In un contributo gentilmente pubblicato da SettimanaNews tre giorni prima delle elezioni politiche, ho cercato di riflettere sulla posta in gioco dell’appuntamento elettorale rispetto alla coscienza dei cattolici, mai come oggi chiamati a un attento discernimento dei contenuti, delle proposte e delle figure che si propongono a governare il Paese.
Da allora, abbiamo attraversato una lunga e difficile crisi, che talvolta ha acceso gli animi più del dovuto, ha impaurito i mercati, e ha gettato l’Italia – per l’ennesima volta – nella sensazione dello spaesamento e del disorientamento.
Un’analisi oggettiva
Non possiamo fare la lunga disamina politica di come si sia arrivati fin qui, ma alcuni dati oggettivi devono essere presi in considerazione, senza pregiudizi. Tra essi, segnalo anzitutto questo clima di difficile ricognizione di idee, visioni e valori – certamente ascrivibile alla crisi postmoderna dei grandi sistemi di pensiero e delle istituzioni – che ha visto l’erosione dei partiti nella loro forma tradizionale e la sovraesposizione di una comunicazione politica affidata all’istantanea comunicazione digitale e a slogan che, sempre di più, rimpiazzano l’argomentazione politica.
Un secondo dato riguarda l’orfanezza – e a volte la delusione – lasciata sia da quell’area liberale ispirata da Berlusconi, che dalla sinistra. La prima è un film visto per molti anni, che sembra non riscaldare più; la seconda – per il profilo assunto, i contenuti, le leadership e le liti interne, non è riuscita più a toccare la vita reale di molte fasce della società e a rappresentarle. Ciò, insieme a molti altri fattori, ha aperto le porte al trionfo elettorale delle forze più radicali, cosiddette anti-sistema.
Un terzo aspetto riguarda il grave errore della battaglia politica degli ultimi mesi. Come ha ben scritto Edoardo Toffoletto su Business Insider, a dominare il campo sono state l’ipocrisia e la superficialità dell’analisi; se Di Maio e Salvini hanno scherzato spesso col fuoco e, al netto di slogan a effetto non hanno né spiegato e né approfondito i punti del cosiddetto «contratto per il cambiamento», tutti gli altri, sostenuti dalla stampa europea, non sono andati oltre le facili etichette di «populismo» ed «euroscetticismo», non solo mancando di profondità politica nell’analisi del momento storico e del disagio vissuto dai cittadini, ma anche, di fatto, alimentando il cortocircuito della rabbia e dello scontento.
Il nuovo Governo
Oggi, però, il Governo c’è e si deve riflettere senza lasciarsi condizionare– se possibile – dagli orientamenti politici dei suoi protagonisti, peraltro molto differenti tra loro. Non c’è molto da dire su Conte: nonostante l’ingigantito incidente del curriculum, il premier è uno stimato docente universitario e una formazione di tutto rispetto che affonda qualche radice anche nell’esperienza di Villa Nazaret.
Ad attenta analisi si osserva invece una duplice realtà: ci troviamo dinanzi a un Governo la cui ispirazione politica di fondo è variegata e per certi versi contraddittoria e che, al contempo, vanta una lista di ministri di indiscussa competenza e di alto profilo istituzionale. Da questo punto di vista, bisogna con onestà accogliere questa pagina nuova della storia del Paese, senza per questo abbassare la guardia e la vigilanza.
Il «contratto» di governo, tra luci e ombre
Se esaminiamo il «contratto», anche qui emergono luci e ombre. Va dato atto a Di Maio e Salvini di aver lavorato molto per offrire una soluzione, dopo giorni di consultazioni svanite in continue fumate nere. La collaborazione tra i due partiti ha prodotto un documento che oscilla tra proposte di cambiamento e promesse di difficile realizzazione, restando molto sul generico e mostrando diversi compromessi, evidentemente necessari all’accordo. Ma, al di là del dato politico, con quali occhi un credente – che ha una visione di uomo e di società ispirata al Vangelo – può giudicare i contenuti di questo «contratto»?
