Una certa curiosità ha alimentato le discussioni e anche le chiacchiere attorno al destino del M5s, riunito a Napoli per festeggiare i suoi primi dieci anni di vita. Sarà il Partito democratico, suo nuovo e forse penultimo alleato, a mangiarselo oppure toccherà a lui di fare un boccone del Pd?
Domanda legittima visti gli scarsi precedenti di un movimento senza storia e senza memoria come quello che ora ha voluto o meglio preteso di celebrare all’ombra del Vesuvio i propri primi dieci anni di vita. Anni esplosivi, dal primigenio “vaffa day” di Beppe Grillo, la celebrazione del rifiuto totale di tutto ciò che nella politica significa “istituzioni”, tradizione, storia, alla glorificazione delle imprese compiute nelle vesti governative indossate nel corso dell’alleanza con la Lega salvinana, fino alla proclamazione della “fine della povertà” compiuta da un “capo politico” detentore di un potere eccessivo rispetto alla forza rappresentata.
Cose smodate
Narrazione di qualcosa di smodato, come smodato è stato tutto quel che è accaduto in politica in Italia dalle elezioni del 2018 in qua: un periodo del quale saranno ricordate le gesta a torso nudo del leader leghista Salvini, fino alla sua rivendicazione di pieni poteri del tutto legittima quanto priva di basi sociologiche e politiche.
Così come dovrà trovarsi una unità di misura per stabilire la proporzione tra la massa elettorale raccolta dai 5stelle e la forma, le regole, gli organismi in cui essa trova rappresentanza e capacità decisionale.
Dando per scontata la situazione della Lega, dove fin dalla fondazione regna la legge dell’uomo solo al comando, si deve riconoscere che lo sforzo più significativo della kermesse napoletana dal M5s è stato quello testé compiuto da Luigi di Maio di configurare una struttura organizzativa basata su un modulo orizzontale in grado di esprimere una volontà politica impegnativa per tutto l’insieme.
L’idea, assecondata dal Fondatore Beppe Grillo, porta decisamente fuori dall’orbita del Movimento (tendenzialmente senza regole definite e riferimenti formali) e avvicina la galassia dei “met up delle origini” ad una forma di tipo partitico.
Il tema è enunciato con diversi livelli di approssimazione. Per Di Maio occorre creare organicamente un vero e proprio gruppo dirigente: non altrimenti si potrebbe chiamare quell’insieme di 70/80 persone dislocate sul territorio con respiro regionale al quale ha accennato lo stesso “capo politico” senza però approfondire i connotati della nuova piattaforma. Il nome conta di meno: Consiglio Nazionale o Comitato Centrale, tutte le espressioni che sono state usate sono impraticabili per chi ha sparato a zero sulle formule dell’esperienza partitica, nessuna esclusa.
Comporre movimento e partito
Più complesso e quindi problematico l’approccio del presidente della Camera Roberto Fico, per il quale si tratta di mantenere le qualità e l’agilità del movimento nel momento in cui le esigenze parlamentari e quelle di governo costringono ad avvicinarsi alle modalità operative dei partiti. Ecco il suo pensiero: «La nostra organizzazione è sempre stata fluida. Ora, per cambiare ulteriormente, la maggiore collegialità è importante. Dall’altro lato, dobbiamo confrontarci con i temi del presente e del futuro. Dobbiamo riuscire ad anticiparli. Dove è chiaro che l’accenno alla complessità non semplifica le cose».
Fin qui le suggestioni principali non ancora codificate nel bollitore dei 5stelle, Ma ci sono altre questioni da mettere a fuoco che possono contribuire a rendere più complicato il futuro del Movimento incamminato sulla strada del partito.
Altre questioni aperte
Che se ne fa del principio di disintermediazione che ripudia ogni contatto funzionale tra i 5stelle e le formazioni storiche della società civile, quando il governo in carica non ripudia l’ipotesi di un accordo con i sindacati per il miglioramento dei salari e delle condizioni dei lavoratori?
E come si dirimono le ambizioni dei numerosi dirigenti in servizio o in pectore, maturati, più o meno, nelle esperienze di governo o d’azienda, con l’assegnazione dei posti di comando sempre più limitata dalle condizioni dell’economia e della politica, specie dopo la decurtazione del numero dei parlamentari varata dal parlamento italiano?
I segnali di dissesto operativo, non pochi e minacciosi, si rivelano in una realtà in cui l’alternativa al dissenso interno non è il tentativo di ricomposizione della convivenza ma l’espulsione o la dimissione imposta e altre misure più adatte a forme associative totalitarie che al loro equivalente politico?
Con queste premesse resta difficile trovare una risposta immediata alle domande poste all’inizio, almeno finché non si saranno meglio configurate le prospettive dell’altro interlocutore oggi divenuto probabile, e cioè il Pd, o almeno finché un po’ di polvere di stelle, cinque o di più, o quanta se ne vuole, non si sia depositata sulle teste dei dirigenti a 5stelle e quella canizie le avrà imbiancate.