Ha quasi il sapore di uno struggente “amarcord”, ma al contempo rappresenta un segno di fiduciosa speranza l’incontro di una delegazione dei vescovi di Inghilterra e Galles con rappresentanti delle istituzioni dell’Unione Europea che si è tenuto il 26 settembre a Bruxelles. Sul tappeto l’ascolto reciproco e la preoccupazione palpabile in un momento chiave dell’inizio dei negoziati per l’uscita del Regno Unito dalla UE a seguito del referendum sulla Brexit.
Il vescovo Nicholas Hudson ha guidato una delegazione della Commissione episcopale sugli affari internazionali – composta dai vescovi Tom Burns di Menevia, Paul McAleenan ausiliare di Westminster e William Kenney di Birmingham – che, oltre ad incontrarsi con funzionari e rappresentanti delle varie istituzioni europee, ha voluto ascoltare, dalla voce del nunzio apostolico Alain Lebeaupin, il vice presidente Comece, Jean Kockerels e il segretario generale della Conferenza delle Chiese europee Heikki Huttunen, una relazione di tutto il lavoro, svolto o in corso, da COMECE per conto delle Conferenze Episcopali della UE.
Sul tappeto questioni come il mantenimento dei diritti negli scambi commerciali, la nuova e inedita situazione alla frontiera con la Repubblica d’Irlanda e i diritti dei cittadini dell’UE nel Regno Unito e dei cittadini britannici nei paesi europei. «In primo luogo dobbiamo garantire la promozione della dignità umana e insistere sul fatto che l’uomo sia posto al centro del progetto europeo e delle politiche adottate dalle sue istituzioni, che interessano tutti i cittadini europei – ha dichiarato il vescovo Nicholas Hudson, responsabile delle questioni europee –. È quanto mai importante ricordare che rimarrà parte dell’Europa anche quando il Regno Unito abbandonerà l’Unione Europea».
Come riempire di contenuto quest’affermazione pronunciata spesso da cittadini di Oltremanica sarà un tema all’ordine del giorno dei prossimi mesi (è del 28 settembre un documento del Parlamento europeo che considera ancora «insufficienti» le garanzie avanzate dalla premier britannica Theresa May a Firenze).
Di fatto dal 23 giugno 2016 le dichiarazioni s’intrecciano a corrente alternata e sono molti a sognare di poter cancellare quel risultato. In ordine di tempo l’ultima proposta è quella del sindaco di Londra Sadiq Khan, da sempre convinto sostenitore del progetto europeo, che preme perché un rientro nella UE venga inserito in vista delle prossime elezioni nel manifesto elettorale del suo partito, il Labour attualmente all’opposizione.
Sulla linea del “remain”, del restare in Europa, perché convinti del valore del progetto europeo, si erano sempre espressi i vescovi cattolici, senza distinzione di qua e di là della Manica e non solo loro. «In questo tempo di incertezza, la gente ha bisogno di punti di riferimento, ma questo non è un valido motivo per cedere alla diffidenza verso l’altro» si leggeva in una lettera aperta pubblicata il 1° luglio 2016 sul Times di Londra, lettera sottoscritta dal cardinale Vincent Nichols, arcivescovo di Londra e primate d’Inghilterra e Galles, e dal suo collega anglicano Justin Welby, insieme al Gran rabbino Ephraim Mirvis e al Maulana musulmano Syed Ali Raza Rizvi.
Un convegno per costruire il futuro
«Non esiste un’alternativa valida alla cooperazione in Europa, perché lavorare insieme è il modo migliore per mantenere la pace, affrontare le sfide economiche e sociali legate alla globalizzazione e rappresentare di nuovo un punto di riferimento per l’umanità, come è anche la speranza di papa Francesco» aveva dichiarato il presidente dei vescovi COMECE, il cardinale Reinhard Marx, all’assemblea plenaria di primavera pochi mesi dopo l’esito del voto inglese.
In quell’occasione l’annuncio di un convegno – «Re-thinking Europe» (Ripensare l’Europa) – in collaborazione con la Santa Sede, per riflettere sul futuro dell’Unione Europea da tenersi dal 27 al 29 ottobre prossimi a Roma, sede dove 60 anni fa (25 marzo 1957) sono stati firmati i trattati che di fatto hanno sancito l’avvio della realizzazione concreta del progetto europeo da parte dei primi 6 Stati fondatori (Belgio, Francia, Germania Ovest, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi).
«Come Chiesa, e come cristiani, vogliamo dare un contributo alla discussione sul futuro dell’Europa» spiegava il presidente COMECE illustrando l’evento che rappresenta un chiaro segnale del forte impegno della Chiesa cattolica nella ricerca di nuove opportunità e nuovi modi di vivere insieme nel continente. In un momento di incertezza per quanto riguarda il futuro percorso dell’Unione Europea, la COMECE è disposta ad offrire un’occasione di dialogo e di riflessione comune tra vescovi e rappresentanti politici di alto livello, insieme ad altri attori della Chiesa.
