La memoria dei 100 anni dalla rivoluzione d’ottobre (7-8 novembre 1917) si è svolta in Russia in toni minori, con tratti di analogia ed elementi di discontinuità rispetto alla conquista del potere da parte dei rivoluzionari bolscevichi.
L’evento, tra i maggiori che hanno contribuito a determinare il volto dell’Europa e del mondo nel ’900, ha un corrispettivo nell’economia attuale: come allora, è in funzione dell’apparato militare. Gli investimenti ingenti nel mantenimento e modernizzazione degli armamenti sono in parallelo con la trascuratezza del welfare sociale.
Allora il dissanguamento economico era dovuto al coinvolgimento nella prima guerra mondiale, al fianco della Serbia, ora agli impegni gravosi in Siria, Ucraina-Crimea e al fronte Nord con la Nato.
Allora il blocco economico era attuato dalla Germania e dagli imperi austro-ungarico e ottomano, ora dalle restrizioni commerciali imposte dall’Occidente per l’occupazione della Crimea e la guerra nel Dombass.
Come allora, due terzi della popolazione sente insopportabile il caro-vita, il divario socio-economico (allora nobili latifondisti e borghesia, ora oligarchi di alto, medio e basso livello), la plutocrazia e le inquietudini sociali.
I disordini prodotti allora dall’intellighentia e da una parte della borghesia hanno oggi un parallelo nel malcontento giovanile contro la corruzione e la plutocrazia, anche se di disegno conservatore.
Fra gli elementi di evidente discontinuità si può ricordare l’inerzia dell’oligarchia. Essa controlla comunque la politica e non è interessata a significativi cambiamenti. Si è ritrovato il senso dell’orgoglio nazionale e la vocazione imperiale, assicurati dall’attuale zar del Cremlino. È rimasto un profondo terrore delle rivoluzioni violente, dei massacri e del sangue, anche se si guarda con ammirazione agli uomini forti e crudeli del passato. Diversa è anche la capacità di adattamento e di sopravvivenza alle precarie condizioni di vita, considerate in ogni caso migliori di quelle passate.
Vi è l’impotenza delle opposizioni politiche e mediatiche, che sono sotto stretto controllo del potere centrale. In nome della sicurezza nazionale non si usano più i gulag e la fucilazione in massa, ma una pervasiva ispezione dei social oltre che dei media tradizionali.
Il governo e l’apparto statale non hanno commemorato la rivoluzione in modo enfatico. Il presidente, che pur si serve molto del richiamo alla storia, non ha partecipato ad alcuno degli eventi maggiori. Si mantiene equidistante come lo è la popolazione che, secondo i sondaggi, è divisa tra pro e contro al 55-45%. Solo il Partito comunista ha celebrato in forma solenne la memoria, ma in luoghi non particolarmente centrali.
Il concilio e Tichon
La Chiesa ortodossa ha preferito, assieme alla destra politica, sottolineare la prima rivoluzione, quella del febbraio del 1917. Non tanto per il clima più evidentemente democratico, quando per la vitalità ecclesiale che allora si produsse. «Insieme agli uomini concionavano e manifestavano in piazza anche gli alberi e le stelle» ha annotato Boris Pasternak.
In giugno si svolse il Sinodo della Chiesa greco-cattolica. In agosto si aprì il Concilio locale della Chiesa ortodossa russa, atteso e preparato da un decennio e che, per ampiezza dei temi trattati e maturità di coscienza ecclesiale, viene paragonato al Vaticano II. Alla gerarchia vennero affiancati nell’assise numerosi rappresentanti del basso clero e del laicato. Coraggiose furono le indicazioni di riforma in ordine all’amministrazione, al diritto, alla liturgia, all’educazione e alla pastorale. A quell’evento è stato dedicato dall’Università ortodossa San Tichon, un simposio a cui ha partecipato il domenicano p. Hyacinthe Destivelle (14-15 novembre 2017).
Dal 29 novembre al 3 dicembre ci sarà il Consiglio dei vescovi ortodossi a Mosca per la commemorazione del centenario della fondazione del Patriarcato. Nel novembre 1917 fu eletto infatti il patriarca Tichon, canonizzato nel 1989, guida preziosa della Chiesa ortodossa nei primi anni delle persecuzioni.
Qualche accenno è stato fatto fin’ora dal vescovo Hilarion, vescovo di Volokolamsk e presidente del Dipartimento delle relazioni esterne del Patriarcato di Mosca. Sarà interessante sentire la valutazione autorevole del patriarca Cirillo.
