre 2023