La guerra ormai in corso contro Hamas ha bisogno di una strategia e un orizzonte politico prima ancora che militare. Qual è il futuro di Israele: uno stato integrato al suo interno e nella regione oppure sotto assedio?
C’è stato chiaramente un fallimento di intelligence nell’attacco di Hamas a Israele, ma più profondamente c’è stato un fallimento di strategia[1]. È venuta a mancare l’idea che Hamas sarebbe stata tranquilla nella striscia di Gaza mentre Israele si concentrava nell’acquisizione di territori in Cisgiordania. Questo fallimento strategico ha trasformato di nuovo il problema palestinese da questione domestica a questione internazionale.
Nel corso degli ultimi vent’anni infatti il mondo arabo ha gradualmente preso le distanze dalla questione palestinese e progressivamente ciò ha posto le basi per una serie di normalizzazioni di rapporti diplomatici di Israele nella regione. Ma la premessa di tutto questo era che l’instabilità procurata dai palestinesi non oltrepassasse un certo limite.
Sugli altri fronti
L’assalto di sabato non era un attacco terroristico ma una vera offensiva militare coordinata. Hamas è stata in grado di iniziare una guerra contro Israele e questo sta spingendo i paesi arabi a dover riconsiderare le loro posizioni.
Inoltre ciò si inserisce di fatto in un contesto estremamente volatile. Una guerra tra Israele e Hamas aiuta la Russia nel suo conflitto in Ucraina poiché distrae l’Occidente nel suo appoggio a Kiev. Inoltre dà una centralità all’Iran che da una parte ha sostenuto e organizzato l’attacco di Hamas dall’altra parte è uno dei maggiori fornitori di armi alla Russia contro l’Ucraina.
La prospettiva di Mosca potrebbe riservare qualche sorpresa. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu aveva scommesso su una relazione speciale con il presidente russo Vladimir Putin, che avrebbe potuto contribuire a garantire le azioni di Hamas attraverso le pressioni esercitate dalla Siria.
Questo elaborato gioco di rimandi si è chiaramente sgretolato. Non è chiaro se Putin sapesse dell’attacco e abbia deciso di non avvertire Netanyahu e, di conseguenza, cosa accadrà con i passati stretti legami israeliani con Mosca, che poi sostiene anche una consistente e vocale comunità emigrata in Israele recentemente dalla Russia.
Rischi da evitare
Israele sta preparando una forza di intervento che può tenere Gaza completamente sotto controllo. Le truppe che si schierano al confine hanno infatti l’antica proporzione napoleonica per l’occupazione, un soldato per 20 abitanti, centomila uomini dell’esercito contro due milioni di abitanti di Gaza.
Comunque è difficile pensare che Israele possa rimanere a lungo a Gaza. I costi e le difficoltà di tutti i generi di una occupazione di lungo termine del territorio potrebbero essere enormi.
Israele quindi ha bisogno di una nuova strategia complessiva verso i paesi arabi e verso i palestinesi. C’è bisogno di un orizzonte chiaro per evitare la saldatura tra le due guerre in Israele e in Ucraina ed evitare o limitare l’allargamento del conflitto che potrebbe andare fuori controllo e già in questi giorni impattare i mercati con effetti imponderabili.
Solo così si arginerebbe il ruolo politico di Teheran che sta evidentemente tessendo una complessa trama politica in tutta la regione, esportando i suoi problemi politici interni all’estero.
Mentre non c’è voglia nella regione di isolare l’Iran ma tentare di integrarlo nelle dinamiche locali, non c’è pure voglia di cadere sotto una guida politica iraniana che passa per alimentare guerre intorno a sé. Israele quindi ha un’opportunità per sviluppare una sua nuova politica e ruolo regionale che abbracciando un’integrazione regionale isoli gli estremisti in Iran e così metta in difficoltà il regime.
Prospettiva politica
I palestinesi a Gaza e in Cisgiordania non possono semplicemente sparire. Devono essere in qualche modo considerati e integrati nello sviluppo futuro di Israele e devono essere sottratti alla nefasta influenza politica di Hamas o altri estremisti islamici. Questo il punto politico principale che deve essere dichiarato e definito il prima possibile per tagliare erba sotto i piedi agli estremisti che soffiano sul fuoco di un allargamento del conflitto.
Questa guerra deve essere un successo politico e non solo militare per Israele. Se il conflitto in Israele si allargasse andando fuori controllo e si innestasse strutturalmente nella guerra in Ucraina non sarebbe impossibile pensare in uno scontro che coinvolga anche l’Europa e magari arrivi fino alla Cina.
Cosa significa in termini interni politici e sociali per Israele deve essere compreso dalla società israeliana per amore del suo futuro e del suo benessere. La questione deve essere spostata da un ambito religioso a un ambito pratico e politico.
Se si ferma in un ambito religioso si fa il gioco di Hamas che pone la questione appunto in termini religiosi. La prospettiva politica di una soluzione palestinese contribuirebbe a isolare l’Iran e costruire nuovi rapporti con il mondo arabo. In questa fase poi il coordinamento di Israele con ogni attore politico diventa essenziale.
[1] Vedi intervista a Ely Karmon https://www.quotidiano.net/esteri/israele-attacco-hamas-ely-karmon-intervista-1d133de4 e Gideon Rachman https://www.ft.com/content/aa7eb6ba-6dc1-46dc-b96a-b7c3a1b0446e
“Finisce una grande illusione, sono 56 anni che Israele occupa territori abitati da milioni di palestinesi e si illude di poter custodire una democrazia domestica però negandone allo stesso tempo il diritto all’autodeterminazione del vicino di casa”.
Gad Lerner