Italia-Governo: l’illusione nucleare

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La professoressa Margherita Venturi è docente presso il Dipartimento di Chimica dell’Università di Bologna e Presidente della Associazione Energia per l’Italia. Nell’intervista, curata da Giordano Cavallari, la prof.ssa Venturi replica alle recenti affermazioni sul nucleare del Ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin (cf. La Stampa, 20 settembre 2024).

  • Gentile Margherita, il ministro Pichetto Fratin, con gli industriali italiani, sostiene che, per affrontare il costo troppo elevato dell’energia in Italia, “l’unica soluzione è il nucleare di nuova generazione”. Secondo lei?

In effetti in Italia il costo dell’energia per cittadini e imprese è lievitato sensibilmente negli ultimi anni, superando di gran lunga quello degli altri paesi europei. Ciò è dovuto al fatto che noi siamo legati mani e piedi al gas e osteggiamo lo sviluppo delle rinnovabili che, invece, nel nostro paese hanno grandissime potenzialità. Basterebbe aumentare la quota di solare ed eolico per abbassare sensibilmente il prezzo dell’energia, come è ben evidenziato dall’esempio di paesi quali Spagna e Portogallo. Quindi, non è vero che l’unica soluzione è il nucleare di nuova generazione, anzi su questa affermazione c’è molto da discutere.

Il ministro dice che abbiamo bisogno del nucleare perché con le sole rinnovabili non ce la si può fare e che, quindi, il nucleare ci serve a tamponare quando l’offerta rinnovabile non riesce a coprire la domanda. Questo, però, significa che i reattori lavorerebbero gran parte del tempo a una potenza inferiore a quella nominale; forse il ministro non è stato informato che il costo del kWh elettrico per il nucleare dipende principalmente dall’ammortamento del capitale e, pertanto, è economicamente competitivo solo se il reattore produce il più possibile; in altre parole, per un reattore nucleare il costo del kWh aumenta rapidamente con il diminuire della produzione. La conclusione è che il nucleare è inadatto ad affiancare le rinnovabili e non avremo nessun beneficio sul costo dell’energia.

Comunque, ammesso e non concesso di voler assecondare l’idea del ministro, quando i cittadini e le imprese comincerebbero a spendere meno? Il nucleare richiede tempo, un tempo troppo lungo che i cittadini e le imprese, messi in ginocchio dall’attuale situazione economica, non possono aspettare. Come dicevo all’inizio, l’unica strada da battere è quella di potenziare le rinnovabili, cosa che nel nostro paese si può fare benissimo e, snellendo la burocrazia, anche velocemente. Fra l’altro il ministro dovrebbe sapere che esiste un Piano per la Transizione Ecologica, approvato l’8 marzo 2022 dal Comitato Interministeriale per la Transizione Ecologica, in cui si dice che l’apporto delle rinnovabili alla generazione di energia elettrica dovrà raggiungere almeno il 72% nel 2030 e arrivare pressoché al 100% nel 2050.

  • Sempre il ministro si fa forte del fatto che il nucleare di nuova generazione è “inserito nella tassonomia europee quale fonte green”. Cosa vuol dire?

La tassonomia verde europea classifica le attività economiche che possono essere definite ecosostenibili; fra queste, ovviamente, rientra la produzione di energia con la conseguente identificazione delle fonti energetiche da usare per non impattare negativamente sull’ambiente, soprattutto per quanto riguarda l’emissione di gas climalteranti. La pressione delle lobby del fossile e quella dei paesi nuclearisti hanno spinto affinché gas ed energia nucleare venissero inserite nell’elenco delle fonti energetiche sostenibili. Così, a partire dal 1° gennaio 2023, gas e nucleare hanno avuto la patente green, una decisione che, giustamente, ha scatenato un acceso dibattito che continua ancora.

Per quanto riguarda l’energia nucleare è molto facile dimostrare che si tratta di una fonte energetica insostenibile sia dal punto di vista ambientale sia economico e sociale; i punti fondamentali si possono così riassumere:

si producono scorie radioattive pericolose per decine di migliaia di anni, la cui collocazione in sicurezza è un problema non risolto e forse irrisolvibile;

il combustibile nucleare, l’uranio, è una risorsa non rinnovabile, scarsa e, quindi, molto costosa;

la dismissione di una centrale nucleare a fine vita è un problema di difficile soluzione sia dal punto di vista tecnico che economico, tanto che lo si lascia in «eredità» alle prossime generazioni;

gli incidenti di Chernobyl (1986) e Fukushima (2011) hanno dimostrato che un incidente nucleare grave può accadere anche in paesi tecnologicamente avanzati con conseguenze non delimitabili nello spazio e nel tempo;

il nucleare civile può essere sia obiettivo che motivo di attività terroristiche; nell’Ucraina occupata dai russi, la centrale di Zaporizhzhya è usata come scudo con la minaccia di innescare, volutamente, un incidente;

