Dar vita ad un nuovo partito di ispirazione cristiana? L’impresa sembra avere pochissime possibilità di successo.
Ricalca i contenuti del Manifesto Zamagni il documento politico-programmatico oggetto di discussione di un’assemblea tenutasi a Roma, che ha deciso di dare vita a un nuovo partito di ispirazione cristiana denominato “Insieme”. Esso dovrebbe esordire nelle elezioni comunali della prossima primavera.
Ebbi modo di esprimere la mia opinione al riguardo sulla rivista di Città dell’uomo Appunti di cultura politica. Come anche allora, non avrei difficoltà a sottoscrivere quei contenuti. È sull’utilità e sulla praticabilità politica del nuovo partito che nutro riserve. Mi spiego: proprio la difficoltà di dissentire rivela il limite genuinamente politico dell’impresa.
Rifare la Dc?
Il documento enuncia esplicitamente le sue due principali fonti ispiratrici: la Costituzione e l’insegnamento sociale della Chiesa. E, in effetti, tali contenuti ideali risuonano egregiamente nel testo. Ma sono sufficienti a propiziare una loro implementazione politica? O piuttosto essi, per loro natura (universalistica), sono suscettibili di essere trascritti entro prospettive e percorsi politici diversi?
Altro riferimento esplicito è l’eredità democratico-cristiana. Ma, anche qui, domando: non era la Dc – l’espressione è di Gabriele De Rosa – una «grande convenzione di consensi», un contenitore largo e plurale di personalità e di culture politiche contrassegnato da una peculiarità (rispetto ai partiti convenzionali) non riproducibile fuori da quelle particolarissime coordinate storico-politiche e segnatamente dalla guerra fredda e dalla tendenziale unità politica dei cattolici, in una società a sfondo cristiano?
Mi chiedo: non è anche questa – e non solo i limiti delle persone che ci si sono cimentate – la ragione di fondo per la quale, dopo la Dc, gli innumerevoli esperimenti tesi a dare vita a partiti centristi a denominazione cristiana si sono risolti in mediocri ed effimere operazioni minoritarie?
Dossetti, sul finire della sua vita, per paradosso e a modo di provocazione, si spinse sino a sostenere che sarebbe più facile la riproposizione del comunismo defunto e fallito che non la rinascita di un partito sul modello della Dc, attesa appunto la particolarissima congiuntura che ne propiziò la altrettanto particolarissima esperienza.
Ci sono poi le vecchie e controverse questioni, solo all’apparenza politiciste, del centro politico e del bipolarismo.
Nel documento si decreta il fallimento del bipolarismo forzato. Meriterebbe discuterne. Ad affossarlo ha certo contribuito l’inopinata pretesa di spingersi sino a un forzoso, innaturale bipartitismo (Berlusconi a destra, Veltroni e Renzi a sinistra), che è cosa diversa dal bipolarismo.
Quale “terzietà”?
Ma io penso che le democrazie sane, ancorché in varie forme, rispondano a una dinamica bipolare. Sia perché una limpida competizione tra campi di forze portatrici di programmi alternativi fa bene alla democrazia (Moro definiva difficile e incompiuta la nostra democrazia priva di alternanza); sia perché, ancor più in radice – sulla scorta di Bobbio – mi riconosco in una concezione dialettica e non irenico-consociativa della politica.
Se ne può discutere dottamente. Ma poi chi intende dare vita a un partito deve fare i conti con il contesto politico concreto e con i suoi altrettanto concreti attori. Almeno in tre sensi.
Primo: c’è uno spazio politico agibile al centro? Osservando oggettivamente il caso nostro, registriamo esperienze decisamente minoritarie, che faticano a decollare.
Secondo: prima di varare un partito nuovo, è utile interrogarsi sulla permeabilità di altri eventuali partiti già in essere ai propri contenuti ideali e programmatici.
Terzo: considerando in concreto le forze in campo, chiedersi se il proprio posizionamento centrista e la propria terzietà non possa risolversi in una sorta di equidistanza tra destra e sinistra. Non in astratto, insisto, ma in concreto: tra la destra di Salvini e Meloni e la sinistra del PD e dei suoi alleati. Una equidistanza che sembra adombrata nel documento e che – posso sbagliare – non mi pare coerente con i contenuti socialmente avanzati del Manifesto.
E, aggiungo sommessamente, con il riferimento al magistero di papa Francesco – cui si riserva un saluto e un ringraziamento inusuali in un documento politico – che faccio fatica a raccordare con un posizionamento politico centrista e moderato o comunque neutrale ed equidistante. Si pensi solo alle sue severe critiche al modello capitalistico e alle sue basi individualistiche o alla sua spiccata sensibilità per le istanze sociali e partecipative dei movimenti popolari, ben distinte dalle fallaci sirene dei populismi.
