Sul Corriere della Sera, Galli Della Loggia ci torna su. Dopo la discussione originata da un suo primo intervento, che abbiamo ripreso e commentato criticamente anche su questo sito.
Significativo che ne abbia sentito la necessità, riconoscendo implicitamente il bisogno di meglio illustrare il suo punto di vista che effettivamente non era chiarissimo. Esplicitando ciò che nel suo primo intervento era solo implicito e cioè talune chiavi di lettura a monte dei suoi rilievi critici a proposito della asserita sterilità politica della Chiesa imputabile a Papa Francesco.
Riassunto della puntata precedente
Mi pare sia esatto: al fondo stanno visioni teologiche e politiche che devono essere portate in superficie, perché il confronto – il consenso e il dissenso – siano limpidi e fecondi.
Rammentiamo sinteticamente la prima puntata: il magistero di Francesco avrebbe un carattere ideologico (?) e, segnatamente, un timbro comunitario-populista, ostile al capitalismo e all’Occidente; un tratto riscontrabile anche nell’attenzione riservata agli ultimi e nel sostegno all’attivo protagonismo dei movimenti popolari che ad essi danno voce e rappresentanza; un timbro, ancora, che rifletterebbe un deficit di «nerbo religioso» nella sua predicazione. A testimoniare la presunta sterilità politica starebbe, infine, il sostanziale abbandono della dottrina sociale della Chiesa che condurrebbe a una terza via tra capitalismo e collettivismo.
A questi rilievi avevamo obiettato che, da un lato, è vero il contrario, e cioè il primato del Vangelo (quale nucleo più decisivo del «nerbo religioso» cristiano?) e delle sue esigenti implicazioni etico-sociali rispetto alla preoccupazione del peso politico della Chiesa; dall’altro, questo sì, in Bergoglio, si rinviene una singolare distanza critica rispetto ai modelli culturali e sociali espressi dall’Occidente asserito cristiano e, di riflesso, un’accentuazione del carattere universalistico della parola e del ministero della Chiesa. Un distanziamento critico giustificato non solo dalla trascendenza del cristianesimo rispetto a ogni forma di civilizzazione, ma anche dall’oggettivo scostamento (lo si può negare?) di quella occidentale dalle sue radici cristiane.
Circa la dottrina sociale – notavamo – a Galli sfugge che, da tempo, Paolo VI e lo stesso Giovanni Paolo II avevano argomentato come essa non sia da intendere – in senso esso sì ideologico – come un modello di società altro o terzo che sia tra quelli sperimentati, ma come «teologia morale», ovvero come istanza critico-profetica che giudica e, insieme, trascende ogni modello alla luce del “Vangelo sull’uomo” e semmai stimola l’«invenzione creativa» (così l’Octogesima adveniens) degli attori sociali e politici.
Tornando sull’argomento, Galli effettivamente un po’ chiarisce i presupposti dai quali egli muove. Ma essi, se possibile, ancor meno ci convincono.
Egli, bontà sua, attribuisce al papa l’opzione per il primato del Vangelo, dapprima giudicandolo un limite, salvo poi riconoscere che non può che essere così.
Una visione anacronistica
Galli sconta la stessa oscillazione-contraddizione a proposito della scelta preferenziale per l’umanità sofferente, ferita, oppressa. Che è palesemente un corollario del Vangelo, non di questa o quella ideologia.
A seguire sostiene che quel primato del Vangelo piace a sinistra ma non a destra. Non è esattamente così: sarebbe ingeneroso verso la destra e troppo concessivo verso la sinistra. La quale, in talune sue espressioni, è a sua volta incline a operare un cortocircuito tra Vangelo e politica: vi è anche un integralismo di sinistra, oltre che un uso politico della religione da destra.
La buona mediazione politica, niente affatto deprezzata da Francesco, non è in contraddizione con il primato indiscusso del Vangelo.
Galli, alla luce della storia, fa osservare che la Chiesa ha intrecciato relazioni con il potere politico. A volte virtuosamente, a volte meno. Siglando compromessi talvolta in aperto contrasto con il Vangelo, che era e resta al cuore del suo ministero.
È innegabile, ma – domando – constatare un fatto è cosa diversa dal giudizio di valore su di esso. Semplificando drasticamente: riconoscere che, per lunghi secoli, ci si sia ispirati al paradigma costantiniano e dunque da una commistione non sempre limpida con i poteri mondani, non ci esonera dal giudicare i suoi limiti, dal fare ammenda del prezzo pagato alla causa (prima) della predicazione e (poi) della testimonianza del Vangelo.
La Chiesa, ai suoi più alti livelli, lo ha fatto solennemente. Si pensi ai mea culpa di Wojtyla o alle parole con le quali Paolo VI chiuse in via definitiva la “Questione romana” protrattasi ben oltre il Concordato del 1929, notando come la fine del potere temporale dei papi e dello Stato pontificio fu un evento provvidenziale per la Chiesa, finalmente depurata da incrostazioni di potere, più libera e coerente nella sua missione universale. Una purificazione e una trasparenza evangelica che semmai esigono passi ulteriori. Esattamente quelli che Francesco non si stanca di proporre alla Chiesa, semper reformanda sul parametro esigente del Vangelo e delle comunità cristiane primitive.