Tanti gli interrogativi sul tappeto cui cercheranno di offrire un contributo di riflessione esperti di varie discipline, politici, rappresentanti di movimenti, religiosi e laici – tra i quali Sylvie Goulard (ALDE), Jérôme Jamin (Université de Liège) e Luuk van Middelaar (Université Catholique di Louvain-la-Neuve) – per dar vita ad un dialogo con vescovi e laici e individuare il contributo dei cristiani al futuro dell’intero Vecchio Continente.
Quali sono le sfide di oggi per l’Unione Europea? Cosa vogliamo realizzare insieme? Quali sono le esigenze delle nostre popolazioni? Qual è il riferimento comune che vogliamo porre al centro della costruzione europea? Come può contribuire ad un futuro positivo la nostra matrice cattolica? Tre gli ambiti tematici che saranno affrontati: le crisi e le loro cause, la dimensione sociale dell’Europa, i diversi concetti e visioni di Europa e di Unione Europea.
«La COMECE ha un compito cruciale da svolgere oggi e nel prossimo futuro. Altrimenti tra 20, 30 o 50 anni ci si domanderà: dov’era la Chiesa quando l’Europa si divideva sulla questione del suo futuro?» s’interrogava il cardinale Marx.
L’indispensabile ruolo dei cristiani
Al convegno è prevista la partecipazione, e l’intervento, anche di papa Francesco che lo scorso 16 maggio ha incontrato in Vaticano il Comitato permanente COMECE che rappresenta un po’ il consiglio scientifico dell’incontro. Insieme al presidente Marx erano presenti Jean Kockerols, vescovo ausiliare di Malines-Brussels, Gianni Ambrosio, vescovo di Piacenza-Bobbio, Czeslaw Kozon, vescovo di Copenhagen, e Rimantas Norvila, vescovo di Vilkaviskis in Lituania (il gruppo si è incontrato anche con Paul Gallagher, attuale segretario per le relazioni con gli Stati, con il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato e con gli ambasciatori dell’UE presso la Santa Sede.
«Siamo venuti oggi a parlare con il Santo Padre – spiegava ai giornalisti Olivier Poquillon, segretario generale della COMECE – dell’incontro di dialogo che si terrà alla fine di ottobre per capire insieme che cosa vogliamo fare oggi in Europa. L’Unione Europea è una macchina straordinaria, una macchina forse un po’ pesante, ma capace di assicurare la pace e assicurare una certa prosperità. Ma la domanda è: questa pace e questa prosperità sono proprio per tutti?».
Nessuno si nasconde che tra le popolazioni del continente soffia un vento minaccioso portatore di egoismi e chiusure xenofobe e l’Unione Europea ha davanti a sé delle sfide inedite. Tuttavia nella sua storia ha già dovuto affrontare una guerra fredda e lo spettro di un muro che ha ferito le coscienze, eppure ha saputo rialzare la testa. Oggi siamo ad una tappa successiva, ma la speranza è ancora intatta perché fondata su una roccia sicura: indispensabile si rivela l’apporto dei cristiani europei testimoni dei valori del Vangelo.
«La Chiesa non ha risposte precostituite, non vuole sostituirsi alla politica. Si tratta di ridonare il gusto d’investire nel bene comune» spiegava Poquillon. L’intento è quello di promuovere una riflessione più profonda sul futuro dell’Unione Europea, al fine di recuperare gli ideali alti che il papa aveva indicato ai membri del Parlamento europeo in occasione della sua visita a Strasburgo e al conferimento del Premio Carlo Magno in Vaticano e ribadito il 24 marzo, nella Sala Regia, durante la cerimonia con i capi di Stato e di governo dell’UE, in occasione del 60° anniversario della firma dei Trattati di Roma: l’attuale crisi, non solo economica bensì culturale, è una possibilità e una chiamata e quindi non necessariamente una cosa negativa. La crisi deve essere vista come un’opportunità per indicarci che è arrivato il momento per decidersi e comprendere meglio dove si colloca il nostro futuro.
Oltre i populismi e nazionalismi
A conferma del continuo confronto serrato tra le Chiese locali d’Europa anche l’incontro, che si è tenuto a Roma dal 21 al 23 settembre, tra oltre 50 rappresentanti di 24 conferenze episcopali europee (perlopiù responsabili della pastorale migranti) e i vertici della sezione «Migranti e rifugiati» del nuovo Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale e quindi con il santo padre. In quell’occasione il cardinale Josip Bozanić, responsabile della sezione «Migrazioni» della Commissione CCEE «Caritas in veritate», impossibilitato a partecipare, ha inviato un messaggio ai partecipanti nel quale ha ripercorso gli ultimi anni dell’attività della Commissione e l’attuale situazione della pastorale per i migranti e rifugiati in Europa. A questo riguardo sono stati presentati i risultati di un’analisi dell’indagine realizzata presso le conferenze episcopali d’Europa riguardo la situazione dei migranti e la percezione del fenomeno; indagine curata, e illustrata, da Gian Carlo Blangiardo e Simona Maria Mirabelli dell’Università Milano Bicocca. Dallo studio sono emersi alcuni nodi: i bisogni e le criticità connesse al fenomeno dei rifugiati; il ruolo dell’informazione e della comunicazione sociale/interpersonale e religiosa nella conoscenza e rappresentazione del fenomeno; la percezione della popolazione autoctona nei confronti di migranti e rifugiati; le azioni e gli interventi della Chiesa Cattolica a sostegno delle popolazioni di interesse; il rapporto della Chiesa con le autorità statali.
