Italia viva, governo morto?

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Le fibrillazioni dentro l’attuale governo suggeriscono un’approfondita riflessione sulle mosse e gli obiettivi di Italia Viva di Matteo Renzi.

Mentre scrivo, la crisi di governo non è formalmente aperta e forse non lo sarà. E tuttavia la crisi politica della maggioranza che lo sorregge è nelle cose. A produrla e a certificarla, Italia viva, sia con i suoi reiterati voti con l’opposizione di destra, sia con la conclamata diserzione dei suoi esponenti di governo dal Consiglio dei ministri. Atti che hanno sortito la reazione del premier Conte, uomo per indole controllato, e un certo allarme al Quirinale.

Aprire una crisi di governo: perché?

Il paradosso è il seguente: la crisi è squadernata, ma la sua formalizzazione è complicata per due ragioni.

La prima (oggettiva) è che non è facile immaginare i suoi sviluppi e una soluzione a seguire, anche per un ingorgo istituzionale: la via delle urne, al momento, è preclusa dal referendum costituzionale confermativo del taglio dei parlamentari fissato per la fine del prossimo mese di marzo.

La seconda (soggettiva) perché un po’ tutti, le forze di maggioranza ma non esse solo, hanno comportamenti spesso irresponsabili e persino irrazionali, che si spiegano esattamente alla luce della consapevolezza/convinzione che al voto a breve non ci si può andare. Un serio problema, perché, ai fini di una democrazia sana, è bene che, alla bisogna, non sia per principio preclusa la via del voto come misura di igiene politica. Anche alla scadenza non naturale.

Attore protagonista di tale accelerazione, come si diceva, Matteo Renzi, leader di Italia viva. A differenza di molti osservatori, i quali sostengono che non sia chiaro il senso del suo scomposto movimentismo – chiedo scusa per la presunzione – a me invece riesce decisamente evidente.

La sopravvivenza di Renzi

Altra cosa il giudizio di valore su di esso. E il mio, come dirò, è il più critico e severo. Ma andiamo con ordine.

Per vivere o anche solo sopravvivere – questa l’idea di Renzi – ogni santo giorno Iv deve inventare, spesso artificiosamente, un distinguo dalla maggioranza di governo, guadagnandosi così visibilità e, nella comunicazione politica, una sua ragion d’essere.

Per come si è prodotta l’estemporanea scissione a freddo dal Pd è quasi una regola matematica. Acuita, nel corso dei mesi, da tre ulteriori fattori: l’indole corsara e “guerrigliera” del suo leader; la scommessa (fallita) sulla celere lievitazione dei consensi accreditati a Iv dai sondaggi; la tenuta e anzi la pur lenta ripresa del Pd che Renzi confidava di svuotare, attestata di recente dal buon risultato nell’attesissimo e cruciale test elettorale in Emilia-Romagna.

Oggi riesce più chiara anche la ragione dell’improvvisa piroetta con la quale Renzi aprì ai detestati 5 stelle dopo la crisi del governo giallo-verde di agosto, propiziando e quasi imponendo il Conte 2 a uno Zingaretti riluttante. Far partire il nuovo esecutivo esattamente allo scopo di farlo fibrillare sin dal giorno dopo, con l’accusa di uno sbilanciamento a sinistra, di una subalternità del Pd al M5S…

In realtà, neppure il giorno dopo, già il giorno stesso: nelle stesse ore nelle quali giuravano i ministri del nuovo esecutivo, Renzi operava la scissione. Sino all’affronto di ministri e sottosegretari entrati il giorno prima in quota Pd e il giorno dopo migrati con lui. Senza un solo cenno a ipotesi di dimissioni francamente doverose.

Contraddizioni e incoerenze

Sin qui la spiegazione, tutto sommato agevole, di comportamenti tuttavia indifendibili sul piano del giudizio etico e politico. Mi limito a enumerare alcune vistose incoerenze e contraddizioni.

Primo: la manifesta sproporzione dell’oggetto sul quale, da ultimo, ci si è spinti al limite della crisi di governo, ossia la riforma della prescrizione. Domando: a fronte delle priorità di un paese economicamente e sofferente, merita stressare la questione della prescrizione al punto da generare la crisi di governo?

Secondo: specie se si rammenta la ragione con la quale Renzi motivò la sua giravolta e dunque l’apertura al Conte 2 e cioè la minaccia rappresentata da un Salvini premier per la democrazia e la collocazione internazionale dell’Italia.

Terzo: si consideri pure il merito – complesso, anche per le sue tecnicalità giuridiche – della questione prescrizione. Si può discutere la concreta soluzione normativa, ma le statistiche, l’evidenza e pronunzie di Consulta e Cassazione attestano che esiste (eccome!) il problema di centinaia di migliaia di processi ogni anno che si estinguono appunto per la decorrenza della prescrizione. Una giustizia negata! Del resto, fu una storica battaglia dell’opposizione democratica all’abnorme dilatazione dei termini deliberata dai governi Berlusconi con le sue leggi ad personam.

Ancora: la norma voluta da Bonafede (già vigente) è abbondantemente temperata e corretta nella versione proposta da Conte, mediando dentro la maggioranza.

Senza ragioni di legge

L’ex presidente della Corte costituzionale Valerio Onida ha spiegato da par suo che il testo emendato è già tutt’altra cosa, riguarda pochissimi casi. Come non bastasse, raccogliendo le giuste sollecitazioni di Pd e Iv, il governo ha convenuto di varare contestualmente la nuova prescrizione e riforme atte a ridurre la durata dei processi.

