Il 15 marzo scorso la Sala stampa della Santa Sede ha reso noto che il prossimo 25 marzo, giorno dell’Annunciazione del Signore, papa Francesco procederà alla consacrazione di Russia e Ucraina al Cuore immacolato di Maria durante il rito della penitenza da lui presieduto nella basilica di San Pietro.
A sottolineare il nesso della cerimonia con la mariofania di Fatima, in quel giorno lo stesso atto sarà celebrato nel santuario portoghese dall’elemosiniere pontificio, card. Konrad Krajewski.
La decisione pontificia costituisce la risposta di Roma ad una richiesta dell’episcopato ucraino.
Nel 2014, al momento dell’intervento militare della Russia nelle regioni sud-orientali del paese, i vescovi greco-cattolici avevano avanzato al papa una prima domanda di consacrazione dell’Ucraina al Cuore immacolato di Maria.
L’istanza è stata nuovamente avanzata nei giorni della recente invasione russa ed è stata ripetuta al card. Krajewski nel corso della sua visita nel paese come inviato speciale del papa. D’altra parte. è nota la devozione mariana della Chiesa ucraina: una consacrazione alla Vergine dello Stato nazionale, nato nel 1991 in seguito alla dissoluzione dell’URSS, era stata compiuta nel 1995 ed era stata ripetuta nel 2014.
Bergoglio, nell’aderire alla richiesta, l’ha riformulata – consacrazione sia della Russia che dell’Ucraina – nell’evidente intento di collegare la pratica pia all’impetrazione della pace in un territorio dove la guerra, investendo in maniera sempre più massiccia la popolazione civile, rivela il suo vero e unico volto: produrre una drammatica catastrofe umanitaria.
Ma saranno ovviamente le parole del rito a chiarire più precisamente gli obiettivi che Francesco si propone di conseguire. Intanto qualche indicazione si può ricavare dalla storia di questa forma di pietà.
La devozione al Cuore immacolato
Riconosciuta da Roma all’inizio del XIX secolo, la devozione al Cuore immacolato di Maria intendeva collegare l’esclusivo privilegio di cui la Vergine è stata dotata (il concepimento senza peccato originale) con un riferimento alla sua speciale bontà (il cuore ne è simbolo per eccellenza).
Si riteneva che un atto cultuale in cui si rendeva onore a questi peculiari titoli mariani, accentuando l’onore reso alla Vergine, favorisse l’attivazione della sua capacità intercessoria. Si tratta, dunque, di una devozione connessa alla richiesta di protezione in momenti e situazioni di particolare difficoltà.
Non a caso i suoi primi successi popolari, nei decenni inziali dell’Ottocento, si registrano in contesti in cui i cattolici guardano con grande preoccupazione al diffondersi di rivoluzioni liberali segnate da forti tratti anticlericali.
Ma l’affermazione della pratica pia si verifica con le apparizioni di Fatima nel luglio 1917.
Il loro contenuto assume varie formulazioni nel corso del tempo. Del resto, l’analfabeta bambina di dieci anni Lucia dos Santos – l’unica dei tre pastorelli che vede, sente e parla con la Madonna – non ha ovviamente i mezzi espressivi dell’acculturata suor Lucia che, nei decenni successivi, intrattiene rapporti con teologi, vescovi, cardinali, papi.
Per limitarci qui esclusivamente all’aspetto cultuale del messaggio di Fatima che viene reso pubblico (non prendiamo quindi in considerazione il tema dei “segreti”), un elemento occorre rilevare. Dopo qualche oscillazione iniziale, in cui compare anche la consacrazione al Sacro Cuore di Gesù, il testo delle rivelazioni costantemente indica la consacrazione al Cuore immacolato di Maria come rimedio in grado di ovviare ai mali di un mondo che si allontana dalla Chiesa, ottenendo la conversione al cattolicesimo dei deviati uomini contemporanei.
In risposta ai mali dei tempi
L’individuazione concreta di questi mali varia però a seconda dei tempi e dei locutori che espongono le rivelazioni.
Sotto questo profilo un aspetto è spesso dimenticato. Nei momenti aurorali della diffusione del messaggio di Fatima la pratica pia è raccomandata per assicurare la pace, ponendo fine alla carneficina della Grande Guerra.
