Mentre, il 25 aprile, in Italia si commemorava la ricorrenza della Liberazione dal regime nazifascista, il governo conservatore del Regno Unito, guidato da Rishi Sunak, dava il via al rastrellamento dei richiedenti asilo diniegati, casa per casa, con uno stile che appariva già collaudato nel secolo scorso: teatralità esibita per dimostrare che è possibile costringere i richiedenti asilo a fare fagotto indipendentemente dalla loro volontà e a venire imbarcati in areo con destinazione Ruanda. Sbirciando oltre i tentativi di oscurare i volti delle vittime – misero tentativo di malcelato pudore – si è potuto vedere che si trattava di persone dalla pelle chiara, probabilmente asiatici.
Il Regno Unito
Il paese di arrivo – il Ruanda – non è del tutto affrancato dal massacro di oltre 800.000 persone avvenuto 30 anni fa: un paese dichiarato, a tale scopo, «sicuro» verso cui instradare individui illegalmente entrati in Gran Bretagna superando la barriera d’acqua che separa dalla Francia. Il paese africano rappresenta tuttora un elemento di instabilità regionale, sia per le infiltrazioni di milizie nel vicino Kivu, sia per la permanenza al potere di un personaggio, Kagame, che non molla lo scranno da sempre, dal 2000 Presidente della Repubblica del Ruanda.
Il Paese ha preparato, per l’acquartieramento dei nuovi arrivati, i vecchi stabili in cui venivano alloggiati gli orfani del genocidio. La promessa del governo britannico, oltre al sostegno alla crescita economica del Ruanda, è di aiutare gli approdati ad inserirsi nel paese ospitante. Ricordo che il Ruanda viaggia al 40% di disoccupazione e non riesce a procurare alloggi decenti ad una fetta non indifferente dei propri cittadini. Già i malumori interni si sono manifestati.
Si tratta di una nuova guerra tra poveri, alimentata da una semplice dottrina: «Più minacci e fai soffrire i richiedenti asilo, più disincentivi i loro parenti o amici a intraprendere la medesima avventura». In altre parole: annichilire sul nascere ogni tentativo. Perché affrontare la morte – per niente – nel tentativo di attraversare la Manica?
L’operazione è stata approvata dal parlamento inglese. Il Guardian, in un suo articolo, ricostruisce i costi di tutta l’operazione. Il fondo per la Promozione economica e per l’integrazione – Fund for Economic Transfromation and Integration (ETIF) – richiederà un esborso di 370 milioni di sterline nel prossimo quinquennio, di cui 220 già versati nel 2022, per la preparazione delle strutture e dei percorsi di supposta inclusione.
Il costo calcolato per 300 deportati ammonterebbe, per servizi vari, tra cui quello sanitario, a 490 milioni di sterline dati al Ruanda; altri 6 milioni servirebbero per le spese personali dei deportati, 45 milioni per le pratiche inerenti alle domande di asilo e i sistemi di sicurezza per 5 anni. Il totale è di 541 milioni di sterline, ossia 1,8 milioni per ogni persona espulsa: un’operazione che rischia di costare tra gli 11 e i 20 miliardi di sterline alla fine del 2026.
Con ogni probabilità il Regno Unito riuscirà a deportare meno dell’1% dei richiedenti asilo, ma con un enorme dispendio di risorse economiche, oltre che ledendo i diritti umani e mettendo in discussione la civiltà di cui la vecchia potenza coloniale si è sempre fatta vanto.
Al 26 marzo di quest’anno, 4.464 persone avevano raggiunto le coste inglesi con piccole imbarcazioni, nonostante le minacce di deportazione. Ma le elezioni municipali di inizio maggio hanno dato danno un segnale negativo al premier britannico. Forse, il suo disperato tentativo di stare a galla attaccando i migranti, in un paese multietnico di fatto, non gli ha dato ragione. L’eventuale governo labour, che potrebbe a questo punto succedergli, ha già annunciato che disdirà questo accordo.
L’accordo europeo sui flussi e sulla richiesta di asilo
Il Regno Unito sta al Ruanda come l’Italia all’Albania: un pozzo di risorse gettate al vento per un assioma ideologico irraggiungibile con sistemi di repressione e minacce. È il respiro corto della politica europea, causato dall’aria appestata di razzismo e di rancore che investe tutti i paesi dell’Unione in un contesto di restringimento sempre più marcato delle libertà civili. Le destre continuano a soffiare caligine sulle tematiche migratorie, tematiche che hanno come capro espiatorio meno dell’1% della popolazione del continente.
Nel 2023 – dati Eurostat – l’Europa ha concesso 409.485 status di protezione internazionale su 1,1 milioni di domande di asilo. La popolazione dell’Unione nel 2023 era di 448 milioni: i richiedenti asilo rappresentavano lo 0,24% della popolazione totale; i richiedenti riconosciuti nell’anno rappresentavano lo 0,09%. Questi dati non garantiscono alcun legittimo fondamento all’allarmismo e alle pregiudiziali, sempre più pesanti, nei confronti di chi cerca una vita più sicura e migliore.
E, nonostante questi dati, l’Europa ha ritenuto necessario, nel parossismo elettorale che sta coinvolgendo tutti i partiti in corsa per il prossimo parlamento, mettere a punto un accordo programmatico sulla gestione dei flussi migratori e le procedure di richiesta di asilo.
