Lungo il tragitto verso il referendum costituzionale molti aspetti si sono chiariti nelle ultime settimane. La pazza idea dello “spacchettamento” del quesito, che avrebbe disarticolato il giudizio politico di sintesi sul “pacchetto” delle riforme, ha avuto onorata sepoltura. E anche le proporzioni degli schieramenti ai nastri di partenza si sono meglio delineate dopo che il comitato del “sì” ha superato la cifra dimostrativa del mezzo milione di firme e quello del “no” si è fermato un po’ prima.
Tra i corpi intermedi
Inoltre il Presidente del Consiglio ha abbandonato i toni ultimativi («o me o il caos») e il suo partito si è fruttuosamente dedicato alla ricerca dei consensi nell’ambito dei corpi intermedi, guadagnando, per dire, il voto – “sette+” – di un leader sindacale, non si sa se richiesto ma sicuramente gradito.
Nello stesso fronte del “no”, a parte gli alti clamori di fanfara dell’on. Brunetta, si percepiscono toni più riflessivi anche in vista di un “dopo” che preveda comunque un adattamento della legge elettorale alle esigenze di un centrodestra tanto disunito quanto bisognoso di un salvagente. Il vento dei buoni consigli spira con forza verso quelle contrade e suggerisce di darsi da fare per superare la prova d’autunno, ché poi le cose si aggiusteranno.
Slogans populisti
Se, però, al livello dei vertici, le cose piegano verso un andamento meno barbarico, a livello di base, nella dimensione popolare, il clima è assai differente. La propaganda spicciola – anche nelle agenzie delle organizzazioni che optano per il “sì” – amplifica e diffonde parole d’ordine che è difficile non classificare come populiste. Esempio: se votate “sì”, impedite alla “casta” di continuare a rubare. Nei circuiti del “no”, viceversa, si gioca al rimbalzo sul governo: è stato Renzi a dire che, se perde, se ne torna a casa; dunque, l’occasione è buona per metterlo in condizione di farlo.
Giusto osservare che un tasso di deformazione si verifica sempre nelle consultazioni semplificate. Ai tempi del confronto sul divorzio si ammonivano le mogli dei comunisti: se passa la legge, i vostri mariti vi pianteranno. Un po’ di terrorismo ideologico fa parte della recita. Ma stavolta il rischio è più grande, perché la presenza di certi argomenti aumenta la distanza tra quesito effettivo e quesito percepito, producendo una distorsione di significati e di aspettative dalle conseguenze imponderabili. Né esiste più, perché si è completamente esaurita, una risorsa usata in passato in occasioni consimili: quella che consisteva di rilevare che, se il referendum veniva respinto, non era la fine del mondo, nessun governo si dimetteva e le vecchie regole continuavano a funzionare con relativa generale soddisfazione. Oggi lo stato d’emergenza s’è impadronito di questa prova e la sospinge verso effetti collaterali comunque sgradevoli.
Il merito: le riforme nella Costituzione
In queste condizioni di estrema confusione sorprende però l’esistenza di un desiderio unitario: tutti concordano sul fatto che occorre pronunciarsi sul “merito” del referendum, salvo poi a identificarlo secondo particolari propensioni.
Ora, a conclusione della riflessione condotta su Settimana news, può trovare cittadinanza la proposta di assumere la ricerca del “merito” come il tema da svolgere nei mesi da qui alla consultazione. Ma con una specificazione decisiva. Nel senso di stabilire che il “merito” non è né la formulazione letterale del quesito né quel che la politica vi sovrappone, ma è precisamente la relazione che si determina tra quel che il riformatore ha deciso e la Costituzione della Repubblica presa nel suo complesso. Come dire, per fare un raffronto banale, il rapporto che corre tra il regolamento di condominio e il progetto del palazzo nel quale si deve convivere.
Un abito per questa Repubblica
Dichiarare di non riuscire a considerare il “regolamento” come un’entità indifferente rispetto all’architettura e alla destinazione del palazzo, è la premessa per sviluppare un discorso che può avere importanti conseguenze politiche e culturali.
Rifiutare tale separazione (la distinzione è ovvia) significa affermare che l’ordinamento di cui il riformatore si è occupato non è un’astratta normativa buona per ogni tempo e ogni luogo, ma è, invece e soltanto, l’abito tagliato su misura per questa repubblica e non per un’altra. Ora questa repubblica è “fondata sul lavoro” e sancisce il diritto-dovere del lavoro; inoltre, si impegna a rimuovere gli ostacoli di carattere economico e sociale che impediscono l’uguaglianza e la partecipazione politica, ripudia la guerra e assicura l’asilo a quanti fuggono da paesi nei quali non sono garantiti i diritti che l’Italia assicura ai suoi cittadini. Queste e altre caratteristiche fanno della Costituzione italiana un’entità non neutrale rispetto alle vicende della storia; e ciò non può essere senza conseguenze sui modi e sugli strumenti con cui si realizza il progetto costituzionale, nei suoi principi e nei suoi valori.
Nessuna separazione
Chiedere/pretendere che il regolamento del condominio (le norme sulla rappresentanza, sulla delega, sulle funzioni degli organi dello stato) sia in sintonia con il sistema dei valori che la Costituzione promuove non è, dunque, un parlar d’altro, un deviare il discorso. Semmai è un invito a ricondurre l’intera produzione politica nell’alveo della carta fondamentale senza separatezze e deviazioni.
Il fatto che, delle riforme, si sia trattato per decenni prescindendo da questo legame fondamentale può essere un segno di trascuratezza ma anche l’indice di una volontà politica che si esprime, se non contro, certamente senza la Costituzione. La stessa sublimazione/imbalsamazione della prima parte della Carta, ritenuta intoccabile per la sua pregnanza storica e per l’eloquenza delle parole, è servita più di una volta per piccole operazioni di contrabbando, soprattutto a favore del mercato e a danno dello stato sociale.
Una sfida per tutti
Anche l’obiezione per la quale il mondo del diritto usa avanzare verso la valorizzazione del linkage tra forme istituzionali e contenuti costituzionali (e cioè che le norme regolamentari debbono valere per una pluralità di scelte politiche) trova la giusta contraria in questi termini: si adottino, dunque, scelte politiche coerenti con la Costituzione sui temi cruciali dell’attualità, a partire dalla prossima legge di stabilità.
In tal caso, soprattutto chi ha promosso la riforma potrà avere l’opportunità di dimostrare che le misure di snellimento e modernizzazione di cui si è discusso possono essere messe al servizio di una politica di sviluppo che crei lavoro e combatta le ingiustizie. Ma questa è una sfida anche per chi contrasta la riforma visto che, se vince la prova, gli tocca, se vuole, ottenere risultati positivi utilizzando gli arnesi del vecchio sistema.