Il nuovo «decreto sicurezza» varato in questi giorni dal governo è stato oggetto di vivaci e opposte prese di posizione. «Finalmente è lotta alle ONG», titolava in prima pagina Il Giornale del 29 dicembre scorso, riferendo la notizia. «L’umanità annegata», era invece il gioco di parole contenuto nel titolo de La Stampa.
Cosa dice questo decreto?
La prima cosa da fare, in questi casi, è capire di che cosa si sta parlando. Siamo davanti a un codice di comportamento a cui le ONG (Organizzazioni Non Governative), impegnate da anni nel Mediterraneo per soccorrere i migranti a rischio di naufragio, dovranno d’ora in poi sottostare.
Le operazioni di soccorso devono essere immediatamente comunicate alle autorità italiane e allo Stato di bandiera, ed effettuate nel rispetto delle indicazioni delle predette autorità. Appena effettuato il soccorso, deve essere richiesta l’assegnazione del porto di sbarco. E quest’ultimo, indicato dalle competenti autorità, deve essere raggiunto senza ritardi. Da quel momento i soccorritori non potranno effettuare altre soste, ad esempio per effettuare un altro soccorso – tranne se espressamente autorizzati –, fino allo sbarco nel porto assegnato.
Si tratta, chiaramente, di una normativa volta a restringere e ostacolare l’attività delle navi che in questi anni hanno pattugliato il Mediterraneo alla ricerca di migranti in difficoltà, spesso raccogliendoli in momenti e circostanze diverse, fino al completo riempimento degli spazi disponibili a bordo. D’ora in poi sarà esercitato su ogni salvataggio un controllo rigoroso, obbligando la nave soccorritrice a recarsi immediatamente nel porto assegnatole dall’autorità italiana.
Riguardo a questo punto, bisogna anche notare che, negli ultimi tempi, è diventata frequente l’indicazione alle navi delle ONG di porti di sbarco diversi da quelli usuali e più vicini, in Sicilia e in Calabria. È successo alla «Rise Above 2», a cui è stato assegnato il porto di Gioia Tauro, e alla «Sea-Eye», mandata a Livorno. Secondo il Viminale, allo scopo di alleggerire quelle regioni; per i critici, allo scopo di allontanare le navi dall’area di ricerca e soccorso per limitare i salvataggi.
Al comandante della nave che non rispetti le prescrizioni del decreto sono applicate sanzioni amministrative da 10mila a 50mila euro. In solido ne rispondono anche l’armatore e il proprietario della nave. Alla multa si aggiunge il fermo per due mesi dell’imbarcazione. La confisca del mezzo scatta invece in caso di «recidiva». Sanzioni severe, ma solo di ordine economico-amministrativo e non penale, come al tempo di Salvini.
Il significato del testo secondo i suoi fautori
Questo dice il testo del decreto. Ma quale ne è il significato? Per i suoi fautori, si tratta un provvedimento necessario per regolamentare un flusso indiscriminato di clandestini che incombe sui nostri confini nazionali e minaccia la sicurezza del nostro paese. Di questo flusso le navi delle ONG sarebbero in buona parte responsabili, con un comportamento ambiguo che le spinge a girovagare per le acque del Mediterraneo andando, come ha scritto un giornale di destra, «a pesca» di migranti e rendendo così più facile il compito degli scafisti, che sanno di poter contare su questo sostegno esterno per svolgere il loro traffico criminale di esseri umani.
Secondo questa lettura, gli appelli umanitari a favore delle ONG che si appellano alla necessità di salvare delle vite in pericolo, nascondono, consapevolmente o no, il fatto che, al contrario, le vite dei migranti sono messe in pericolo proprio da questo sistema perverso di oggettiva (e forse in taluni casi volontaria) complicità tra scafisti e soccorritori. Senza l’«appuntamento», più o meno concordato, con le navi di questi ultimi, verrebbe meno il fenomeno dei viaggi della disperazione e ci sarebbero molti meno morti.
Il vero aiuto alle popolazioni svantaggiate, come anche papa Francesco ha recentemente ricordato, non è comunque in queste misure di emergenza, ma in un aiuto internazionale che le aiuti a risolvere il problema della povertà «a casa loro», senza doverne fuggire.
In ogni caso, l’Italia non si può permettere di ospitare un numero potenzialmente illimitato di migranti che vengono ad appesantire la nostra economia e a togliere posti di lavoro agli italiani, oltre che a minacciare la nostra identità nazionale sul piano culturale e religioso. Dev’essere l’Europa che si fa carico del problema dei flussi migratori e, finché non lo fa, l’Italia deve provvedere a difendersi.
Il problema erano le ONG?
Queste argomentazioni non vanno misconosciute e respinte a priori – come spesso si fa da parte dei difensori della linea «umanitaria», che per questo a volte appaiono, a una parte consistente dell’opinione pubblica, prigionieri di una facile retorica «buonista» –, ma devono essere vagliate seriamente, riconoscendone sia l’anima di verità, sia i limiti.
Perché è verissimo che il problema dei flussi migratori è molto grave e non può essere risolto con l’accoglienza indiscriminata. Meno vero, anzi falso, è che le ONG ne siano all’origine e che per fronteggiarlo sia stato necessario prendere provvedimenti nei loro confronti.
