L’America che non ci si aspettava più

di:

denigrazione dei valori che stanno alla base di questa nazione

Adesso è la volta dei minerali “insanguinati”, la cui estrazione da parte di multinazionali alleate con le milizie della Repubblica Democratica del Congo è stata approvata dal presidente americano Trump con un decreto esecutivo a effetto immediato dai risvolti potenzialmente devastanti per i prossimi mesi. Ammontano almeno a 5 milioni le vittime – in miniera o a causa delle violenze da parte delle milizie della Repubblica Democratica del Congo – legate al mercato dei metalli e pietre preziose come oro, coltan e diamanti che fornisce materie prime ad aziende USA: un businness, denunciato dai missionari (in particolare gesuiti) e fermato dal presidente Obama che aveva imposto alle imprese l’obbligo della tracciabilità e la dimostrazione di non essere coinvolte. Decreto ora cancellato, in nome della sicurezza nazionale.

Solo la punta di un iceberg che, di ora in ora, assume proporzioni gigantesche: perché chi vive negli Stati Uniti testimonia che, a tamburo battente, è in continua crescita il numero di decisioni e decreti che rinviano l’America su strade che si credevano ormai abbandonate. Troppi sono i segnali, e a 360°: il bando alle immigrazioni dai paesi a maggioranza musulmana (esclusa, per interessi economici, l’Arabia Saudita!), la costruzione del muro al confine con il Messico, la rimozione della lingua spagnola come lingua ufficiale da anni affiancata all’inglese in alcuni Stati a grande immigrazione ispanica (pensiamo alla California dove aumenta anche il numero di asiatici …), le concessioni per oleodotti in zone protette, l’impulso all’estrazione di carbone e petrolio, la rimozione dai siti governativi di ogni cenno al tema ambientale (dai cambiamenti climatici all’inquinamento), le autorizzazioni sempre più larghe alle aziende sia per quanto riguarda vincoli ambientali che di tutela del lavoro, la stretta sulla sanità pubblica, sul diritto allo studio, sui portatori di handicap e sulla povertà…

L’America si riscopre egoista, razzista, populista e a rischio “blindatura”

In estrema sintesi, il presidente cinese Xi Jinping al recente vertice di Davos in Svizzera si era espresso così riguardo alla politica della nuova amministrazione (peraltro ben presente in tutta la campagna elettorale): «Il protezionismo è come rinchiudersi in una stanza buia: si tengono fuori il vento, la pioggia e gli insetti molesti, ma anche l’aria per vivere».

Chi è stato testimone delle manifestazioni all’università di Berkeley in California (non dimentichiamo che sulla stessa Telegraph Avenue erano iniziate le proteste contro la guerra del Vietnam) o incontra americani di indiscussa fede democratica racconta tutta la disperazione di chi vede sgretolarsi ogni diritto riconosciuto in un Paese che aveva faticato non poco a scrollarsi di dosso il mito della superiorità e della forza a favore di quell’uguaglianza anche di etnia e colore della pelle che aveva portato per la prima volta nella storia, a poco più di 100 anni dall’assassinio del presidente Lincoln e a 40 da quello di Martin Luther King, un afroamericano alla Casa Bianca.

La reazione dei cattolici

Dal versante ecclesiale la voce, almeno quella ufficiale, sembra essere di rifiuto unanime.

Se nelle convulse settimane che hanno preceduto il voto erano stati i vescovi a esprimere timori in merito a certe intenzioni espresse dal candidato repubblicano alla presidenza (in particolare in tema di immigrazione e protezione delle fasce più deboli con l’abolizione della riforma sanitaria), alla vigilia dell’insediamento di gennaio i presidenti della Leadership Conference of Women Religious (LCWR) e della Conferenza dei superiori maggiori maschili (CMSM), che rappresentano più di 55 mila religiosi degli Stati Uniti, avevano inviato una Lettera al presidente eletto Donald Trump ricordandogli il dono e la responsabilità della leadership.
Maria Pellegrino csj e Brian Terry sa, lo scorso 18 gennaio esprimevano «profonda preoccupazione per le fratture e divisioni che minacciano il benessere e la libertà di tutti gli americani e quanti giungono come profughi sulle nostre coste»: di qui l’appello per un «impegno rispettoso e civile di accoglienza».
Nel contesto del Messaggio del santo padre per la Giornata mondiale della pace sollecitavano il presidente eletto Trump ad applicare le beatitudini nell’esercizio delle rispettive responsabilità, «una sfida a costruire società, comunità e imprese, agendo come operatori di pace, mostrando misericordia e rifiutando di scartare le persone, danneggiare l’ambiente o voler prevaricare il prossimo ad ogni costo».

