Curiosa motivazione delle dimissioni dal Pd dell’ex segretario e Presidente del Consiglio Matteo Renzi. Lascia perché – dice – il partito lo ha sempre considerato un estraneo e, dunque, riferisce una causa riferita al passato, ma subito dopo assicura fedeltà al governo attuale e anche alle scelte del partito per le prossime regionali ed amministrative, quali che siano.
Si direbbe che l’ex dirigente massimo del Pd abbia voluto mettere le mani avanti per i danni arrecati piuttosto che danneggiare il partito in via immediata, a parte il danno reale ed effettivo causato dall’annuncio del distacco in una situazione in cui il Pd è impegnato in un’operazione politica (il tentativo di alleanza a scala locale oltre quella del governo centrale) che, del resto, lo stesso Renzi ha patrocinato per primo e con calore.
Tuttavia non può sfuggire all’osservatore l’assonanza con un’altra situazione di cui il parlamentare fiorentino fu protagonista anni or sono, quando, rivolgendosi al Presidente del Consiglio in carica, lo rassicurò con un’espressione rimasta celebre (“Enrico stai sereno”) che precedette di pochi giorni la giubilazione di Enrico Letta.
È rispetto a questo episodio in particolare che non quadra il richiamo ad una situazione di disagio nel Pd di Matteo Renzi: non solo non fu considerato un estraneo ma gli venne conferito un grande potere del quale fece uso ed abuso in modo evidente non solo nell’episodio citato ma anche, per esemplificare, nella compilazione delle liste elettorali del 2018, le stesse che gli permisero di controllare un ingente numero di parlamentari nelle due Camere e di valersene da qui al 2022, anno delle prossime elezioni, quando ha promesso di farne uso. Solo allora. Parola di Matteo Renzi.
Il fatto si presta poi ad altre puntuali considerazioni se lo si inquadra nella situazione politica attuale caratterizzata dall’entrata in servizio del governo Conte 2 e dall’impegno che esso ha assunto di attuare un programma che a molti è apparso eccessivo rispetto alle concrete possibilità del paese, che pure è chiamato ad assolvere impegni inderogabili a scala europea e nazionale. Come si comporteranno i ministri “renziani” in relazione a tali impegni quando si tratterà di decidere se tagliare, dove tagliare, che cosa tagliare? E ancora: prendere subito le decisioni opportune o avvalersene solo alla vigilia delle elezioni del 2022 per tesaurizzare un possibile gruzzolo elettorale in vista del risultato da conseguire, a quel punto a beneficio di una lista di partito finalmente in grado di manifestarsi in quanto tale?
Sono tanti gli interrogativi che si pongono dopo l’annuncio di queste dimissioni a effetto ritardato. E tanti i problemi che nella forma in cui esse sono annunciate pongono sul piano dell’etica pubblica. Se le dimissioni in politica vengono date per risolvere un problema, che accade quando si constata che le dimissioni stesse costituiscono un problema? E che pensare del modo in esse vengono considerate dal destinatario (nel caso il segretario in carica Zingaretti) quando sembra prendere sul serio la metodologia delle dimissioni dilazionate nel tempo e delle relative scadenze. Preparerà una circolare? E ancora: i dimissionari potranno partecipare e in che veste, di diritto di voto ad esempio, ad eventuali congressi da svolgersi da qui al 2022? Il seguito alla prossima puntata.