Intanto perché le loro navi nel 2022 hanno soccorso appena l’11,2% delle poco più di centomila persone approdate sulle coste italiane. Gli altri o arrivano con i propri mezzi, i famosi «barconi», oppure sono soccorsi da altre navi, con la Guardia costiera e la Marina militare in prima fila.
Il Giornale, commentando il decreto sicurezza, parlava di «decreto anti-sbarchi». Sarebbe stato più onesto spiegare ai lettori che la misura del governo riguarda poco più del 10% di questo fenomeno e perciò non solo non è risolutiva, ma risulta ben poco rilevante per i fini che vengono ufficialmente indicati.
E soprattutto, se è vero che non sono le migrazioni la soluzione ai problemi dell’Africa, è tuttavia chiarissimo che attualmente il progetto di «aiutarli a casa loro» è reso impraticabile dalla difficoltà di trovare nei governi locali – si pensi a quello libico! – degli interlocutori credibili e dalla scarsa volontà dei governi europei (a cominciare dal nostro) di investire le proprie risorse per favorire il decollo di quelle economie. Perciò, allo stato attuale delle cose, continueranno in ogni caso ad esserci migliaia di persone che fuggono dai loro territori resi invivibili dalle guerre, dalla desertificazione o anche semplicemente da una povertà endemica.
La domanda, allora, non è se questa è una situazione accettabile, ma come noi dobbiamo fronteggiarla. Lasciando annegare i migranti – o rendendo comunque più difficile il loro salvataggio da parte di chi, come le navi delle ONG, cerca di evitare che muoiano?
Davanti a questo interrogativo tutti gli argomenti a favore del decreto sicurezza diventano relativi. Certo che bisogna accordarsi con gli altri paesi europei, ma, finché il nostro governo – come del resto quelli precedenti – non riesce a coinvolgerli, la soluzione è di sperare che la minore efficienza dei soccorsi, causando un numero sempre maggiore di tragedie di cui sono vittime degli innocenti, scoraggi dal partire?
È la scelta adottata dal nostro governo. Ma essa, oltre ad essere cinica, finora non ha funzionato. Pur di sfuggire alle persecuzioni, alla miseria, ai lager libici, le persone si sono imbarcate egualmente su mezzi di fortuna, affrontando il pericolo. La «stretta sulle ONG» di cui hanno parlato i giornali è, in realtà, solo una stretta sulle possibilità di sopravvivenza dei migranti.
Certo, nel decreto non c’è un divieto assoluto alle navi delle ONG di svolgere la loro missione. Ma – ha osservato Avvenire – in esso «il governo comunica una visione dei salvataggi in mare come un’attività dannosa, da circoscrivere, scrutare, penalizzare». Come se si trattasse di un traffico di rifiuti altamente inquinanti.
Non è un’esigenza economica, ma ideologica
Perché il governo Meloni ha fatto questo? Perché ha dovuto tener conto delle esigenze della nostra economia, soprattutto in questo tempo di crisi?
I dati lo smentiscono. A livello internazionale, il rapporto OCSE 2021 ha già evidenziato che «i migranti contribuiscono in tasse più di quanto ricevono in prestazioni assistenziali, salute e istruzione». Ma, anche guardando al nostro paese, i numeri dicono che, sommando il gettito fiscale e i contributi previdenziali e sociali, i contribuenti stranieri in questi anni hanno assicurato entrate per le casse dello Stato di diversi miliardi di euro. Che sono serviti per pagare le nostre pensioni, in un momento in cui la gravissima crisi demografica che attraversiamo rende impossibile contare sui contributi versati dai soli lavoratori italiani per mantenere i loro genitori.
Quanto all’argomento dell’invasività sul piano culturale e religioso, bisognerebbe onestamente chiedersi se la profonda crisi che il nostro paese e l’Europa intera attraversano sotto questo profilo sia veramente effetto dell’accoglienza degli stranieri, o non costituisca invece un fenomeno autonomo, causato da ben altre ragioni.
Alla fine, purtroppo, il solo significato del «decreto sicurezza» è quello di una bandiera identitaria, finalizzata a esprimere la visione di un fronte politico, la destra, che finora ha potuto fare ben poco, da quando è al governo, per creare discontinuità con il passato che aveva sempre criticato (si ricordino i violentissimi attacchi di Salvini al ministro Lamorgese e la richiesta della leader di Fratelli d’Italia di un «blocco navale»), e che vuole dimostrare la coerenza di una posizione ideologica. Il guaio è che questa ideologia, a quanto pare condivisa da molti italiani (tra cui molti buoni cattolici), parla di discriminazione e di indifferenza per la vita di tanti esseri umani troppo poveri per meritare rispetto.
Pochi giorni fa Giorgia Meloni si è visibilmente commossa parlando delle vittime delle persecuzioni razziali durante la cerimonia per la festa ebraica Hannukkah al museo ebraico. Il suo intervento è iniziato asciugandosi le lacrime: «Noi femmine ogni tanto facciamo questa cosa un po’ così … Di essere troppo sensibili … Noi mamme in particolare…». Calorosi applausi di simpatia. Chi sa, però, se, nell’approvare il decreto sicurezza, la Meloni ha pensato a tutte le mamme che annegheranno, insieme ai loro bambini, per la sua tenace volontà di dimostrare di «essere Giorgia».
- Dal sito della Pastorale della cultura della diocesi di Palermo (www.tuttavia.eu), 30 dicembre 2022