Ben presto, però, allo stabilimento della pace si sostituisce un altro obiettivo, di cui l’atteggiamento repressivo verso il nuovo culto mariano dell’anticlericale Repubblica portoghese determina l’emersione: la formazione di uno Stato confessionale.
Quando si afferma la dittatura di Salazar, che rovescia la politica dei precedenti governi verso la Chiesa, l’episcopato portoghese non ha dubbi: la consacrazione del Portogallo al Cuore immacolato di Maria è la via che consente, grazie all’instaurazione del regime nazional-cattolico, di evitare al paese quel comunismo che sta sconvolgendo la vicina Spagna con la guerra civile.
Intanto il vescovo di Leiria, la diocesi di Fatima, comincia a inviare a Roma sollecitazioni perché consacri anche la Russia allo scopo di impedire che il supremo male del comunismo dilaghi nel mondo intero.
Nel corso del secondo conflitto mondiale Pio XII aderisce all’invito, ma lo risignifica. Nel 1942 consacra il mondo (non la Russia!) al Cuore immacolato di Maria, con una formula in cui collega l’atto religioso ad una pace da raggiungersi attraverso la simultanea sconfitta di comunismo e nazismo.
La guerra fredda lo induce a ridefinire l’oggetto della consacrazione: il rito del 1952 consacra i popoli della Russia al fine di ottenere, con il crollo del comunismo, il ritorno ad una vita fraterna sotto la guida di Roma. La chiave anticomunista sarà la nota dominante della consacrazione dell’Italia nel 1959.
Paolo VI, alla conclusione della terza sessione del Concilio Vaticano II, decide rinnovare l’atto, ma consacra l’intera umanità per impetrare il dono della pace «che si fonda nella verità, nella giustizia, nella libertà e nell’amore».
Un pericolo da evitare
A partire da questo momento, la storia della consacrazione al Cuore immacolato di Maria entra all’interno del dibattito che attraversa il mondo cattolico post-conciliare. Diventa la bandiera dei tradizionalisti, che individuano nell’apertura della Chiesa al mondo moderno il sommo male cui la pratica pia è chiamata a porre riparo.
I ripetuti atti di affidamento di tutti i popoli al Cuore immacolato di Maria compiuti da Giovanni Paolo II non riassorbono completamente questa lettura della consacrazione. Anzi, nel terzo millennio, l’atto religioso assume una nuova colorazione politica.
I leader del populismo di destra – da Bolsonaro, che invoca la consacrazione del Brasile, a Salvini che, di ritorno da Fatima, ripropone quella dell’Italia – individuano in questa forma di pietà la via per ottenere consenso elettorale, collegandola ai diffusi bisogni di protezione dalla minaccia della globalizzazione e ad una legittimazione religiosa delle pulsioni nazional-identitarie.
Questo percorso storico aiuta a gettare qualche luce sulla decisione di Francesco. Il papa inserisce la pratica pia all’interno delle iniziative prese per rispondere alla guerra attraverso la sollecitazione ai fedeli a pregare per la pace. In tal modo recupera un atto religioso da tempo terreno privilegiato della propaganda dei settori cattolici anti-conciliari e dello spregiudicato uso politico dei culti ad opera dei populisti di destra. Riportandolo nell’alveo del suo significato originario di impetrazione della pace, lo sottrae all’ideologizzazione cui è stato sottoposto negli ultimi decenni.
Si tratta di un significato emerso rapsodicamente nel corso di tutta la storia della pratica pia; ma la sua connotazione più consistente appare pur sempre una pesante politicizzazione in chiave di restaurazione del regime di cristianità.
Solo il discorso pubblico del papa permetterà di capire se questa ingombrante eredità del culto è davvero alle nostre spalle.
Anch’io spero che “questa ingombrante eredità del culto” sia davvero alle spalle si ma solo a quelle dell’articolista e dei suoi sodali (visto l’uso della prima persona plurale). Anche perché – a dispetto del tono dissacratorio – l’articolo nel fare l’elenco degli episodi ad essa legati non fa altro che confermare l’efficacia della scandalosa pratica de quo. Con buona pace dell’inconsapevole sostenitore.
Io credo invece difenda l’autentica tradizione dalla distorsione politicizzata dei fatti.