Mi propongo di provocare. Quantomeno di stimolare una discussione. È bastato che qualcuno pronunciasse la parola impronunciabile e blasfema “patrimoniale” perché si levassero alte grida di scandalo e riprovazione. Un tabù. Tutti i partiti si sono precipitati a smentire e a dissociarsi dall’insana” proposta. Salvini addirittura ha prospettato l’arresto di chi se ne facesse banditore.
Intendiamoci: la genesi, il modo con cui è stata avanzata l’idea (non il suo contenuto) contribuiscono a screditarla: un estemporaneo emendamento alla legge di bilancio a firma Fratoianni e Orfini (il “poliziotto cattivo” di Renzi segretario PD). Il classico segnale politico-simbolico concepito nella logica politicista del gioco dei posizionamenti a sinistra. Un modo sicuro per sollevare una montagna di obiezioni, con la matematica certezza che non se ne faccia niente.
Chiunque può intendere che proposte di tale portata esigerebbero ben altro: una accurata elaborazione tecnica e politica, una sua autonoma organicità, la cura di spiegarsi e di spiegare vincendo il muro dei pregiudizi e delle tenaci opposizioni, ideologiche e pratiche, incrociando essa per definizione il conflitto di interessi dentro il corpo sociale (le tasse non si pagano volentieri e i veri ricchi, specie in Italia, non sono abituati a pagarle).
Riforma tributaria
Semmai tale proposta (meglio: proposte al plurale, essendo molteplici le sue possibili implementazioni) dovrebbero essere inscritte dentro una complessiva riforma tributaria, a sua volta espressiva di un nuovo patto sociale. Materia cruciale e complessa, ma, sotto un certo profilo, semplice: già ora, ma tanto più a fronte dell’esplosione del debito pubblico (160% sul Pil) originata dalle misure atte a fronteggiare l’emergenza, si tratta di decidere se tassare il lavoro o piuttosto le rendite. Un solo dato: agli 8 milioni di poveri già censiti, si calcola che – esauriti sussidi, cassa integrazione, blocco dei licenziamenti – se ne aggiungeranno altri 5 o 6; e, a fronte, il risparmio privato (di chi ci riesce) è lievitato di 1700 miliardi, l’8% in più in questo particolarissimo anno.
Non sto a indugiare sulla drammatica evidenza: la bomba sociale innescata dal dilagare della povertà, della precarietà, della disoccupazione di massa dentro e a valle della pandemia; la dilatazione delle disuguaglianze sociali, territoriali, generazionali, di genere. In questo quadro, più che sul se, si dovrebbe ragionare e discutere sul come avvalersi dello strumento privilegiato della distribuzione del reddito degli Stati moderni ovvero il fisco; semplicemente e radicalmente perché possa reggere una società civile organizzata in base al principio per il quale chi ha di più aiuti chi ha di meno. Meglio: perché si chieda a chi ha molto un contributo ai milioni che sono sul lastrico.
Un’esigenza e i modi per attuarla
Ragionando sul come – gli studi dei tecnici seri non mancano – s’hanno da tematizzare, questo sì, le oggettive difficoltà nel disegnare una tassa sui grandi patrimoni comunque la si voglia chiamare: un’anagrafe patrimoniale affidabile, gli elementi da considerare (ricchezza finanziaria, immobili, oggetti di alto valore), la base impositiva individuale o familiare, l’unificazione di tutti i prelievi sul capitale (IMU, ritenute…), soprattutto gli antidoti ad evasione ed elusione dei capitali finanziari di loro natura sfuggenti.
Dunque applicarsi con serietà alle tecnicalità, non cavarsela con il classico escamotage (infondato, come mi assicura chi ne capisce) secondo il quale sarebbe impresa impossibile. Alle solite, un modo sbrigativo per non farne niente. E, semmai, studiare il modo di informare e persuadere l’opinione pubblica.
Con motivazioni di stampo solidaristico e non solo: non dovrebbe essere impossibile convincere la generalità dei cittadini che merita chiedere un sacrificio al 5% dei cittadini più facoltosi che detengono il 22% della ricchezza nazionale ricavandone in cambio beni e servizi pubblici più adeguati e misure di sostegno sociale a chi non ce la fa. Che non sia impossibile è dimostrato da paesi non comunisti come Spagna, Norvegia e persino Svizzera che ci stanno lavorando.
