Nonostante l’accordo Cina-Vaticano, la situazione dei cattolici nel Regno di Mezzo continua ad essere precaria. L’accordo concluso nell’autunno scorso con Pechino lascia disorientati molti cristiani. I cattolici sotterranei temono che il cammino verso una Chiesa nazionale diventerà sempre più inevitabile. Mons. Wolfang Huber, presidente del China Zentrum di Sankt Augustin (Germania) – un’associazione per la promozione dell’incontro e dello scambio tra le culture e le religioni in Occidente e in Cina –, descrive in questa breve intervista quali sono le preoccupazioni dei fedeli e invita a prenderle sul serio.
– Mons. Huber, nell’autunno scorso il Vaticano ha concluso un nuovo accordo con la Cina. Quali effetti ha avuto a suo parere nella vita della Chiesa nel Paese?
Ci sono numerose voci critiche, in particolare da parte di coloro che fanno parte della Chiesa sotterranea, ma anche in altri circoli ecclesiastici. In effetti, nessuno sa esattamente cosa implichi questo accordo. È tutto segreto. Nessuno sa se si tratta realmente di una concessione al governo cinese o dell’opportunità, da parte del papa, di essere riconosciuto come capo della Chiesa cattolica. La grande sfida per la Chiesa in Cina è questa: come si presenta l’opera di riconciliazione con coloro che hanno sopportato tante repressioni e patito grandi sofferenze o che ne sono ancora esposti e che ancor oggi sono impegnati nella Chiesa sotterranea?
– Quali sono le reazioni nella Chiesa sotterranea?
Molti fedeli della Chiesa sotterranea temono che l’influsso dello Stato su di essa possa aumentare ulteriormente. Hanno paura che la Chiesa sotterranea diventi parte della Chiesa nazionale cattolica cinese, anziché rimanere una Chiesa cattolica in senso universale. Inoltre, i cattolici della Chiesa sotterranea si chiedono cosa succederà con Taiwan. Molti dicono: noi non abbiamo ancora avvertito nulla in seguito all’accordo. Anzi, c’è un aumento delle restrizioni, i problemi dell’attività religiosa diventano sempre più difficili.
– Perché ritiene che il Vaticano, proprio in seguito a queste crescenti restrizioni, abbia compiuto un passo verso la leadership cinese, soprattutto per quanto riguarda le nomine dei vescovi?
Al momento, nessuno sa come siano regolate le procedure per le nomine episcopali. Perciò penso che si tratti ancora di speculazioni su quanto è detto lì. Si ritiene che, per il Vaticano, proprio in base alle crescenti restrizioni sia giunto il tempo di fare un passo avanti per trattare. Speriamo che l’accordo possa anche consentirci, come Chiesa cattolica, di raggiungere i fedeli della Cina.
– Le restrizioni aumentano anche per quanto riguarda la libertà in internet. Crede che lo spiraglio per le trattative si possa allargare?
Ho l’impressione che i responsabili politici abbiano soprattutto paura dell’influsso dall’esterno. Lo dimostra anche il fatto che è proibito trasmettere contenuti di fede ai bambini o che le piattaforme internet vengono chiuse. Dietro c’è la paura di perdere il potere.
– Che cosa può fare la Chiesa nel paese per rendere possibile una riconciliazione anche con la Chiesa sotterranea?
Anche da parte del papa bisogna che sia riconosciuto apertamente quanto la Chiesa sotterranea ha subìto e si faccia conoscere pubblicamente la sua sofferenza. Solo così è possibile la guarigione. Se, da un giorno all’altro, diciamo che con l’accordo adesso tutto è a posto, la sofferenza di coloro che sono stati incarcerati non sarà risarcita. Si tratta di una storia di sofferenza che deve essere presa molto sul serio, come altre. Soprattutto per quanto riguarda i martiri della Chiesa sotterranea. Occorre assumerla e riconoscerla come storia della Chiesa. Soltanto allora potrà avvenire un processo di guarigione (KNA, 23 aprile 2019)