Anche quest’anno abbiamo l’occasione di incontrarci. Per me l’occasione è felice e spero lo sia anche per voi, anche se è un impegno ulteriore in queste giornate di appuntamenti e incontri. L’occasione è felice per me perché, dal mio primo anno di vescovo di questa diocesi, ho ritenuto mio dovere esprimervi il mio ringraziamento personale e della comunità ecclesiale per il vostro servizio alla città e a tutti i cittadini della Provincia.
Sappiamo di vivere in un periodo in cui la critica è molto facile. E sappiamo pure che è molto diffusa la sfiducia. Credo che sia doveroso reagire, riconoscendo il servizio al bene comune che voi esprimete in modalità diverse, tutte importanti.
Essere grati per il servizio pubblico della politica
Oggi in particolare è necessario riconoscere e ridare valore e dignità a chi ha la responsabilità verso la civitas, verso l’ordine pubblico, verso l’amministrazione di una realtà sociale complessa e in trasformazione. Credo che siamo tutti convinti che il servizio per una buona convivenza e per una buona amministrazione della cosa pubblica sia anche un servizio prezioso per ricuperare fiducia e favorire un cammino comune lavorando insieme. Per questi motivi desidero dire a tutti voi – e anche a coloro che non sono presenti – una parola di incoraggiamento e di speranza perché insieme, con spirito di collaborazione, possiamo alzare il nostro sguardo ed aiutarci a non vedere solo gli aspetti difficili e problematici del servizio.
Questa è la prima motivazione dell’invito, a cui si aggiunge la seconda, anch’essa importante, ma più semplice: desidero rivolgervi l’augurio di un buon Natale, di buone feste e di un anno nuovo di pace e di concordia.
Negli anni passati ho offerto un piccolo regalo, come un discorso del Papa sulle problematiche sociali oppure qualche documento su questioni sociali e economiche.
Quest’anno vi lascio la Lettera pastorale che accompagna il cammino della nostra Chiesa diocesana. Il titolo è Perseveranti nel cammino. Riguarda in particolare la ristrutturazione della nostra vasta diocesi con le comunità pastorali.
Un territorio comune e condiviso
È un argomento che non affronta una questione sociale, tuttavia ha pure un risvolto sociale che merita di essere preso in considerazione. Innanzi tutto si tratta di un cambiamento significativo attuato nella condivisione, senza forzature. Devo ringraziare i parroci e tutte le comunità che si sono lasciate coinvolgere.
È un cambiamento significativo in quanto opportunità che apre orizzonti più ampi, favorendo un interscambio tra realtà locali, con un’attenzione alle tradizioni del territorio viste in un orizzonte più largo. Inoltre si tratta di un cambiamento che comporta una più immediata possibilità di coinvolgimento dei cristiani, chiamati ad assumersi la responsabilità del futuro della comunità cristiana in nome della comune condizione battesimale.
Questo cambiamento in ambito ecclesiale esige atteggiamenti che non valgono solo in questo ambito, ma in ogni altro campo della vita. Il dialogo e la collaborazione tra parrocchie può essere di aiuto per ogni contesto. Spero che questo cammino possa essere un incoraggiamento per far crescere lo spirito di collaborazione anche a livello di comunità civile.
Nella Lettera pastorale affermo che “la sfida delle Comunità pastorali si gioca sulla comunione”. Ma anche la sfida della nostra società si gioca sulla comunione, sulla capacità di favorire il bene comune e di prendersi cura della società. Sono questi i due punti che vorrei sottolineare.
La non facile convivenza
Tutti denunciano la crescita nel nostro paese di frustrazioni, di disillusioni mescolate a rabbia e rancori. La nostra convivenza risulta difficile per le troppe situazioni di precarietà, di esclusione, di povertà, in particolare (ma non solo) per le fasce più deboli della popolazione. I desideri di mutamento della situazione sembrano non trovare vie di realizzazione, accrescendo così il senso d’impotenza di molti cittadini di fronte ai mali molte volte denunciati: illegalità, corruzione, inconcludenza.