Un dovere politico dei cattolici
Qui si innesta la mia provocazione più mirata. Una battaglia come questa non dovrebbe qualificare l’impegno concorde dei cristiani? Una battaglia, a mio avviso, riconducibile neanche tanto alla lontana ai “valori non negoziabili”, laicamente e politicamente declinati, ma altrettanto obbliganti. Non sarebbe una prospettiva più concreta e convincente della discussione su un eventuale nuovo partito di ispirazione cristiana, che taluni rappresentano moderato e di centro?
Non sarebbe utile a propiziare una cooperazione con le sinistre, correggendo la deriva, visibile da gran tempo, di una loro enfasi sui diritti civili (individuali) a discapito dei diritti sociali e del lavoro? Ancora: nel tempo del renzismo imperante i cattolici democratici si sono divisi nel giudizio. Lacerante la divergenza sul referendum costituzionale del 2016.
Alla luce anche dell’epilogo della parabola renziana forse dovremmo anche ripensare al segno “di classe” di quelle politiche. Per stare al tema, come dimenticare che allora fu ripristinata l’esenzione fiscale su tutte (sottolineo: tutte) le prime case di proprietà, misura introdotta da Berlusconi (e cassata da Monti) e che fu altresì innalzato il tetto del contante, occhieggiando agli evasori? Mi capita spesso di chiedermi dove si rinvenga oggi l’eredità di nostri amici e maestri, referenti del cattolicesimo sociale, come Ermanno Gorrieri e Pierre Carniti. O di Dossetti e La Pira che usiamo (e osiamo) celebrare nella nostra convegnistica cattolica.
A papa Francesco notoriamente non piace l’enfasi sui “principi non negoziabili” che obbligherebbero l’impegno pubblico dei cattolici. Faccio un acrobatico esercizio di fantasia: mettiamo caso che Francesco si converta a quella formula (speriamo di no).
Nel caso, tuttavia, immagino che egli inscriverebbe nel novero dei principi non negoziabili per la coscienza dei buoni cristiani magari non la patrimoniale – che è solo un mezzo – ma qualcosa che le si avvicini e che comunque si concreti in un sostegno non episodico ai poveri attinto ai ricchi. Vedi caso che gli Stati moderni dispongono di uno strumento chiamato fisco.
Ringrazio Paolo Forti per il commento che trovo illuminante e pienamente condivisibile.
Condivido anche le affermazioni di Michele. Il nostro è un paese con una spaventosa percentuale di evasione fiscale e penso proprio che molti cattolici siano protagonisti della pratica.
La campagna elettorale perenne e prese di posizione di parte e ideologiche non aiutano certo ad affrontare con la giusta misura problemi che riguardano tutti.
Ma l’evasione fiscale come si misura?
È possibile sapere quanto pesano imposte e contributi sul PIL italiano in confronto a quanto pesano su quello tedesco o francese?
Sono domande retoriche sia chiaro.
Se in italia le entrate dello stato in percentuale rispetto al PIL italiano sono superiori rispetto alle entrate dello stato tedesco allora il problema è capire che fine fanno i nostri soldi.
Non è possibile tassare ulteriormente i redditi che sono già falcidiati drammaticamente e allora si tasseranno i risparmi.
Quando poi non ci sarà rimasto nulla da tassare allora chiederemo tutti il reddito di cittadinanza.
Che bello.
Ringrazio di cuore l’onorevole Monaco per aver attirato l’attenzione su un tema che mi sta molto a cuore, e che dimostra come, purtroppo, in Italia sia al momento quasi impossibile analizzare le questioni in modo non ideologico, ma pragmatico, e al di fuori di una mera propaganda politica, peraltro inevitabile trovandoci in un clima di perenne campagna elettorale.
Premetto che da oltre trent’anni sono un dottore commercialista, quindi posso cogliere alcuni aspetti del problema con cognizione di causa.
Dobbiamo partire da un dato di fatto, che, per ragioni appunto di propaganda e spiccatamente ideologiche viene sempre rimosso: in Italia in questo momento esiste già una patrimoniale, rappresentata dall’IMU.
La genesi di questa imposta è illuminante al riguardo.
