Quello che manca ai partiti italiani, senza eccezione alcuna, è una visione a lungo termine e d’insieme dell’Italia e della sua partecipazione non marginale al progetto europeo. Elementi, questi, che sono portanti invece per l’elezione del presidente della Repubblica in questo frangente.
Per diverse ragioni. In primo luogo, perché la pandemia – e i suoi effetti – durerà più di quanto si prevedeva. La ripresa (economica) potrà essere effettiva e condivisa solo se declinata coerentemente a politiche di resilienza reali e serie (il sociale). Impresa che chiede tempo e capacità di declinare non in chiave emotiva ed elettorale il disagio del paese, soprattutto della fasce più giovani della popolazione.
In secondo luogo, perché mai come ora il destino del paese è legato a filo doppio a un’efficacia civile delle politiche dell’Unione Europea. E questo non vale solo per l’Italia. Se quelle politiche avranno la capacità e la qualità di ridisegnare la crisi della pandemia in una comunanza di destino, come seppero fare i padri fondatori dopo la II Guerra Mondiale, anche l’UE uscirà trasformata da questo tornante della nostra storia comune.
Infine, perché la scomposizione attuale del paese, rincorsa dai partiti in un modo o nell’altro per garantirsi un vantaggio immediato alle prossime elezioni politiche, è l’indice evidente della necessità di un progetto politico che, senza perdere gli antagonismi e le dialettiche parlamentari proprie alla democrazia, sappia dare ai cittadini una stabilità non illusoria e una progettualità comune intorno a cui articolare le differenze del proprio sentire politico.
In questo senso, bisogna con urgenza restituire al Parlamento la dignità del potere legislativo in vista del bene comune del paese. La decostruzione di questo potere specifico del Parlamento è iniziata ben prima dell’emergenza pandemica, andando di pari passo con la coincidenza dei partiti con il leader del momento.
Silurato Prodi, Mattarella è diventato presidente della Repubblica con lo scopo politico di non gettare ombre su Renzi. Mattarella è rimasto sette anni nel suo ufficio, Renzi si è trovato a lottare ogni giorno per la sua sopravvivenza politica. Mattarella ha dato garanzia al paese, all’UE e alla comunità internazionale – fino alla scelta di Draghi come presidente del Consiglio chiamato a gestire con sapienza politica e civile i fondi messi a disposizione dall’UE.
Draghi guida il governo su mandato diretto di Mattarella, ed è su questa base che è riuscito a costruire una maggioranza politica di governo ratificata dal Parlamento. Con la fine del settennato di Mattarella viene meno la condizione base della sua presidenza del Consiglio. Difficile immaginare che dopo l’elezione del nuovo presidente della Repubblica Draghi non rimetta nelle sue mani il mandato ricevuto da Mattarella. Pensare di non eleggerlo come presidente della Repubblica per tenerlo strumentalmente alla presidenza del Consiglio non è solo un azzardo politico, ma anche una miopia istituzionale. Cosa di cui i nostri partiti soffrono in maniera preoccupante.
La Costituzione distingue bene fra il potere esecutivo del governo e il ruolo del presidente della Repubblica – consentendo a quest’ultimo di essere il garante della nazione al di là delle sue scomposizioni partitiche. E di questo tipo di garante ha bisogno oggi l’Italia, compito che Draghi potrebbe esercitare per sette anni, soprattutto nei confronti dell’UE, anziché esaurire il suo percorso a servizio delle istituzioni con le prossime elezioni politiche.
Se di questo garante abbiamo bisogno, memori della sapienza costituzionale, è bene che, se eletto, questo sia il ruolo di Draghi – e non (anche) quello di una presidenza ombra del Consiglio (Repubblica semi-presidenziale). Data la povertà politica odierna dei partiti, e le molte linee di faglia che scuotono il paese, è cosa buona salvaguardare una figura che possa essere di riferimento per tutti i cittadini; potendo così rappresentare l’insieme dell’Italia in Europa e nel contesto internazionale.
Un senso di crescente disagio e perplessità dobrebbe generare la pubblica e mediatizzata esaltazione, a tratti quasi messianica, del dottor Draghi. Al di là di ciò che si pensi della persona e delle sue (ancora in verità tutte da dimostrare) capacità politiche ed istituzionali, è innegbile che attorno a Draghi sia stato creato un “cerchio magico” testo a esaltarlo e a presentarlo come unica risorsa per il futuro del Paese. Eppure la Storia dovrebbe insegnarci che tendenze di questo genere possono portare a derive pericolose e inoltre consolidare quel senso di frustrazione e disillusione verso le istituzioni e verso la Politica che purtroppo sono oggi sempre più diffuse. Un po’ di sano spirito “critico” farebbe tanto bene, specie in un momento storico così drammatico e imprevedibile nei suoi sviluppi come quello che stiamo vivendo