Per tentare di capire la «repentina» mossa di Theresa May di convocare i comizi elettorali per il prossimo 8 giugno – nonostante che avesse sempre escluso elezioni anticipate fino al 2020 – credo occorra tenere un occhio su Westminster e un altro su Holyrood, il Parlamento scozzese.
Westminster
La May gode di una reltiva maggioranza parlamentare ma non omogenea. In seno ai Tories ci sono molti parlamentari contrari se non alla Brexit certamente a una «hard Brexit».
Fidandosi dei sondaggi che attibuiscono al Partito Conservatore (Tories) un vantaggio superiore a 21 punti sul Labour Party del controverso leader Corbyn, la May spera di ottenere una maggioranza quasi «bulgara» (aiutata dal sistema maggioritario in vigore nel Regno Unito), selezionando, in quanto leader del Tories, i candidati. In altre parole, la May potrà esercitare forti pressioni sui candidati, scartando quelli che non le sono del tutto fedeli. Verosimilmente il gioco potrebbe riuscirle, liberandosi da parlamentari troppo recentemente «convertitisi» alla Brexit. In altri termini, le elezioni rappresentano una resa dei conti tra le due ali principali del Tories e uno «scontro» all’ultimo voto con il Labour.
Corbyn avrebbe potuto fermare la decisione di andare alle urne – i voti dei labouristi sono stati determinanti – ma una mossa del genere lo avrebbe reso ancora più debole, presentandolo come timoroso di un confronto elettorale, dopo aver per mesi sbandierato che il Labour esiste «per fare opposizione». Corbyn potrebbe rifarsi, ma assai poco, in qualche dibattito televisivo alla BBC, che finora la May non vuole accettare. Certo, Corbyn dirà «cose di sinistra» (giustizia sociale, migliori condizioni di lavoro, tasse per i ricchi) continuando a entusiasmare sempre più larghe fasce giovanili. Ma il problema è che, spostandosi sempre più a sinistra, il Labour ha già perso due elezioni (2010, 2015), e ora rischia una terza sconfitta catostrofica. Tanto che i più equilibrati Sadiq Khan, sindaco Labour di Londra, e l’ex ministro degli Esteri David Miliband lo incalzano da vicino, pronti a sbarazzarsene se il Labour, verosimilmente, perderà il treno anche l’8 giugno.
Holyrood
In Scozia la First Minister Nicola Sturgeon scalpita e vuole un secondo referendum per l’indipendenza della Scozia. Una chiara minaccia per la May, consapevole della forza del National Scottish Party (NSP), che alle ultime elezioni ha vinto 56 su 58 seggi al Parlamento di Holyrood.
Vi sono però segnali che il partito conservatore potrebbe riprendersi in Scozia (il Labour Party è già sparito), riducendo così la capacità di manovra del NSP. Molto però è sospeso ai negoziati Londra-Bruxelles per la Brexit. Se i negoziati porteranno vantaggi al Regno Unito è ovvio che le spinte secessioniste scozzesi ne dovranno tenere conto e potrebbero uscirne ridimensionate. Il tempo ce lo dirà.