Alla nascita del governo Conte s’era avanzata l’idea che in Italia il risultato delle elezioni del 2018 rendesse possibili non un solo esecutivo, ma due (il contratto 5 stelle-Lega), anzi tre: il detto contratto più la componente tecnica (Tria, Mogavero) più la costola ispirata dal Quirinale (cf. SettimanaNews).
Ora dopo le elezioni europee, con la sconfitta dei Cinquestelle, il raddoppio della Lega e le gesta di quest’ultima componente nel rivendicare quote nuove di potere, la resistenza degli antagonisti e la presa di posizione del presidente del Consiglio, si può parlare dell’avvento di una nuova specie di governo: il governo matrioska.
L’immagine pare appropriata. Per matrioska infatti, secondo il vocabolario Treccani, s’intende una bambola di legno, raffigurante una florida contadina russa in abito colorato, che contiene una serie di bambole di figura simile ma di dimensioni diverse, ciascuna nella cavità di quella immediatamente più grande.
La “cartolina” di Conte
L’ultima esibizione dell’ultima bambola si è avuta con la sortita del presidente del Consiglio, Conte, il quale, dopo il rigurgito delle pretese postelettorali dei due contraenti maggiori del contratto (Salvini all’attacco e Di Maio in difesa anche sul fronte del suo movimento) ha creduto bene di prodursi in una conferenza stampa preannunciata come un atto di governo di portata decisiva.
In realtà l’aggettivazione esatta del gesto era quella di «inedita», perché non s’era mai vista una conferenza stampa di un presidente del Consiglio che non parla a nome dell’intero governo che nel frattempo presiede, ma a nome di una parte di esso, anzi di se stesso, e non per annunciare una svolta strategica nel programma (un piano quinquennale per l’energia o una nuova riforma agraria) ma semplicemente per fare un annuncio altrimenti contenibile in una semplice cartolina postale indirizzata ai due litiganti: «o smettete di litigare o mi dimetto».
Le dimissioni in politica
Sull’efficacia decisiva delle dimissioni in politica è giusto coltivare il dubbio. Anche a chi scrive è accaduto di doversi confrontare, nei circoli minori da lui frequentati, con un collega che continuamente annunciava le proprie dimissioni dagli organi di cui era componente, creando imbarazzo nelle assemblee. Ma la bufera cessò come d’incanto quando il presidente dichiarò con noncuranza che la prossima volta quelle dimissioni sarebbero state accolte…
L’andamento delle cose nella vicenda che stiamo ricostruendo lascia intendere invece che il protagonista governativo abbia preso la precauzione di acquisire il parere preventivo del Presidente (della Repubblica) – che desse pure le dimissioni, tanto non sarebbero state accolte – e di aver in tal modo agito da una posizione di forza, trasferendone almeno una parte a se stesso. Ma con quali risultati?
Il caso Buttiglione
Dopo uno o due giorni di tregua, intervallati da qualche intesa parlamentare minore, la guerriglia è ripresa spostando, da parte della Lega, il tiro sull’Europa. La Lega infatti domanda che le venga assegnato il posto di rappresentante italiano nella Commissione europea. Tocca all’Italia, dunque ce lo prendiamo senza difficoltà. E sarà la prova che le elezioni hanno davvero cambiato qualcosa nel governo dell’Unione.
Facile a dirsi ma non a farsi. C’è chi ricorda il precedente di Buttiglione nella passata euro-legislatura. Nominato con tutti i crismi dal governo Berlusconi al posto spettante all’Italia, il prof. Rocco Buttiglione venne rigettato (cioè non fu cooptato dai partners) per deficit di europeismo e l’Italia fu costretta a proporre un altro candidato dotato di quel che a Buttiglione mancava e la scelta, come è noto, cadde su Antonio Tajani.
Elezioni in autunno?
Sarebbe dunque un errore immaginare una rivalsa europea per gli arretramenti ai quali si è costretti per gli affari italiani. Tutto ciò mentre mancano per la stessa Italia le condizioni di agibilità per un governo di coalizione che dia luogo ad un esecutivo omogeneo ed in grado di evitare la spartizione delle cariche e delle esposizioni propagandistiche che, fin dall’inizio, hanno caratterizzato le vicende del governo Conte.
Matrioske a parte, non è un caso che negli ambienti solitamente informati si parli con insistenza di elezioni in autunno motivate dalla impossibilità di trovate consensi adeguati su una legge di bilancio pensata come strumento di governo organico dell’economia italiana.
La prova della divisione dei compiti e delle poltrone (a me il reddito di cittadinanza, a te la flat-tax) non sembra aver dato buona prova; e non per il successo dell’una misura e la sconfitta dell’altra, ma per l’oggettiva impossibilità di condurre in porto simultaneamente due misure tra loro incompatibili.
Ora si va ripetendo la penosa marcia di avvicinamento alle richieste europee per la quadratura dei conti, sempre con la minaccia di una procedura di infrazione.
E ciò senza che sia visibile un punto di convergenza che salvaguardi le esigenze comuni.
Ed è evidente che lo scarto tra le proclamazioni sovraniste e i ristretti margini delle regole europee penalizza soprattutto le forze che più si sono spese sulla posizione sovranista anche se questa, battuta nel resto d’Europa, sembra aver prevalso in Italia. Infine, merita davvero una menzione negativa la «trovata» messa in campo non si sa bene da chi, ma subito attribuita alla Lega, di istituire dei «minibot» ossia dei buoni del tesoro di serie B con i quali effettuare i pagamenti della pubblica amministrazione.
Sarebbe come istituire una moneta destinata alla svalutazione che, nella realtà europea, sarebbe l’euro.
Il tiro di sbarramento è già cominciato e su questo tema verterà la prima domanda che gli esaminatori rivolgeranno al candidato italiano (leghista, come si asserisce e si aspira) designato per la Commissione. Che si prepari bene…