Il 30 gennaio la LCWR, dicendosi «profondamente turbata da molti dei recenti ordini esecutivi»,  faceva seguire una seconda missiva al presidente ormai nel pieno delle sue funzioni.

«Le priorità senza un reale fondamento e la denigrazione dei valori che stanno alla base di questa nazione, stanno incombendo su tutti noi» inizia la lettera delle madri superiore che esprimono subito la loro preoccupazione per i risvolti in materia di immigrazione, rifugiati e il lororeinsediamento: «decreti come il bando a quanti provengono dai paesi musulmani servono solo a minacciare le comunità di confine, costringere alla clandestinità i membri della comunità di immigrati e mettere in pericolo coloro che fuggono la violenza. Questi ordini esecutivi non servono certo ad aumentare la sicurezza, anzi potrebbero anche sortire l’effetto opposto».

Le suore, «sconvolte da alcune decisioni fino a ieri inimmaginabili», stigmatizzano poi le spese per la costruzione del muro e la sua ulteriore militarizzazione, spese che dirottano finanziamenti già destinati alla salute, all’istruzione e ai programmi sociali. Il testo ricorda al presidente la grave crisi dei rifugiati a livello mondiale, una crisi senza precedenti, dove più di 61 milioni di persone sono state sfollate dalle loro case, più che in qualsiasi altro momento dalla Seconda guerra mondiale in qua. Di questi circa 21 milioni sono rifugiati, la maggior parte dei quali bambini spesso costretti a fuggire dalle loro case con violenza impensabile. «E ora l’amministrazione Trump intende costringere tutti noi a voltare le spalle a famiglie che sono letteralmente a rischio per la loro vita».
La nazione americana ha una lunga storia di accoglienza degli immigrati e dei rifugiati e le religiose hanno avuto la fortuna e la gioia di essere in grado di accompagnare e servire le comunità di immigrati e di rifugiati in tutto il paese per un tempo molto lungo. Di qui un monito a Trump: le suore cattoliche resteranno sul campo per accogliere i rifugiati e le famiglie che arrivano in questo Paese perché «arrestare o minare il programma di reinsediamento dei rifugiati negli Stati Uniti espone a grave pericolo i rifugiati più vulnerabili, donne e bambini perlopiù in fuga dalla violenza di guerre e conflitti».
Ma c’è di più: «Ci opponiamo con forza ai tentativi del presidente Trump per limitare la nostra capacità di ascoltare la chiamata di Dio ad accogliere lo straniero (Mt 25,35) e prendersi cura di chi ha più bisogno (Mt 25,40) e siamo particolarmente preoccupate per nuove regole che neghino l’accesso ai rifugiati a causa della loro religione, razza o nazionalità. Si tratta di una violazione della nostra fede e di ogni norma di semplice umanità».

Vescovi in prima persona

Anche alcuni vescovi si sono esposti in prima persona contro il Muslim Ban: tra questi l’arcivescovo di Chicago. «Questo fine settimana – scriveva il cardinale Blaise Cupich a fine gennaio – si è rivelato un momento oscuro nella storia degli Stati Uniti. L’ordine esecutivo per respingere i rifugiati e chiudere le porte della nostra nazione a quanti, in modo particolare musulmani, fuggono dalla violenza, dall’oppressione e dalla persecuzione è contrario tanto ai valori cattolici quanto a quelli americani. Non abbiamo forse ripetuto le disastrose decisioni di quanti nel passato hanno respinto altri popoli in fuga dalla violenza, lasciando certe etnie e religioni emarginate ed escluse? Noi cattolici conosciamo bene questa storia perché, come altri, siamo stati dall’altra parte della barricata per queste decisioni». «Ci è stato detto che non si tratta della “messa al bando dei musulmani” – aggiunge Cupich – che era stata proposta durante la campagna presidenziale, ma è un fatto che queste azioni sono focalizzate su Paesi a maggioranza musulmana. Fanno un’eccezione per i cristiani e le minoranze non musulmane, ma non per quei profughi musulmani che scappano per mettere in salvo le proprie vite. Ironia della sorte, questa messa al bando non include il Paese d’origine di 15 dei 19 attentatori dell’11 settembre», concludeva il cardinale in riferimento all’Arabia Saudita, ricordando altresì le parole usate da papa Francesco nel suo storico Discorso al Congresso, nel settembre 2015: «Se vogliamo sicurezza, diamo sicurezza; se vogliamo vita, diamo vita; se vogliamo opportunità, provvediamo opportunità. La misura che usiamo per gli altri sarà la misura che il tempo userà per noi».