la costruzione di una centrale nucleare richiede più di 20 anni e il costo finale supera di molte volte quello inizialmente previsto; Citigroup, la più grande azienda di servizi finanziari del mondo, già nel 2009 aveva perentoriamente affermato: «New nuclear: the economics say no» e, dopo il disastro di Fukushima, The Economist ha scritto: «Nuclear power: the dream that failed»;

il timore di incidenti o di contaminazioni con sostanze radioattive rende socialmente difficile il reperimento di siti in cui costruire le centrali;

l’espansione del nucleare civile favorisce la proliferazione di armi nucleari;

per il suo altissimo contenuto tecnologico, il nucleare aumenta le disuguaglianze fra le nazioni e può portare a nuove forme di colonialismo.

***

  • Tutto ciò si riferisce all’attuale nucleare e, quindi, il ministro potrebbe obiettare che le cose stanno in maniera totalmente diversa per il nucleare di nuova generazione.

Se per «nuova generazione» intendiamo gli Small Modular Reactor (SMR) incappiamo negli stessi gravi problemi dei reattori convenzionali per quanto riguarda il consumo di uranio e il collocamento delle scorie. Infatti, uno studio accurato condotto su questi piccoli reattori dimostra che ci sono perdite di neutroni e che le scorie sono più voluminose, più reattive e più difficili da trattare di quelle dei reattori convenzionali. La decisione presa nel novembre 2023 dalla NuScalePower americana di abbandonare il suo SMR flagship project, nonostante il supporto di 4 miliardi di dollari ricevuto dal governo, la dice lunga.

Il ministro, comunque, non si lascia intimidire da queste difficoltà e la sua prospettiva sarebbe quella di dislocare i piccoli reattori modulari nei vari distretti industriali, senza considerare che per ora si tratta solo di prototipi e che ci vorrà ancora molto tempo per renderli «commerciali». La proposta è, pertanto, impensabile e assolutamente irrealizzabile nei tempi da lui indicati, tanto che viene il sospetto che verranno spesi tanti soldi senza realizzare nemmeno un impianto in 15/20 anni.

Ma la mente del nostro ministro è molto fertile e quando parla di nucleare di nuova generazione si riferisce anche agli Advanced Modular Reactor (AMR); in questo caso è proprio difficile sapere quanto sostenibili saranno, visto che sono ancora sulla carta e non ci sono studi in merito.

In conclusione, nelle dichiarazioni del ministro si leggono tante parolone su tecnologie d’avanguardia, anche fantasiose, che possono incantare i creduloni e dare l’illusione che l’Italia sia una nazione leader in ambito nucleare; in realtà, basta conoscere un po’ questa tecnologia, per rendersi conto che tutto ciò che il ministro propone è irrealizzabile, soprattutto in un paese come il nostro. Definirei le sue dichiarazioni solo un’arma di distrazione di massa, o quattro chiacchiere fatte al bar fra amici.

  • Non è vero, dunque, che per gli ormai prossimi anni Trenta avremo la possibilità di passare dalla sperimentazione alla produzione di nuovi moduli nucleari in Italia, avendo aziende italiane alla guida dei principali e dei più avanzati progetti, sia nel campo della fissione che della fusione?

Io non credo che si riuscirà a passare dalla sperimentazione alla produzione di nuovi moduli nucleari in Italia in tempi ragionevoli, anche perché le nostre aziende non hanno tecnologie proprie: usano quelle acquistate da altri paesi. Ci tengo a ribadire che il nucleare da fissione (l’unico di cui si può parlare), sia quello attuale che ancor di più quello di nuova generazione è un’impresa complessa, costosa e non adatta per il nostro territorio; utilizzare questa tecnologia richiede un impegno e una pianificazione che non siamo in grado di fare. È vero che partecipiamo a grandi progetti, ma in casa altrui e i frutti che abbiamo ottenuto sono pochi se non nulli; basta pensare al coinvolgimento dell’ENEA nel progetto ITER, che va avanti da anni senza risultati concreti a fronte di tanti soldi spesi; e la collaborazione dell’ENI con l’MIT di Boston che, secondo il Presidente dell’ENI Descalzi, dovrebbe portare nel 2030 alla realizzazione della prima centrale industriale basata sulla fusione a confinamento magnetico. Il 2030 è molto vicino e di dati su questa fantomatica centrale non c’è neanche l’ombra. Ormai dovremmo aver capito che la fusione nucleare è e rimarrà, forse per sempre, un mito.

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  • Alla obiezione che non esiste ancora una normativa al riguardo dei nuovi impianti nucleari, il ministro risponde che entro la fine di quest’anno il Governo sarà pronto a varare un disegno di legge al riguardo. Sufficiente la rassicurazione?