Se così è, come si può sostenere che Bergoglio difetti di spessore religioso, che egli trascuri di proclamare le «verità trascendenti» e di fare appello alla «conversione»? Tanto più oggi, dentro l’attuale drammatica pandemia, come si può accusare Francesco di non invocare la conversione personale e collettiva, delle coscienze e delle strutture? Non è esattamente ciò che sta facendo, con accenti che richiamano i vecchi profeti, all’indirizzo di un mondo malato nel profondo e sino a ieri ignaro della propria malattia? Con parole e gesti tutt’altro che privi di valenza politica e che, all’opposto, scuotono e sfidano la Politica, quella con la maiuscola.
L’impressione è che, al fondo della critica di Galli, stiano due tare: un difetto di cultura teologica circa la natura propria della Chiesa e della sua missione, ricondotte ad angusti schemi politicisti (la Chiesa assimilata strettamente a potere tra i poteri); e un’attesa-pretesa, in verità non nuova, da parte di certe élites laico-liberali, che la Chiesa metta a disposizione dei loro disegni le “masse cattoliche”. Attesa-pretesa palesemente indebita, ma anche malriposta e anacronistica, in quanto la Chiesa dispone sempre meno di masse e tantomeno le governa politicamente. Non le riesce e neppure lo vuole. Di sicuro non lo vuole Francesco.
Forse si spiega così l’equivoco e il j’accuse di Galli, solo a prima vista contraddittorio quando lamenta il doppio deficit di spessore religioso e di fecondità politica del papa. È il punto di vista di chi si ispira alla religione civile, cioè all’attribuzione al cristianesimo della funzione di legittimazione e di cemento dell’ordine sociale.
“Semplificando drasticamente: riconoscere che, per lunghi secoli, ci si sia ispirati al paradigma costantiniano e dunque da una commistione non sempre limpida con i poteri mondani, non ci esonera dal giudicare i suoi limiti, dal fare ammenda del prezzo pagato alla causa (prima) della predicazione e (poi) della testimonianza del Vangelo.”
Ma che differenza c’è all’atto pratico tra il concordato con la Cina, con tutti i suoi limiti e quello con l’Italia fascista? Sempre che si è trattato di un accordo al ribasso sempre che si è silenziata una parte della Chiesa che aveva subito persecuzioni (ieri magari era Don Mazzolari oggi i Cinesi della Chiesa clandestina).
E il governo Conte? nato con i maneggi di Spadaro? ma perchè bisogna vedere una novità rivoluzionaria e il Vangelo sine glossa anche dove non c’è?
Non si può semplicemente dire che Berogoglio è un Papa con i suoi pregi e i suoi difetti come tutti i suoi predecessori e cercare di seguirlo con un pizzico di razionalità invece che con tifo viscerale? Presentandolo come l’unico Alter Christus della Storia?
Si ormai siamo alle opposte tifoserie.
Brava.
…e quindi?
Difronte alla confusione e al disorientamento (voluti) causati dagli attacchi interessati all’operato ad un papa che rimette al centro il Vangelo? continuiamo a dire “in fondo è sempre stato così, non facciamone una malattia” ? Angela e Adelmo: mi sembra piuttosto superficiale una posizione che considera la questione solo in termini di “tifoseria”.
Comunque concordo che non abbia proprio senso considerare Bergoglio “unico Alter Christus della storia” (almeno mentre è in vita). Pace e bene.
“ad un papa che rimette al centro il Vangelo?”
Il che significa che prima non si predicava il vangelo ovviamente.
Che poi: il Papa parla dei migranti, è la parresia profetica che discerne i segni dei tempi , la Cei parla della famiglia, è l’ingerenza clericale dei baciapile contro Francesco. A casa mia è politica in entrambi i casi.
Come se la Cei tra l’altro non fosse stata rivoltata come un calzino in questi anni, senza tanti complimenti..
Io non ho idee politiche diverse da Franco Monaco e lo stimo come persona e come politico, però queste arrampicate sugli specchi per difendere quella che è solo una posizione tutta di parte no.
Caro Franco, sarebbe riduttivo ricondurre la tua argomentazione al dibattito Della Loggia vs Monaco, ma in ogni caso abbiamo ancora una volta apprezzato le tue prese di posizione solide e ben fondate; siamo cmq sempre dalla tua parte con stima e amicizia. Angelo e m.teresa mattioni
Ti allego un link su don Renato Corti, figura impareggiabile anche nella Chiesa ambrosiana che viene ricordato anche dal nostro sito ‘laico’ ma ben attento a non fare confusioni.
https://www.liberastampa.net/morto-card-renato-corti-piu-che-un-prete-un-uomo-di-dio/