Sulla stessa linea il presidente emerito della Conferenza episcopale, card. Donald Wuerl, arcivescovo della capitale federale Washington, ai fedeli della sua diocesi: «Come cristiani siamo chiamati a prenderci cura gli uni degli altri, sia che si tratti di un nostro vicino di casa di lunga data, sia che si tratti di un nuovo arrivato nella nostra nazione che cerca di salvarsi da brutali persecuzioni religiose e politiche» e, citando le parole di papa Francesco («La rivelazione biblica ci spinge ad accogliere lo straniero; ci dice che così facendo apriamo le nostre porte a Dio, e che nei volti degli altri vediamo il volto di Cristo stesso») concludeva: «nella nostra Chiesa di Washington, ci sforziamo di fare proprio questo ogni giorno, attraverso la nostra cura pastorale, attraverso i nostri numerosi servizi a livello parrocchiale e alla Caritas, e in alcuni casi, semplicemente alzando le nostre voci per affermare la dignità di ogni vita umana».

Non è mancata la presa di posizione della Società teologica americana che, a firma del presidente, David Hollenbach sj della Georgetown University, stigmatizzava il bando presidenziale in nome della comune dignità umana e dell’etica di governo per concludere «Lavoriamo insieme per sostituire il muro della divisione  e dell’esclusione con ponti di comprensione e rispetto».

E, quando la Corte d’appello di San Francisco, confermando la decisione del giudice federale di Seattle James Robart, ha sospeso l’esecutività del bando presidenziale, si è (finalmente) sentita anche la voce dell’attuale presidente dei vescovi, l’italoamericano Daniel Di Nardo, e quella dei vescovi di Los Angeles, l’ispanico José Horacio Gomez, e di Philadelphia, l’unico presule nativo americano, Charles Chaput.

… e quelle a favore

Mentre la stragrande maggioranza del mondo dell’economia e della finanza s’interroga sul futuro, mentre cresce il rifiuto contro politiche destinate a diventare un boomerang (la catena di lusso Nordstrom, per fare un esempio, ha annunciato di non vendere più l’abbigliamento firmato da Ivanka Trump, figlia del presidente), la cronaca ha registrato che alla tradizionale Marcia per la vita, organizzata dai movimenti pro-life, non si è avuta nessuna reazione ai decreti antiimmigrati (questa non è certo una novità vista la miopia con cui è stato trattato da anni negli Stati Uniti il tema dell’aborto). Al contrario, alcune prese di posizione del presidente – come il negare i finanziamenti ad organizzazioni che prevedono la pianificazione delle nascite – hanno ricevuto il plauso anche dall’estero.

«Oggi è l’anniversario della Roe vs. Wade (l’approvazione della legge che depenalizza l’aborto) – si leggeva in un bollettino parrocchiale in Arizona il 22 gennaio scorso – ora noi abbiamo l’opportunità di ridare vigore al Movimento pro-life e a costruire una cultura della vita con una nuova amministrazione che è “pro-life friendly”. Ricordiamoci che oggi Kellyanne Conway, la prima donna a condurre con successo una campagna elettorale presidenziale, parlerà ufficialmente alla Marcia, ed è la prima volta che accade davanti alla Casa Bianca. Lei stessa ha preso parte più volte alla Marcia negli scorsi anni, partecipa con devozione alla messa domenicale e si è spesa tanto per la causa dei non ancora nati».

Dello stesso tenore altri bollettini parrocchiali in diversi Stati, mentre più spesso manca qualunque cenno all’attuale contesto mutato.

Nonostante l’indicazione diversa dei sondaggi preelettorali, secondo il New York Times il 52% dei cattolici americani e l’81% degli evangelici ha votato per Donald Trump, nipote di un barbiere tedesco emigrato negli Stati Uniti da Kallstadt in Renania nel lontano 1885, poi arricchitosi negli anni della febbre dell’oro. «Signore, pietà» twittava il gesuita James Martin di America quando ormai, a spoglio concluso, la nazione si colorava di rosso trumpiano.

E intanto si contato già a migliaia gli arresti e i respingimenti effettuati in tutta la nazione. Un’America che nessuno s’immaginava.

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