Risulta poi faticoso trovare convergenze e visioni condivise dell’avvenire sociale: viene progressivamente a mancare la fiducia negli altri e la speranza nell’edificazione di una buona convivenza. L’ultimo Rapporto del Censis (il 53°) descrive una situazione piuttosto inquietante del nostro Paese. Se è vero che il Censis ricorre volentieri alle tinte forti, è anche vero che l’esperienza quotidiana ci attesta una notevole mancanza di fiducia.
Spesso si attribuisce questo clima di sfiducia alla politica e ai politici, a coloro che hanno il compito di vigilare sul bene comune e sull’interesse generale. Si dimentica però che la crisi della politica, che ha diverse motivazioni, è anche dovuta all’enorme potere che l’economia e soprattutto la grande finanza hanno ottenuto negli ultimi anni: un potere che può decidere le sorti di intere nazioni e del mondo intero. Si tratta di un cambiamento di dimensione epocale che dovrebbe sollecitare un serio dibattito in quanto il potere del sistema finanziario è fuori controllo e rischia di asservire ai propri scopi ogni aspetto e ogni angolo del mondo contemporaneo.
Una buona pratica della politica
Ma la crisi della politica – non solo in Italia e in Europa, ma anche in altre parti del mondo – è pure dovuta all’affievolirsi del bene comune e dell’interesse generale non solo da parte dei politici ma anche da parte dei cittadini.
Se si procede su calcoli elettorali con promesse che non possono essere mantenute, allora la politica si allontana dalla vita reale dei cittadini, si priva di quelle necessarie visioni a lungo termine, si riduce a comportamenti demagogici insopportabili. Così come se si dà risalto a interessi di parte e ad ambizioni individuali, si diventa critici non solo rispetto alla retorica politica ma anche indifferenti e insofferenti rispetto alla politica e alla partecipazione politica.
Tuttavia occorre ricordare che non sono pochi coloro che vivono la politica come servizio. Così occorre ricordare che una società non può fare a meno di una buona politica in grado di affermare il ‘noi’ societario, l’insieme che trascende i particolarismi, gli interessi individuali e che definisce le condizioni di una vita condivisa.
Certo, non è facile svolgere questo compito della politica nel contesto individualistico che attraversa l’Italia, l’Europa e non solo. Oggi ci si nutre dell’affermazione dell’io individuale, ignorando l’altro o anche a scapito dell’altro. Questo è il fiato terribilmente corto di una visione culturale individualistica, che vede l’uomo solo come un individuo, anzi come un consumatore la cui felicità consisterebbe nel profitto, nel guadagno e nel consumo.
Abbiamo bisogno di un respiro più profondo e di un orizzonte sociale più aperto per fare spazio alla politica. Questo lavoro di ricostituzione dell’orizzonte del bene comune sarà lungo, richiederà fatica e pazienza. Ma questo è l’impegno necessario per il nostro futuro e in particolare per il futuro delle nuove generazioni.
Vengo al secondo punto su cui vorrei riflettere, cioè la cura della società nello spirito dell’amicizia civica.
La sfera del civile e il patto civico fra i molti
Qualcuno dice che è necessario ripensare e riscrivere il “contratto sociale”, definendolo in termini nuovi che possono ispirare il comportamento del vivere insieme e dell’abitare il pianeta. Credo che questo non sia possibile oggi, vista la situazione. Ritengo invece che sia necessario andare più in profondità, ad un livello pre-politico: prima di scrivere un contratto sociale, dobbiamo valorizzare la cura della nostra città e del nostro Paese, senza lasciarci piegare a visioni ideologizzate e semplicistiche, senza soffiare sul fuoco del disagio e della frustrazione. È moralmente doveroso prenderci cura di noi stessi e della nostra vita sociale, soprattutto oggi di fronte all’aggressività e alla rabbia sociale alimentata a dismisura dai social network.
Di fronte all’aggravarsi delle fratture sociali, ma forse più ancora psicologiche e culturali, che stanno lacerando il tessuto sociale del nostro Paese (e non solo), è bene ricordare quanto affermava lo storico Sallustio: concordia parvae res crescunt, discordia maximae dilabuntur (nella concordia le piccole cose crescono, nella discordia le cose più grandi vanno in rovina).