Prima, come tutti sanno, c’era l’Ici, introdotta a partire dal 1993, che, per quanto fosse un’imposta calcolata sul valore di beni immobili, non poteva definirsi una vera e propria patrimoniale anche alla luce delle aliquote generalmente basse, o comunque tali da non essere significative.
Nel 2011, nella tempesta che fece seguito alla caduta del governo Berlusconi e alla nascita del governo Monti, cui si accompagnò una gravissima perdita di fiducia dei nostri partner europei, ma anche degli investitori, nel nostro paese, nella sua capacità di uscire dalla crisi, e dunque anche nel suo debito pubblico, il governo si trovò a dover “fare cassa” in brevissimo tempo.
Come si ricorderà, era un governo di larghe intese, sostenuto anche da Forza Italia, e si ritenne che il modo più rapido per aumentare il gettito tributario in un paese a così alto tasso di evasione come l’Italia fosse quello di aggredire beni che non potevano essere nascosti, come gli immobili.
Si decise quindi di sostituire l’Ici con l’IMU, ma non era un problema di nome dell’imposta: le aliquote infatti sarebbero cresciute a dismisura, proprio per ragioni di gettito.
Tuttavia, l’IMU, e qui sta il punto che di norma viene ignorato colpevolmente, aveva in sé un peccato originale.
Era di fatto una patrimoniale, alla luce delle aliquote particolarmente elevate, ma non poteva essere chiamata tale, poiché in parlamento era necessario l’appoggio di Forza Italia, e dunque la parola patrimoniale doveva essere bandita dal dibattito politico.
Nasceva così una “patrimoniale-non patrimoniale”, e cioè un’imposta che nei fatti era una patrimoniale, ma ché, non potendo essere configurata e regolamentata come tale, non rispondeva alle logiche di politica tributaria che dovrebbero presiedere ad una corretta patrimoniale.
Una patrimoniale dovrebbe avere aliquote crescenti, al crescere dell’imponibile, godere di una serie di detrazioni in relazione ai carichi familiari dei proprietari e cioè dei contribuenti, eccetera.
Nulla di tutto questo.
Assistiamo quindi all’aberrazione di immobili a destinazione abitativa di circa 100 m quadri in zona semicentrale, ma non immobili di lusso, non castelli, non immobili a fontana di Trevi, che pagano quasi 3000 € all’anno di Imu: un valore abnorme, irragionevole, e che crea gravi difficoltà ai proprietari, tanto più in un periodo come quello attuale in cui il rendimento del mercato immobiliare è modesto: mille esempi di questo tipo si potrebbero fare.
Un approccio non ideologico alle questioni tributarie consentirebbe di constatare che esistono, oggi, proprietari immobiliari, che, in forza della oggettiva illiquidità del loro patrimonio, hanno enormi difficoltà a pagare l’Imu dovuta sulle loro proprietà.
Si dirà: ben gli sta! Giusto! Perché non vendono parte del loro patrimonio?
Evidentemente, non è questo il punto.
Sarebbe interessante effettuare delle simulazioni sulla base della recente proposta dei due parlamentari relativa a una vera e propria patrimoniale, verificando, con casi concreti, come varierebbe il carico tributario per una serie di situazioni specifiche e standard.
In ogni caso, la presa d’atto dell’esistenza, oggi, dell’esistenza di una vera e propria patrimoniale ma sotto mentite spoglie, e dunque senza una logica di fondo di politica tributaria, dovrebbe spingere ad aprire un dibattito serio, non ideologico, ma pragmatico, su dati reali e al di fuori della propaganda elettorale, su come riformare la patrimoniale attuale; e qui, naturalmente, entrerebbe in gioco la politica, con le scelte che possono essere di destra o di sinistra, ma che devono comunque essere scelte di equità complessiva e ragionevoli.
I cattolici avrebbero molto da dire su questo, e avrebbero un grande contributo di fornire.
È utopia sperare di poter per una volta ragionare sulle cose in modo serio?
Grazie
Il vero problema è la giustizia.
I redditi sono tassati.
Ciò che rimane viene in parte consumato ed in parte risparmiato.
Tassare i patrimoni significherebbe tassare il risparmio formato da ciò che rimane di redditi già tassati.
Dico io quante volte si devono pagare le tasse sempre sugli stessi redditi?
La giustizia di pagarle tutti… l’evasione e l’elusione sono ancora troppo diffuse, anche fra i cattolici