Dei missili dell’esercito francese sono stati trovati in possesso delle forze di generale Khalifa Haftar in Libia, mentre il paese è soggetto a un embargo sugli armamenti. La rivelazione è stata fatta dal New York Times. Si tratta si missili anticarro Javelin di fabbricazione statunitense sequestrati dalle forze del Governo di accordo nazionale libico (Gna) agli uomini del generale Khalifa Haftar nella città di Gharian (80 chilometri circa a sud di Tripoli). Armi che però erano state vendute alla Francia nel 2010.
Il quotidiano statunitense nel suo scoop cita anche un consigliere militare francese, come riporta anche Agenzia Nova. Secondo questa fonte, i quattro Javelin del valore di circa 170 mila dollari ciascuno “non erano più funzionanti”, ma facevano parte di un lotto di 260 missili venduti dagli Stati Uniti alla Francia ed erano state acquistate per proteggere le forze francesi schierate in Libia per operazioni d’intelligence e di terrorismo. Il consigliere sentito dal “New York Times” non ha saputo spiegare cosa ci facessero i Javelin comprati dai francesi nel comando di Haftar a sud di Tripoli.
Ieri è intervenuto in proposito il ministero della Difesa francese che ha confermato la stessa linea della fonte e negato che i missili siano stati forniti alle forze di Haftar, in violazione dell’embargo sulle armi delle Nazioni unite. “Non erano stati trasferiti a forze locali”, non erano destinati a forze combattenti, ha affermato una dichiarazione, e dovevano essere distrutti. “Quelle armi erano destinate alla protezione delle forze impegnate in missioni d’intelligence e antiterrorismo”, ha proseguito, erano “danneggiate e inutilizzabili”, “temporaneamente stoccate in un deposito in attesa della distruzione”.
La Francia ha lungamente negato di aver appoggiato Haftar sul terreno e la scoperta dei Javelin potrebbe avere conseguenze piuttosto imbarazzanti per Parigi. Secondo forze leali al Gna, anche armi con il marchio dell’esercito emiratino sarebbero state mostrate ai giornalisti dopo il ritrovamento alla base di Gheryan.
Proprio martedì l’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) ha aggiornato a 1.048 morti (inclusi 106 civili) e 5.558 feriti (tra cui 289 civili) il bilancio delle vittime degli scontri in corso a Tripoli e dintorni dal 4 aprile. Da oltre tre mesi la Libia e, soprattutto, la capitale è diventata un enorme campo di battaglia. A confrontarsi le milizie fedeli al premier Fayez al-Sarraj e quelle di Khalifa Haftar, uomo forte di Bengasi. Fayez al-Sarraj è sostenuto prevalentemente dal Qatar e dalla Turchia mentre Khalifa Haftar ha l’appoggio di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti (ma anche di Francia e Russia, sebbene in modo più defilato).
Nel corso delle settimane gli scontri, che inizialmente erano limitati ad alcune aree intorno alla capitale, hanno conosciuto un’escalation. Sul campo di battaglia sono arrivati grandi quantitativi di armamenti. Le milizie, che originariamente, erano dotate delle vecchie armi degli arsenali di Muammar Gheddafi hanno iniziato ad utilizzare droni, velivoli sofisticati, blindati di ultima generazione. Ciò ha comportato un aumento delle vittime.
Sono almeno 641.398 i migranti censiti in Libia dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) nella 25ma edizione della raccolta dati del «Displacement Tracking Matrix» (Dtm) pubblicata ieri e relativa al trimestre marzo-maggio 2019. Secondo il rapporto i migranti in Libia provengono da oltre 39 diverse nazioni e risultano presenti in tutti i 100 comuni libici.
«Il conflitto armato, iniziato il 4 aprile 2019 a Tripoli Sud, ha mostrato un impatto sostanziale sulla situazione dei migranti nelle aree colpite da scontri durante il periodo di riferimento – riporta in sintesi l’agenzia AnsaMed.info -. Più specificamente, ha aumentato la vulnerabilità dei migranti presenti in queste aree, innescando movimenti di gruppi di migranti verso le aree vicine nella Libia occidentale e ha anche portato a una diminuzione delle opportunità di lavoro segnalate per i migranti».
Secondo il rapporto, il 9% dei migranti sono minori, di cui il 34% non accompagnati. Il 13% sono donne. Il 65% di questi migranti proviene dall’Africa sub-sahariana, il 29% dal Nord Africa e il 6% da Paesi asiatici o mediorientali. Il Niger è il Paese di maggior provenienza, seguito da Egitto e Ciad (15% ognuno), Sudan (11%) e Nigeria (9%). Sempre secondo il rapporto dell’Oim il 57% dei migranti vive in locali presi in affitto e pagati a proprie spese, il 12% in campi informali, il 10% in case messe a disposizione dai datori di lavoro e l’8% direttamente sul posto di lavoro. Il 20% dei migranti identificati abita nell’area di Tripoli, l’11% nella regione di Agedabia e il 9% in quella di Murzuq (nel Fezzan).
Informazioni riprese dalla rivista missionaria dei padri bianchi Africa.