Molto prima Aristotele evidenziava che la genesi di una società civile viene dalla filìa, dall’amicizia civica. Ne abbiamo bisogno più che mai in questo tempo. Proprio l’amicizia civica fa crescere il buon governo in ogni realtà e a tutti i livelli, dalla famiglia al condominio, dal quartiere alla città, dal nostro paese all’Europa.
Per questo è indispensabile allargare il nostro modo di pensare per avere una visione più ampia di quella che può suggerire la ragione politica o economica, ricuperando la logica del dono, del gratuito. Questa logica è una dimensione fondamentale della nostra vita umana: rischiamo di non essere più umani se dimentichiamo il valore della gratuità che spinge a pensare e fare un’opera perché è buona e bella in sé. Proprio questo valore dell’opera in sé favorisce il bene comune, rendendo unita e feconda una società.
Questa dimensione gratuita del civile, del sociale, del politico, del culturale esprime la nostra realtà di persone umane che sono in relazione e vivono grazie alle buone relazioni. Senza di esse, non siamo concittadini e neppure cittadini. Se una città sottovaluta questa idea del gratuito, non genera il bene comune e non riuscirà a sprigionare tutto ciò che ha dentro in termini di risorse e di prospettive. Ogni intento speculativo, in ambito economico-finanziario o in ambito politico, finisce con il soppiantare ciò che offre sostanza alla nostra libertà, usurando il patrimonio di valori che fonda la società civile come luogo di convivenza, di incontro, di solidarietà, di rigenerante reciprocità e di responsabilità in vista del bene comune.
Parole e pratiche che accomunano
In questo momento difficile servono parole e segni di concordia, atteggiamenti e comportamenti che superano lo spirito di divisione ed esprimono la cura e l’amicizia civica.
Concludo. La tensione all’ideale del bene comune e l’impegno per la cura della comunità (“casa comune”, come lo è il creato, ci ricorda Papa Francesco) non sono un’utopia, ma sono l’impegno di mettere in primo piano il bene della città e del Paese, sapendo che il bene comune è più importante degli interessi legittimi delle persone, dei corpi sociali e dei partiti. L’amicizia civica esprime questo primato del bene e richiede il senso della gratuità e l’esigenza di farsi carico, di prendersi cura. Tutto questo per i cristiani significa non separare la fede dalla vita, ma illuminare la vita con la luce della fede.
Vi ringrazio per la vostra partecipazione a questo incontro e per il servizio che svolgete con passione e con dedizione. A voi, alle vostre famiglie e alle comunità di cui siete al servizio auguro la luce del Natale: è la luce del bene che vince il male, dell’amore che supera l’odio, della vita che sconfigge la morte. Buon Natale e felice anno nuovo.
Gianni Ambrosio è vescovo di Piacenza-Bobbio. Il discorso qui ripreso è stato pronunciato nell’incontro con gli amministratori locali per lo scambio degli auguri (21 dicembre 2019).
Ecco alcune delle possibili piste percorse dal sistema: imbavagliare la democrazia con leggi, sanzioni e via dicendo, ad hoc; un civismo omologato, svuotante, che renda le persone meri consumatori manipolabili; carriera, lavoro, a chi si uniforma; distrarre con obiettivi isolati, tecnicizzati, dalla vera questione: la libera scelta della formazione e dell’informazione. Ossia il potere nelle mani di pochi o del popolo.
In tale situazione i contenuti finiscono per poter non interessare più a molti perché conta piuttosto la fama mediatica, l’apparenza. Per certi aspetti tutto è visto come potere. Mentre si fa finta di nulla, sembra che nessuno dell’oligarchia veda la drammaticità della situazione. Che può condurre per una china che termina nel baratro generale. I giovani rischiano di diventare dei veri pupazzi del sistema, ancora meno consapevoli rispetto alle vecchie dittature a causa di questo potere in vari casi soft, quasi subliminale.
Si sviluppano nuove forme di annullamento non tanto fisico quanto umano, della libertà di espressione e in varia misura anche di azione. Un annullamento che fa in vario modo sparire invisibilmente, per esempio con forme di svalutazione, di limitazione, le vittime mentre in certe dittature del passato il sacrificio di queste era almeno talora sotto gli occhi di tutti.