Pur in un paese che sembra abbia smarrito l’attitudine all’indignazione, ha destato scalpore la performance riccamente remunerata di Renzi a Riad al soglio del principe Bin Salman, uomo forte del regime saudita, che recluta opinion leader allo scopo di darsi un’improbabile rispettabilità.
Taluni hanno sollevato interrogativi circa la liceità dell’impresa in punto di diritto, circa un più che sospetto conflitto di interessi di un senatore della Repubblica e capo partito, e comunque circa la palese inopportunità di quella prestazione nel pieno della crisi di governo da lui stesso provocata.
Non suoni eccentrico (poi spiegherò), ma luogo e temi hanno evocato in me il ricordo di Giorgio La Pira: il Mediterraneo, Firenze, le città, il Rinascimento, i diritti dell’uomo, il lavoro. Più chiaramente: il rovesciamento della lezione di una figura che Renzi conosce, avendogli dedicato la sua tesi di laurea ed essendo stato, La Pira, a sua volta, sindaco di Firenze.
La cronaca, supportata da immagini francamente imbarazzanti, dà conto di un Renzi nella parte del compiacente intervistatore del controverso principe saudita, uomo forte di un regime oscurantista e sanguinario, che viola i diritti di libertà e i diritti sociali, perseguita minoranze e omosessuali, discrimina oltre ogni limite le donne, fa a pezzi i dissidenti.
Abbiamo altresì appreso che Renzi ha fatto cenno al ruolo di Firenze nel Rinascimento italiano cui dovrebbe ispirarsi l’Arabia Saudita con un suo nuovo, ambizioso piano di investimenti. In un infelice passaggio, il Nostro ha altresì confidato di invidiare il costo del lavoro di quella regione. Ove sono largamente praticati salari da fame, sfruttamento, schiavizzazione dei lavoratori immigrati e sono conculcati i diritti e le garanzie sindacali.
Quanto lontano da La Pira!
Tutte questioni che – ripeto – videro impegnato Giorgio La Pira in un senso esattamente opposto. Penso ai Colloqui Mediterranei e dei sindaci delle grandi città del mondo da lui convocati a Firenze, nei quali, con accenti profetici, evocava il “sentiero di Isaia” («forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci»), prospettava un disarmo generale, assimilava il Mediterraneo al lago di Tiberiade, culla delle civiltà monoteiste e cioè – parole sue – della triplice “famiglia di Abramo” (ebraismo, cristianesimo, islam). Una profezia di fratellanza e di pace. Decisamente lontana dai tratti della potenza armata fino ai denti dell’attuale Arabia Saudita impegnata in guerre sanguinarie, che hanno indotto finalmente il nostro parlamento a revocare, proprio nelle stesse ore, la vendita di armi ad essa destinate.
Penso alle ispirate riflessioni lapiriane sulla vocazione universalistica di Firenze quale città della scienza, dell’arte e della bellezza, grazie ai suoi grandi del Rinascimento. Penso alla sua singolarissima sensibilità per i diritti sociali e del lavoro e per “le attese della povera gente” (titolo di un suo celebre saggio ispirato al Keynesismo pubblicato sulla rivista dossettiana Cronache sociali).
Penso alla concreta sollecitudine per i poveri cui dava del suo, in una sorta di appuntamento domenicale, alla porta delle chiese di San Procolo e di Badia da lui frequentate.
Ancora: penso al La Pira che, relatore, in apertura dell’Assemblea costituente, tracciò le linee portanti della nostra architettura costituzionale e, segnatamente, i principi e i diritti fondamentali scolpiti nella prima parte della nostra Carta. A cominciare dai principi di dignità e uguaglianza delle persone, senza distinzione di sesso, di censo, di lingua, di razza, di religione. Diritti di libertà, diritti politici, diritti sociali che figurano nelle Costituzioni democratiche postbelliche e nelle grandi Carte internazionali dei diritti e che disegnano ordinamenti, Stati e società agli antipodi di quelli della teocrazia di Riad.
L’omaggio reso alla monarchia saudita e ai petrodollari custoditi nei suoi forzieri, il credito offerto al “rinascimento” patrocinato da quel regime, le parole “dal sen sfuggite” circa il loro invidiabile costo del lavoro farebbero trasecolare La Pira. Ma soprattutto gettano una luce retrospettiva sul tempo, neppure così lontano, nel quale Renzi si propose – e molti gli dettero credito – come campione della “nuova politica” e leader della sinistra italiana alla testa di un partito che si definiva democratico.