Lo stesso Renzi, qualche anno fa (2014), dopo la sconcertante sentenza del processo Eternit, tuonò contro la prescrizione dei processi e autorizzò il capo gruppo Pd in Commissione giustizia a depositare una proposta di legge che prevedeva il blocco della prescrizione dopo il primo grado di giudizio. Dunque, una soluzione molto di più spinta del “lodo Conte” di oggi.

Quanto poi al suo rivendicato, intransigente garantismo, Renzi fa conto sulla smemoratezza: prima di scalzare Letta da palazzo Chigi, egli invocava le dimissioni della ministra Cancellieri, neppure raggiunta da un avviso di garanzia; poi, alla guida del governo, spinse sbrigativamente alle dimissioni due suoi ministri, la Guidi e Lupi, anch’essi neppure indagati, perché non ne sortisse ammaccata l’immagine dell’esecutivo. Insomma: riesce evidente il carattere strumentale e pretestuoso della battaglia sulla prescrizione.

Quarta, la contraddizione politica. Renzi è entrato in scena cavalcando e persino esasperando una visione maggioritaria della democrazia, che semplificasse il sistema politico, che lo riconducesse a due schieramenti e persino a due grandi partiti tra loro in competizione (un bipolarismo proteso al bipartitismo).

Italia viva e crisi di governo

È la celebre “vocazione maggioritaria” di un Pd autosufficiente, che non stringe alleanze, ove il leader è anche candidato premier. Un modello politico-istiuzionale che ispirava anche la sua riforma costituzionale poi bocciata dal referendum. L’esatto opposto di partiti e partitini che campano grazie a una legge elettorale proporzionale, la quale esalta i particolarismi. La logica e l’orizzonte di Italia viva. Di più: la condizione stessa della sua stentata sopravvivenza.

Quinto: il posizionamento e le priorità programmatiche di Renzi quasi coincidono con quelle un tempo interpretate da FI: dalla giustizia al fisco, terreno qualificante dell’orientamento politico. La rivendicata battaglia no-tax è una caratteristica issue delle destre occidentali, USA ed europee.

Mettere le carte in tavola

Sia chiaro: se Italia viva, nel declino del berlusconismo, riuscisse nell’impresa (ma la vedo quanto mai difficile) di patrocinare in prospettiva una destra liberale ed europeista, potrebbe essere buona cosa per la democrazia italiana. Ma dovrebbe perseguire tale obiettivo con trasparenza, sgombrando il campo dagli equivoci, non esercitandosi quale “genio guastatori” o Ghino di Tacco nel fronte di un centrosinistra in via di ricostruzione.

Sesto – ma sono solo alcune delle contraddizioni di Renzi –: fu lui e paradossalmente non Veltroni, non Bersani, alla guida del Pd, a condurre il partito nella famiglia dei socialisti europei. In coerenza con lo schema qui rammentato, quello di un Pd partito di centrosinistra nitidamente alternativo al centrodestra nel solco dell’Ulivo.

Oggi Iv, nell’europarlamento, si appresta a confluire nei centristi capeggiati da Macron. È ragionevole. Ma, domando a lui e a chi ha condiviso in passato la sua politica dentro il Pd (praticamente tutti, senza vere opposizioni), la sua traiettoria e il suo approdo non gettano una luce retrospettiva sulla stagione a lui intestata? Egli lamenta di essere stato contrastato dentro il Pd («facevano la guerra al Matteo sbagliato») in quanto percepito come un alieno. A parte che non risponde a verità: egli fece del Pd il prototipo del partito personale, disponendo di un potere senza paragoni rispetto ai suoi predecessori prossimi e remoti.

Ma soprattutto ciò che è seguito mostra come quella percezione di una estraneità di Renzi non fosse così peregrina. Tempo fa, in una conversazione confidenziale, Graziano Del Rio, oggi capogruppo Pd alla Camera, ma ieri braccio destro e “fratello maggiore” di Renzi, confidò di avere inteso che il suo obiettivo fosse quello di mettere le basi per la distruzione del Pd quando, alla vigilia della elezione politiche del marzo 2018, Renzi scelse nominalmente tutti i candidati sicuri da portare in parlamento.

Un partito senza elettori

È da chiedersi perché non si sia reagito come si conviene a tale percezione. A ben vedere, come da copione (la cosa evidentemente era stata pensata), il grosso dei parlamentari approdati a Iv vengono dal gruppo Pd. A conferma del sospetto di Del Rio.

Infine: impropriamente si parla del partito di Renzi. Allo stato, esso non può vantare né elettori né propri eletti. Trattandosi appunto di protagonisti di transumanza parlamentare. Personalmente sono contro la cancellazione della non imperatività del mandato parlamentare, un principio liberale fissato in Costituzione: un “rappresentante della nazione”, in casi eccezionali, deve poter cambiare gruppo. Ma, appunto, come stretta eccezione alla regola: non mi spingerei al punto da considerare la cosa normale, avallando l’idea che lo si possa fare con leggerezza. Una pratica un tempo censurata quando la patrocinava artigianalmente Mastella o, con altri più persuasivi mezzi, Berlusconi. Non abbiamo bisogno di fornire ulteriore materia al discredito della politica.

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