C’è un modo di districarsi nella matassa delle menzogne, imbrogli, doppiezze, tatticismi che – si fa per dire – anima oggi il dibattito pubblico in Italia (e non solo)?
Chi ha memoria sa che non c’è niente di nuovo, ma deve ammettere che si percepisce un’accentuazione che è sintomo di aggravamento.
La difficoltà è sempre la stessa: scoprire dove sia la menzogna e quale uso ne venga fatto.
Allora si ricorre alla regola aurea, d’impronta andreottiana, che recita: «A pensar male si fa peccato ma si indovina sempre». Della quale esiste però anche una versione brianzola attribuita da una tradizione orale a papa Ratti (Pio XI): «A pensà’ ma’ se fa pecca’ ma s’induina semper». Ma non basta. Perché non c’è uno svolgimento lineare del confronto tra la menzogna e il suo rovescio, la verità.
La «ribollita toscana»
Si pensi al caso di quella che potremmo chiamare la… ribollita toscana. Non c’è solo un figlio preoccupato e premuroso che ammonisce il padre che sa essere loquace (e forse mendace): «Babbo non dire bugie». C’è anche la congettura che i due abbiano imbastito una recita – dell’uno o di entrambi – per ingannare quanti – gendarmi o giornalisti – stavano ad orecchiare.
Attorno a questo episodio – ma non è il solo – tutti si interrogano, secondo consuetudine, sui rimedi da adottare per scongiurare gli aspetti degenerativi più rilevanti. Quali interventi effettuare, quali leggi predisporre? A quali livelli collocare gli sbarramenti? A quello, terminale, del giornalista che trova (o riceve) la notizia e la pubblica, o a quello, iniziale, del magistrato, o del cancelliere, o del carabiniere, che lascia cadere in corridoio un brogliaccio di intercettazioni?
Conflitto corporativo
In Italia sono decenni che ci si accapiglia su queste misure di carattere normativo senza giungere a risultati apprezzabili. E ciò anche perché ognuno dei soggetti in causa – la magistratura, il giornalismo, la politica – immagina che, nella logica delle corporazioni, agli altri tocchi di fare non solo il primo ma anche il secondo o il terzo passo.
Con l’esito catastrofico per cui, pur trattandosi in genere di materie che hanno a che vedere con il diritto penale, il giudizio di merito sulle singole vicende non si costruisce nelle aule di tribunale ma nel… rito abbreviato (e sommario) di un’opinione pubblica che oggi non è più solo della carta stampata o della parola trasmessa nell’etere ma anche e sopratutto nelle convulsioni anarchiche, e anche acefale, di una “rete” senza bussola.
Perdere la salvezza
In queste condizioni la previsione più attendibile è che ci si rassegni al… fatale andare delle cose. A favore del quale si possono esibire i luoghi comuni cristallizzati in massime lapidarie di autori famosi. Come Bernard Shaw: «Esistono cinque categorie di bugie: la bugia semplice, le previsioni del tempo, la statistica, la bugia diplomatica e il comunicato ufficiale».
Con l’esperienza che corre a sostegno ricordando, ad esempio, l’esibizione in sede ONU delle “prove” delle armi chimiche di Saddam Hussein per giustificare l’intervento USA in Iraq. O evocando (memoria personale) gli annunci del Quartier generale fascista, anni Quaranta, che usava la locuzione «rischieramento sulle posizioni prestabilite» per non dire che le nostre truppe in Libia si stavano precipitosamente ritirando.
La storia, insomma, certifica che esiste un’articolata consuetudine tra la menzogna e la politica. Il modello della “volpe” ne Il Principe Machiavelli codificava l’inganno come proprietà della «ragion di stato». Una visione che transita anche in autori moderni, come Michael Walzer, quando asserisce che in politica non può esserci spazio per l’etica, perché la politica, a volte, impone scelte che fanno «perdere la salvezza», perché violano i principi morali.
L’antidoto democratico
E tuttavia proprio la storia – intendo qui la storia del pensiero – mostra che è possibile mettersi in cerca di un modo di organizzare la società che riesca non dico a debellare l’uso politico della menzogna ma a renderle… la vita difficile.
Fino a questo momento l’unico antidoto in questo campo è stato rappresentato dalla democrazia intesa come pubblicità del processo decisionale o, se si vuole, come trasparenza delle responsabilità. Era il l’assillo di Kant, per il quale ciò che avviene nel segreto è predisposto ad essere ingiusto e dannoso; ché, se fosse vero e giusto, verrebbe fatto in pubblico.
Ed è Norberto Bobbio a indicare che i pericoli per la democrazia vengono dalle aree più abituate al segreto, cioè il potere burocratico e il potere militare.
Non altrimenti, e da tutt’altra angolazione, Pio XII, nel radiomessaggio in cui decretava il “via libera” dei cattolici verso la democrazia, ammoniva che tutto sarebbe «stato vano» se il cittadino comune «vive nel sospetto che dietro la facciata di quello che si chiama stato si cela il gioco di potenti gruppi organizzati».
Il pericolo è il segreto
Il discorso – come si vede – tende ad ampliarsi ben oltre il perimetro delle baruffe… familiari e l’orizzonte delle dispute politiche della nostra provincia. E indirizza la ricognizione in una direzione del tutto opposta a quella che, in genere, si va seguendo.
Se è nella segretezza e nel riserbo che attecchisce la pianta delle menzogna, l’obiettivo da perseguire è quello del massimo sviluppo della pubblicità delle procedure e delle opzioni.
E se anche nelle aree democraticamente più evolute si verifica il fenomeno per cui, come nel campo della moneta, l’opinione cattiva scaccia quella buona, occorre fare in modo che, nel discorso pubblico, quest’ultima trovi spazio e argomenti per affermarsi. Diversamente, sarà inevitabile il declino del sistema democratico nelle forme dell’oligarchia e/o della tirannia ben note fin dai tempi di Aristotele.
I tre comandamenti
Il tema concerne le istituzioni e quanti esercitano ruoli di responsabilità all’interno di esse. Ma riguarda anche e in primo luogo i titolari del potere democratico, quanti cioè costituiscono il popolo degli elettori attivi.
Nella mia esperienza di promozione sociale mi è accaduto, tra le altre suggestioni, di proporre a chi opera in politica una versione semplificata del Decalogo riducendoli a tre i comandamenti: non uccidere, inteso come promuovere la pace; non rubare, inteso come non arricchirti; non mentire, inteso come rispetto della realtà.
Malgrado sconfitte e delusioni, resto convinto che solo una riscoperta o riabilitazione di alcuni valori essenziali può aiutarci a liberarci dalla falsa coscienza per cui la politica non può fare a meno della menzogna.