Non voglio far dire al papa ciò che non dice, ma, leggendo con attenzione la sintesi del suo magistero sociale condensata nella Fratelli tutti, si ricava l’impressione che egli prospetti sì una “terza via”, ma – qui la novità – di una terzietà da intendere in senso diverso rispetto a quello di un passato ormai lontano: non come via mediana tra modello liberal-capitalista e collettivista-socialista (oggi fuori gioco), ma intesa come via distinta, altra e alternativa alle due al presente in campo, quella neoliberale e quella populista. Dunque, terza sì ma non mediana, non di centro, di sicuro non moderata. Semmai più audace e radicale nell’ambizione di “cambiare il mondo”. L’opposto della tacheriana massima TINA (“there is no alternative”).
Una cristianità minoritaria e politicamente divisa
Infine, un cenno alla dichiarata ispirazione cristiana, che, in un passaggio, si concreta in una posizione precisa su materie eticamente sensibili. Sta bene, naturalmente nella consapevolezza che quei principi vanno poi elaborati e mediati in sede politica-legislativa, ma forse anche dentro un partito che si vorrebbe culturalmente plurale. L’asserita, apprezzabile laicità implica l’arte e la fatica del dialogo e della mediazione dentro la nostra società pluralistica e secolarizzata.
So bene che ai promotori è ben chiara la differenza tra partito confessionale e partito autonomo di ispirazione cristiana e tuttavia, quando si vara un partito orientato, si deve essere consapevoli che – con una cristianità socialmente minoritaria e politicamente (e legittimamente) divisa – un’adeguata base di consenso tra i cristiani sulla quale far leva è oggi assai più esile e problematica di quanto lo fosse ieri. Una consapevolezza che rinvia di nuovo all’esigenza di un accurato calcolo delle chances di consenso e di spazio politico adeguati all’impresa.
Posso sbagliare, ma, da parte della stessa Chiesa, non mi pare di rilevare la diffusa domanda di un nuovo, autonomo partito d’ispirazione cristiana. Anche pastori diciamo così “concretisti”, un tempo solleciti per una visibile ed efficace presenza politica dei cattolici italiani – penso al cardinale Ruini – si sono espressi criticamente. Forse perché scettici sulla consistenza e la rilevanza di tale iniziativa. Semmai suggerendo di impegnarsi nei partiti già in campo, senza neppure escludere un “dialogo” (?) con Salvini e Meloni.
Anche la parte più presenzialista della Chiesa italiana cui preme “contare” politicamente sembra più interessata a interloquire con partiti forti e già affermati.
Capisco che non tutti i politici sono “uguali” ovvero incapaci, ce ne sono di bravissimi, sono i programmi molto ambigui.
I Cristiani devono aprire spazi di inclusione ma le idee non devono essere tiepide perchè il nostro modello Gesù è stato molto chiaro e non ha mai ammesso ambiguità o tiepidezze.
Io appoggerei un soggetto politico con qualsiasi percentuale di consensi ma che mi rappresenta.
Il partito deve essere certamente moderno e dinamico ma senza se e senza ma affondare le sue radici nella dottrina sociale della chiesa. Possibile che nel momento del voto dobbiamo sempre rassegnarci a compromessi alle volte perdonatemi la parola “disgustosi”? Possibile che abbia sempre vergogna di dire agli altri per chi ho votato?
Cristiano viene da Cristo, cara signora che si firma Angela. Far finta di non sapere è uno scherzo che non fa più ridere.
Viva il pluralismo
“Posso sbagliare, ma, da parte della stessa Chiesa, non mi pare di rilevare la diffusa domanda di un nuovo, autonomo partito d’ispirazione cristiana” … Infatti sbaglia: la chiesa raccomanda ai laici di venire fuori ed impegnarsi in politica per il bene comune, trasformando la pasta del mondo con il lievito del Vangelo, in tutti i documenti. Se alcuni laici per loro stessa iniziativa vogliono fondare un partito che si ispiri esplicitamente ai principi cristiani sono liberissimi di farlo e non hanno bisogno di nessun imprimatur. Ci sono tanti partiti dai numeri molto bassi … al limite della soglia, perché non dovrebbe esserci un partito come insieme? Anche se non tutti i punti del loro programma sono condivisibili da tutti i cristiani, sarebbe una possibilità di scelta in più e lo vedo positivo.
Caro “Angela” chi si nasconde nell’anonimato può scrivere di tutto, spesso polemizzando con gli autori dei contributi, ma non è questo il dialogo. Ma tu chi sei? Una donna o un uomo? Un prete o un laico? Un teologo che prova a vedere l’effetto che fa …? A mio avviso, modesto avviso da giornalista, un commento richiede il cominciare a ragionare pacatamente riguardo ai contenuti, che si possono condividere o meno ovviamente, ma abbandonando le polemiche pregiudiziali e, soprattutto, indicando la propria (vera) identità.
Viste le premesse, sarà un nuovo PD.
Solo molto più insignificante.
Cristiano chi sarebbe: Magister o Melloni? Tosatti o Grillo? GPII o Bergoglio?
Se non si trova una grammatica comune la parola cristiano diventa flatus vocis e non ha numeri che vadano al di là della mera occasionalità nemmeno per fare una riunione di condominio.