Il ministro degli interni e vicepresidente del consiglio, Matteo Salvini, nella foga polemica e nell’onda mediale che lo caratterizzano, va cercando risse, anche per oscurare il suo concorrente (Di Maio) e il Movimento 5stelle.
Fra i suoi «nemici» non mancano i vescovi: da Nunzio Galantino (CEI) a Matteo Zuppi (Bologna), da Erio Castellucci (Modena) a Giancarlo Perego (Ferrara) ecc. Il tema è quello dell’immigrazione. Davanti alle esigenze di accoglienza, di integrazione e di controllo richieste dai vescovi, Salvini è solito opporre la citazione di un numero del Catechismo della Chiesa cattolica.
Vista la sua incapacità di tenere in mano il rosario e di maneggiare la Scrittura (cf. Settimana News, 26 febbraio 2108), non stupisce che anche il riferimento al Catechismo sia monco. Il numero 2241, a lui caro, specifica: «Le nazioni più ricche sono tenute ad accogliere, nella misura del possibile, lo straniero alla ricerca della sicurezza e delle risorse necessarie alla vita, che non gli è possibile trovare nel proprio paese di origine».
Se avesse dato un occhio al numero successivo sarebbe incappato in queste parole: «Il cittadino è obbligato in coscienza a non seguire le prescrizioni dell’autorità civili quando tali precetti sono contrari alle esigenze dell’ordine morale, ai diritti fondamentali delle persone e agli insegnamenti del Vangelo» (n. 2242).
Già risulta strano contrapporre l’appello all’accoglienza al ragionevole inciso «nel limite del possibile»; ma suona addirittura paradossale ignorare l’imperativo all’obiezione di coscienza del credente quando ci siano di mezzo i diritti fondamentali delle persone e gli insegnamenti del Vangelo.
Ma, forse, il limite è dei suoi consulenti, impegnati a fornirgli battute e non argomenti.
Guardiamo al punto di vista
Una recente esternazione del ministro Salvini offre l’esempio di come spesso ciò che diventa problema è solo un punto di vista
Nei giorni scorsi i mass media hanno dato ampio risalto ad una esternazione del Ministro Salvini sui malati psichiatrici. La frase è stata pronunciata durante il raduno di Pontida dello scorso primo luglio ed è testualmente questa: “Penso a una riforma, sulla carta giusta, che si sta dimostrando un disastro lasciando nella miseria migliaia di famiglie: quella dei malati psichiatrici, che ha cancellato le strutture che li curavano abbandonando le famiglie al loro destino. Ogni giorno è un bollettino di guerra perché lo Stato si volta dall’altra parte”.
Di primo acchito essa contiene una affermazione probabilmente vera (“le famiglie dei malati psichiatrici sono lasciate al loro destino”) ed un’altra verosimilmente falsa (non mi pare che quotidianamente leggiamo “bollettini di guerra” con vittime provocate da malati psichiatrici).
Ma mi interessa sottolineare un’altra cosa: il punto di vista. Cerco di spiegare perché è rilevante facendo un esempio. Se il Ministro avesse detto: “Questo governo stanzierà 3 miliardi di euro per studiare e combattere la malattia mentale” sarebbe stato chiaro che ciò che si ha a cuore è la sorte del malato. Facendo riferimento al ruolo (certo non facile) delle famiglie il baricentro viene spostato su altro: il problema da risolvere non è la cura del “malato” (termine su cui si dovrebbe discutere a lungo, specie nel campo del disagio psichico). Il “malato” è il problema ed anche “pesante” per chi gli sta intorno.
Lasciamo per un attimo il disagio psichico. Le “famiglie” spesso hanno a che fare anche con altri “congiunti che creano problemi”. Penso a chi ha che entrano nel tunnel delle patologie legate alla demenza senile. Penso a chi convive con persone disabili gravi (non solo quelle vittime di malattie di cui si occupa Telethon, ma anche, per esempio, chi è rimasto tetraplegico per un incidente stradale o per manovre maldestre al momento del parto). L’elenco potrebbe continuare. Ma il Ministro dell’interno si è occupato (almeno in quella sede) solo dei “malati psichiatrici”, come li ha definiti.
A me vengono in mente alcune considerazioni.
a) L’eclissi del debole. L’attenzione non è sul problema del malato che è solo avvertito come “peso”. Il problema da risolvere è quello delle persone che non possono fare quello che vogliono perché hanno il problema di avere un congiunto malato.
b) La gerarchia tra deboli. I deboli non solo sono la fonte del problema: ce ne sono alcuni più “fastidiosi” di altri. Anche se una volta “sistemati” (magari in ospedali psichiatrici cui certamente sarebbe dato un nome diverso) i primi è ovvio che sarebbero “sistemati” anche tutti gli altri per togliere dalla circolazione tutti i “pesi”.
c) Cartina di tornasole. Il Ministro non fa altro che dare voce a sentimenti diffusi. Dice le cose che le persone vogliono sentirsi dire.
d) Cosa siamo diventati. Non è la sede per indagini sociologiche. Ma certamente siamo diventati monadi, che non credono più alla ricompensa nell’aldilà, che vogliono tutto adesso, che pensano di avere diritto a godersi la vita in modo pieno (?) e che, pertanto, hanno diritto a non avere problemi. Che hanno diritto anche di pensare che non saranno mai a loro volta un problema (perché migranti, perché malati psichici, perché disabili, perché anziani: le ragioni per cui possiamo diventare deboli sono infinite).
Un problema(ciò che diventa problema) è solo un punto di vista. E il mondo possiamo guardarlo dal punto di vista di chi ha bisogno di aiuto o dal punto di vista di chi pensa solo a se stesso.
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Giovanni Pascuzzi è professore ordinario di diritto privato comparato all’Università di Trento, membro del Senato accademico e già prorettore. E’ membro del Gruppo diocesano che promuove la Cattedra del Confronto. Tra i suoi interessi il diritto nell’era digitale, la responsabilità civile, il diritto nei contratti, i diritti della personalità, il diritto d’autore. Il testo del commento è stato pubblicato come articolo nella rubrica “Il commento” del settimanale diocesano Vita Trentina del 5 agosto 2018.