Ancora una volta si rivela il ruolo chiave di una Chiesa cattolica chiamata a rispondere alle sfide dell’oggi, tra le quali il fenomeno migratorio – definitivo un autentico «esodo epocale» – rappresenta un evento sì inedito per modalità e soggetti coinvolti, ma che di fatto ha accompagnato da sempre la storia dell’umanità.
Ciò che oggi appare sempre più urgente è la promozione di una cultura dell’accoglienza, capace di individuare le motivazioni per un incontro tra le persone, per attivare canali di solidarietà pur nella consapevolezza – come ha ricordato papa Bergoglio il 22 settembre – dei troppi «segni di intolleranza, discriminazione e xenofobia che si riscontrano in diverse regioni d’Europa e spesso motivati dalla diffidenza e dal timore verso l’altro, il diverso, lo straniero».
È stata questa l’analisi del cardinale Marx, nella sua veste di presidente della Conferenza episcopale di Germania, all’apertura dell’Assemblea plenaria d’autunno a Fulda (dove il 28 settembre si sono celebrati i 150 dalla 1° riunione), esattamente all’indomani del voto tedesco per il rinnovo del Bundestag. «Il nazionalismo e lo spirito di esclusione sono del tutto estranei al messaggio cristiano. Per il Vangelo tutti gli uomini sono uguali davanti a Dio indipendentemente dalla loro provenienza o etnia» ha detto l’arcivescovo di Monaco di Baviera, una terra dove la manodopera degli immigrati si rivela cruciale per l’economia. Marx, con una predilezione per la morale sociale, ha richiamato concetti già ribaditi in altre sedi: nella ricerca del bene comune non è accettabile tagliare il mondo con la scure bianco/nero. Messi al bando i toni violenti che non si addicono alla politica, un dato è certo: indietro non si torna perché una società chiusa dentro i propri confini, attanagliata dalla paura, non è più accettabile in un mondo globale. Oggi esistono dei temi cruciali cui occorre prestare attenzione alla ricerca di una soluzione condivisa: la gestione degli stranieri che cercano rifugio in Germania, il sostegno ai poveri e ai più vulnerabili della società tedesca, il tema della pace, la tutela della vita e della famiglia. L’unico riferimento che deve orientare un cristiano impegnato in politica è la dottrina sociale della Chiesa.
«La Chiesa non è un anacronismo, vive nel mondo ed è nel mondo che deve testimoniare il regno di Dio» ha ricordato in cattedrale citando il beato papa Paolo VI e il Vaticano II. «È all’uomo contemporaneo che dobbiamo parlare non ad altri ed è compito di tutti i cristiani impegnarsi per il miglioramento della società. Tutti possono fare qualcosa».
L’Europa è responsabilità di tutti
«La responsabilità per il futuro e la capacità di leggere i segni dei tempi appartiene a tutto il popolo di Dio, ma se portiamo avanti ciascuno il proprio ministero alla luce della carità, allora potremo individuare nuovi modi coraggiosi di procedere».
Ad un mese dall’apertura del Convegno di Roma le sue parole rappresentano una sorta di manifesto programmatico e un’anticipazione del discorso di saluto. A Roma i concetti di solidarietà e sussidiarietà, alla base della dottrina sociale, aspettano di essere declinati nell’oggi dell’Europa per costruire una “cultura 2.0” dove nessun cristiano potrà richiudersi a riccio e dire «questo non mi appartiene», perché il bene comune, così come il futuro dei nostri figli, è cosa di tutti.
È questo l’ideale che ha ispirato i padri fondatori del progetto europeo e tutti sappiamo che «questa storia, in gran parte, è ancora da scrivere» (papa Francesco, Discorso al Parlamento Europeo 25.11.2014) come ha ricordato il 28 settembre il cardinale Bagnasco, in qualità di presidente CCEE, all’apertura dell’Assemblea plenaria in corso a Minsk in Bielorussia.
«Il sogno di questa unione come “famiglia di popoli” e “casa di nazioni” è sempre attuale, tanto più se guardiamo il mondo e i “giganti vecchi e nuovi”. Non spetta a noi fare dei calcoli di tipo economico e commerciale, ma è nostro dovere ricordare a tutti che l’Europa non è un complesso puramente geografico, né soltanto un gruppo di popoli, ma è un compito spirituale ed etico; non è un organigramma, ma è un corpo vivente, una comunità di vita e di destino».