I ministri, compreso Pichetto Fratin, di cose ne dicono tante; la saggezza popolare, però, ci insegna che fra il dire e il fare c’è di mezzo il mare e, se è coinvolta la politica, questo mare può diventare infinito. Ammesso, comunque, che questa volta il nostro governo voglia stupirci, avere un disegno di legge non garantisce che poi tutto proceda nel verso giusto. Anzi, in questo caso, mi auguro proprio che l’idea folle del nostro ritorno al nucleare fallisca: l’unica speranza perché non vengano buttati via troppi soldi.

  • Il governo ha incentivato la ricerca sul nucleare con un finanziamento all’ENEA. Come funziona il rapporto tra Enti di ricerca pubblici e aziende private?

Per passare dalla ricerca alle realizzazioni pratiche, cioè per avere sviluppo tecnologico, la strada ottimale è proprio quella di una buona collaborazione fra enti di ricerca pubblici e industrie private. Si tratta spesso di un rapporto difficile perché gli obiettivi di questi due partner a volte sono diversi, ma è, comunque, fondamentale. Chi fa ricerca lavora per primo, ovviamente nel settore di sua competenza, e poi trasferisce i risultati ottenuti alle industrie che devono verificarne la fattibilità.

Il caso del nucleare, come detto prima, è molto complesso per cui le competenze richieste sono diversificate e riguardano svariati settori. Ad esempio, dopo le dichiarazioni d’intenti del ministro, pare che si stiano stringendo intese fra Saipem, Newcleo, Webuild, Ansaldo Nucleare, Edison, Ansaldo Energia, Federacciai, Framatome, Politecnico di Milano ed ENEA, che, sempre in base a indiscrezioni trapelate, parteciperanno e collaboreranno ciascuno per il proprio ambito specifico. Tutto questo «movimento», però, fa piuttosto insospettire: dà l’idea di una gran corsa per divedersi i finanziamenti in gioco: sui tempi e i risultati si vedrà!

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  • Sulle scorie, il ministro risponde che le «vecchie scorie» potrebbero essere lasciate in Francia e in Inghilterra, continuando a pagare un affitto. In futuro potrà darsi un unico deposito geologico europeo. Mentre il «vero problema» sarebbe costituito in Italia dai rifiuti radioattivi di origine, soprattutto, sanitaria. Si risolvono così i problemi delle scorie?

Mi dispiace dover contraddire ancora il ministro, perché le scorie delle nostre centrali dismesse devono rientrare dalla Francia e dal Regno Unito entro il 2025 (che è dietro l’angolo) in base a un accordo del 2006. Devono rientrare e non sappiamo dove metterle. Ciononostante, stiamo pensando a un ritorno al nucleare. Questa è pura follia: dimenticare un problema aggiungendone un altro!

Mettere le scorie in un deposito è un’idea che va molto indietro nel tempo e che ha dimostrato tutta la sua difficoltà. Gli Stati Uniti ci hanno provato senza successo, mentre in Europa avremo il deposito tanto sospirato! Infatti, in Finlandia nel 2025, o al più tardi nel 2026, verrà aperto il primo deposito al mondo di scorie nucleari; si chiama Onkalo, che in finlandese significa cavità, è situato nella foresta di Olkiuoto, ha richiesto quasi quarant’anni di lavoro e un investimento di circa 3,5 miliardi di euro.

A parte il fatto abbastanza preoccupante che, a ridosso della sua apertura, si sta ancora discutendo su come trattare le scorie prima di tombarle, l’aspetto più sconvolgente è che, a fronte di tanto lavoro e di tanti soldi spesi, il deposito avrà vita molto breve, meno di 80 anni, dal momento che nel 2100 sarà pieno e dovrà essere chiuso. Quindi, le scorie delle centrali nucleari restano e resteranno un problema.

Il ministro dice che non è questo il vero problema, ma che il «vero problema» in Italia è costituito dai rifiuti radioattivi di origine, soprattutto, sanitaria. Con l’atteggiamento tipico dei nostri governanti, per nascondere il vero problema se ne tira fuori un altro, che praticamente non esiste. Infatti, i rifiuti radioattivi ospedalieri hanno livelli di radioattività e tempi di decadimento totalmente diversi da quelli delle scorie delle centrali nucleari e sono facilmente gestibili: vengono immagazzinati in un deposito temporaneo all’interno della struttura sanitaria in attesa di decadimento e poi vengono inceneriti.

Se per questi rifiuti una soluzione c’è, per le scorie delle centrali nucleari la soluzione al momento non c’è. Il deposito finlandese è una soluzione temporanea e non ottimale, fra l’altro non è detto che potrà ospitare le nostre scorie. Il ministro, prima di riproporre il nucleare, dovrebbe pensare che abbiamo sulla testa anche la spada di Damocle delle nostre vecchie scorie!

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Un commento

  1. Andrea Cappelletti 8 ottobre 2024

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