Certamente, dalle proposte emerge un’intenzione apprezzabile di sostegno alle fasce più deboli, attraverso la sterilizzazione delle clausole dell’Iva, il taglio delle accise sui carburanti, la detassazione per famiglie, imprese e partite iva ma, ancor più, una revisione degli squilibri del sistema previdenziale e pensionistico. A leggere il contratto, quanto viene proposto come sostegno alla famiglia sembra ineccepibile: «Innalzamento dell’indennità di maternità […] rimborsi per asili nido e baby sitter, fiscalità di vantaggio, tra cui “IVA a zero” per prodotti neonatali e per l’infanzia. Agevolazione per le famiglie con anziani a carico».
Tuttavia, il nodo è che si resta molto sul generico e non sono chiare le possibili misure di copertura economica e sociale che garantirebbero tali iniziative.
Insomma, come dire, siamo ancora tra il dire e il fare. A ciò si aggiunga, che sul tema flat tax e reddito di cittadinanza, le proposte si sono giustapposte e non emerge ancora una linea chiara.
Ciò che resta invece preoccupante, invece, è la posizione sui flussi migratori e sulla legittima difesa, rafforzata dalla posizione assunta da Salvini come Ministro dell’Interno. Di certo la politica dei flussi migratori è stata talvolta confusa, nonché privata di una visione comunitaria europea e, di conseguenza, di un reale sostegno all’Italia da parte dell’UE. Così, la situazione del nostro Paese è divenuta satura, il ministro Alfano ha dovuto gestire da solo una non facile realtà e sono cresciuti il disagio e la rabbia di molti cittadini. Il principio dell’accoglienza si è infranto, più volte, sul tema della sicurezza e del traffico illegale di essere umani.
Tuttavia, l’enorme dramma di migliaia di persone che scappano dalla guerra e dalla fame, o anche i normali flussi migratori che semplicemente appartengono alla mobilità del mondo globalizzato, non possono essere fermati con lo slogan «aiutiamoli a casa loro», né affrontati con il pugno di ferro di una messa in sicurezza dai contenuti e dai metodi xenofobi e razzisti.
Certo, non sfugge che appena poco dopo il giuramento, Matteo Salvini ha gettato acqua sul fuoco affermando: «Ho iniziato a coltivare utili e numerosi rapporti con diversi esponenti del mondo cattolico: lavoreremo assieme, vi stupiremo, troveremo decisamente convergenze». Restiamo dunque in attesa.
Allo stesso modo, non ci si può illudere di rassicurare i cittadini italiani facendo passare proposte di legge sulla legittima difesa, che mascherano in realtà la volontà di armare le persone e di creare un clima da Far West.
Un discernimento critico, tra accoglienza e vigilanza
In sostanza, possiamo e dobbiamo dire che su alcuni temi, che toccano da vicino la realtà della vita quotidiana delle persone, la politica e le istituzioni avrebbero dovuto fare molto di più, e che occorre più giustizia sociale, più riflessione critica nei confronti di un’Europa fondata su iniqui criteri economici, meno pressapochismo e soprattutto meno corruzione. Come ha suggerito il papa in altro ambito, c’è differenza tra «populismo» e «popolare» e, a volte, ci si trincera dietro l’accusa di populismo solo per continuare a curare i propri interessi e non preoccuparsi del bene e dei bisogni del popolo.
Dall’altra parte, la coscienza civica e cattolica non può certo dormire sonni tranquilli dinanzi a potenziali derive che collocherebbero l’Italia in una situazione di pericolo, accentuando sentimenti di odio e provocando una crisi economica e sociale di grave entità.
Vi sono punti irrinunciabili su cui la coscienza cattolica vigilerà senza fare sconti: la centralità della persona, la dignità di tutti, la famiglia, il lavoro, la giustizia sociale e un’equilibrata collocazione europea dell’Italia. Dunque, mentre accogliamo il Governo e gli esprimiamo i nostri auguri, vigiliamo per una politica che sia – come ha affermato il presidente dei vescovi italiani, il cardinale Bassetti, «saggia, incisiva e giusta. Perché se la politica non è giusta non ci sarà mai pace […]; ciò che è buono lo approveremo, ma ciò che va contro questi principi vedrà la nostra voce critica. Siamo disposti a collaborare ma senza forme di collateralismo».