Nei preamboli delle proposte di legge e nei nuovi regolamenti, risuona ancora il ritornello della Presidente, Ursula von der Leyen: «Responsabilità e solidarietà tra i paesi membri». Ma non sono bastati tre Regolamenti di Dublino a chiarire i rapporti davvero «solidali e responsabili» tra i partner. La nuova proposta è sbandierata come un grande successo della politica restrittiva dell’Italia e dei Paesi Visegrad, con al seguito i problemi sollevati dalle destre in Germania e Francia.
Il comunicato stampa del 21 dicembre scorso da parte del Consiglio d’Europa, cioè dei Capi di Stato o di governo di tutti i Paesi dell’UE, sotto presidenza spagnola, annunciava un accordo sui fondamenti politici per dare inizio alla stipula di cinque regolamenti chiave riguardanti il quadro giuridico dell’UE in materia di asilo e migrazione.
Sinora, ogni stato ha ritenuto opportuno leggere e applicare, alla propria maniera e secondo i propri interessi, gli strumenti legislativi. Le discrezionalità palesi e affermate in ordine sparso in tutti i paesi UE – o di libera circolazione come la Svizzera – hanno di fatto svuotato di autorità e di autorevolezza ogni decisione. Ora la proposta è di squadernare in 5 dispositivi regolatori quello che sinora si è dimostrato disatteso e contrastato soprattutto dai paesi dell’Est Europa, con a capo l’Ungheria di Orban.
Il 10 aprile scorso la Presidente della Commissione Europea, in presenza della Presidente del Parlamento Europeo, Metsola, e del primo ministro Belga, De Croo, in merito all’adozione del Pact on Migration and Asylum, affermava trattarsi di un giorno storico, esito di lunghe trattative e di un duro lavoro tra gli stati membri. Probabilmente l’approssimarsi delle elezioni del Parlamento europeo giustifica una tale forma di autocelebrazione, sperando di incontrate i consensi di una popolazione sfiancata da crisi economiche ed energetiche e segnata profondamente dal conflitto russo-ucraino.
«Efficace, umanitaria e sicura»
Gli avvoltoi in cerca di criticità e rancori interni alle società europee hanno trovato lauti banchetti a danno di migranti e richiedenti asilo, capri espiatori di una politica inetta, propria di chi non sa esplorare percorsi innovativi e aperti per affrontare con cognizione di causa i disordini sociali attuali riequilibrando interessi e poteri.
Le grandi compagnie di investimenti multinazionali spostano continuamente sullo scacchiere del pianeta l’obiettivo dei loro profitti e dei mercati più redditizi, lasciando che imprese e storie sociali europee finiscano in una strada senza uscita. La soluzione offerta dalle politiche attuali, deboli e meschine, è quella di aumentare la platea delle povertà additando a colpevoli gli ultimi arrivati, e investendo il capitale politico nel rancore e nella stigmatizzazione dei problemi, più che nella ricerca di soluzioni eque ed efficaci.
L’Europa, soprattutto con Italia e Francia, ha introdotto una cittadinanza sotto condizionale per 5-10 anni per i residenti naturalizzati. In altre parole, una cittadinanza di seconda categoria, che, per reati gravi, può essere ritirata. Una chicca di civiltà figlia dell’ipocrisia e dell‘arte della dissimulazione propria delle democrazie europee in profonda crisi di identità e di significato.
Il Consiglio d’Europa dichiara in merito: «La EU e i suoi stati membri stanno intensificando sforzi per stabilire una politica migratoria europea» che sia «efficace, umanitaria e sicura». Lo stesso Consiglio definisce le priorità strategiche di questo percorso. Un mandato viene dato per prendere contatto con i paesi di partenza dei richiedenti asilo per verificarne le condizioni e promuovere iniziative di cooperazione, inclusi gli accordi di riammissione in caso di respingimento.
Molte le perplessità
I cinque regolamenti proposti, tra cui lo screening veloce e approfondito dei nuovi arrivati, incluse le rilevazioni biometriche e le modalità di allontanamento di coloro che provengono da Stati ritenuti sicuri, hanno la pretesa di creare un dispositivo complessivo in grado di raccogliere tutte le questioni inerenti all’immigrazione e la protezione internazionale.
Il tema della ridistribuzione tra gli Stati membri e i costi delle politiche di respingimento, anche delocalizzando i luoghi di detenzione al di fuori della UE, restano problemi irrisolti e irrisolvibili, sia per motivi di insostenibilità economica che per palese contraddizione con la CEDU, la Carta Europea dei Diritti Umani, oltre che con le Convenzioni Internazionali sottoscritte da tutti gli Stati membri dell’Unione.
Sono molte le perplessità che queste innovazioni legislative portano in sé: minori tutele dei diritti umani, poca attenzione alla condizione dei minori non accompagnati, modalità di detenzione che inaspriranno le criticità già dimostrate dagli attuali CPR. In diversi passaggi, si afferma di dare compiti di controllo e monitoraggio a strumenti e organi indipendenti senza dare esaurienti descrizioni e definizioni delle tutele.
Molte ONG e organi internazionali di tutela dei diritti dei rifugiati e degli immigrati hanno espresso dissenso. L’accelerazione delle procedure decisionali sulla sorte di persone in cerca di protezione pare proprio affidare l’efficacia dei dispositivi adottati non tanto alla congruità della definizione del profilo dei richiedenti asilo, ma alla dimostrazione della capacità di allontanare ed espellere persone, comperando la complicità dei paesi terzi di transito o degli stessi paesi di origine dei richiedenti asilo.
Si afferma un concetto di cooperazione che non tiene in alcuna considerazione il benessere e lo sviluppo dei popoli, ma solo gli interessi connessi alle politiche interne della UE e dei suoi paesi membri.