L’atto più solenne dei mesi recenti, compiuto dal presidente Putin e dal patriarca Cirillo, è stato l’inaugurazione, il 30 ottobre, del «Muro degli afflitti», un imponente bassorilievo di 30 metri per 6, dedicato alle vittime della repressione. In quell’occasione Cirillo ha detto: «L’attuale avvenimento, che ci raccoglie presso questo monumento, ci sollecita di nuovo a riflettere sulla terribile tragedia che si è realizzata in Russia nel XX secolo. Sappiamo che quei tragici eventi saranno ancora per lungo tempo oggetto di ricerca, ma l’anno del centenario della rivoluzione deve essere particolarmente utile per una simile riflessione. Guardando da vicino a questa tragedia poniamo la questione: come è potuto accadere? Perché gli abitanti di uno stesso paese, i vicini di casa, i colleghi di lavoro si sono perseguitati e uccisi gli uni con gli altri? In quale maniera un’idea grandiosa di costruzione di un mondo libero e giusto ha condotto al sangue e all’iniquità? La gente sognava la pace senza sfruttamento, senza povertà, senza guerra; un mondo in cui la scienza avrebbe regolato i problemi e guarito le malattie. Ma per molti il sogno si è trasformato in incubo. Dov’è stato l’errore? Forse nel fatto che la gente aspirava a costruire una società umana e giusta rigettando le sue basi spirituali e collocando la moralità in un piano subordinato all’ideologia, che ha condotto alla giustificazione dell’ingiustizia e della violenza in ordine alla costruzione di un “avvenire radioso”? L’allontanamento della società dalle norme morali conduce alla crisi. Conclusione condivisa dai rappresentanti di tutte le religioni tradizionali della Russia, fra le quali la macchina repressiva non faceva alcuna distinzione. Oggi dobbiamo prendere tutti coscienza del fatto che non ci sarà alcun “avvenire radioso”, se, di nuovo, la visione del futuro si colloca sotto l’influenza di ideologie che distruggono i fondamenti morali e spirituali dell’essere umano. L’attuale generazione non ha il diritto di ripetere gli errori della storia».
Attivismo ecclesiale, egemonia politica
I primi anni del Patriarcato sono stati segnati da un significativo movimento riformatore nella Chiesa. È sintomatico che risalga a quegli anni la conversione e, per alcuni, la scelta del sacerdozio, di uomini come Bulgakov, Florenskij e Berdiaev; sostenuti dapprima dai bolscevichi e poi rapidamente abbandonati e perseguitati.
Negli ultimi anni sono emerse qua e là alcune voci riformiste, subito tacitate dall’attuale gerarchia. Vescovi, sacerdoti e monaci che cantano fuori dal coro vengono subito destinati ad altre attività o relegati in aree disagiate e difficili. Da questo punto di vista, il clero uxorato e la “protezione” politica in ordine alle carriere ecclesiastiche hanno un effetto deterrente non secondario.
Laddove i vescovi o i metropoliti adottano uno stile di maggiore prossimità alla gente e una più viva attenzione ai fermenti sociali e culturali, l’azione pastorale dei preti assume un respiro maggiore e si vede una iniziativa laicale più creativa. È il caso di San Pietroburgo, Samara, Kazan, Krasnodar, Celiabinsk, ad esempio.
All’interno del mondo cristiano circolano nomi di sacerdoti generosi e fuori dai clichés. Come quelli di p. Sergij Bel’kov che lavora coi tossicodipendenti, di p. Pavel Velikanov, docente all’Accademia teologica di Mosca e direttore del portale di teologia www.bogoslov.ru, di p. Aleksandr Tračenko, animatore dell’hospice a San Pietroburgo. L’attuale parroco della parrocchia moscovita dell’assassinato p. Men, p. Borisov, è persona di grande autorità morale, vicino alla gente, attento alla formazione spirituale e alla sensibilità sociale.
Hilarion va invece ripetendo, recentemente anche a Londra, che la forza e l’attrazione della Chiesa ortodossa russa è quella di non aver riformato né la liturgia né altri settori della pastorale. E accenna a numerose conversioni all’ortodossia russa anche in Europa occidentale.
Il presidente del Dipartimento delle relazioni esterne del Patriarcato di Mosca sta girando come una trottola per ogni dove, da Budapest, a Bruxelles, da Londra agli USA, dal Giappone a Roma per vedere il papa, giacché Cirillo non può farlo lui stesso.
È molto attento a fornire un’immagine tradizionale della Chiesa ortodossa, legata ai valori di sempre (difficile spiegare quali), con una certa cautela verso i cattolici e la coscienza esplicita di essere la Chiesa ortodossa l’unica interprete del cristianesimo puro e vero. Forse questo è legato anche ad una sorta di campagna elettorale nella successione a Cirillo, ma sembra avere più probabilità all’estero che non in patria.
Non minore l’attivismo di Cirillo, sostenuto dall’orgoglio di una Chiesa tornata forte e in espansione. In parallelo con la percezione complessiva del paese. I viaggi in Romania e Croazia ne sono un esempio. I rapporti di Bartolomeo di Costantinopoli sono sempre sul filo del rasoio, per i timori e l’irritazione del passaggio di alcune parrocchie ucraine all’obbedienza a Costantinopoli, per la vicinanza al Bosforo dell’ortodossia ungherese, per la forza del magistero ambientalista di Bartolomeo.
Tornando al ruolo attuale della Russia nello scacchiere internazionale, non si può ignorare il suo diverso peso dopo l’intervento in Siria e in occasione delle reciproche minacce fra USA e Corea del Nord sull’uso delle armi atomiche.
Nel primo caso, la pace in Medio Oriente non potrà essere raggiunta senza l’intervento di Mosca. Nel secondo caso la Russia si è trovata proiettata con USA e Cina a garanzia del controllo nucleare, anche per i suoi legami con l’Iran.
Nell’apprezzata visita a Mosca del presidente della Germania, Steinmeyer, primo presidente tedesco a farlo dal 2010, si sono aperte possibili relazioni nuove anche con l’Europa. Ma, questa volta, da attore internazionale e non solo da vicino di casa. Mentre pesano sempre di più le denunce degli hakeraggi russi in occasione di elezioni occidentali come per le presidenziali americane, il referendum catalano, quello inglese sulla Brexit, le elezioni francesi e quelle tedesche.