È molto probabile che Matteo Salvini, un tempo chiomato concorrente a La ruota della fortuna e oggi ruggente paladino dei semplici, non sappia nemmeno bene come si usa veramente quel rosario che tiene, come la statua della madonna pellegrina, orgogliosamente tra l’indice e il pollice. Glielo immagino per istinto più come ornamento di un botto di movida, sopra una maglietta svasata, com’è nel dress code della tamarreide di tendenza.
Quanto al vangelo che gli si vede brandire nelle immagini che spopolano in rete, è una di quelle edizioncelle da pétit cadeau per la prima comunione che nessuno pensa di dover sfogliare veramente.
Ma, nell’astuto ricorso a questa basilare simbologia catalizzatrice, il nostro non fa niente di diverso dalle studiate esternazioni di molti altri politici che, in prossimità del voto, si sentono in dovere di fare il loro outing spirituale, chi per don Milani, chi per papa Giovanni, chi per san Francesco, chi per altri santorali, laici o religiosi che siano.
Del resto, è ormai evidente a tutti che le dinamiche della vita politica hanno più la forma di un’estetica del consenso pubblico che di un’etica del bene comune.
In politica, si può anche essere, eventualmente. Ma è molto più decisivo sembrare. E non serve più nemmeno il sociologo a spiegarlo. Basta mettere il naso nell’affollato brusìo dei social che trabocca di post in cui tutto quello che si muove nella vita sociale viene fatto polvere da impasto per il fondotinta della visibilità del buon servitore della cosa pubblica.
A darci seriamente da pensare mi sembra piuttosto questo agitare consapevolmente un registro etnoreligioso che una cultura credente degna di questo nome dovrebbe guardare con grande preoccupazione, vista questa ricorrente alleanza di umori fra sentimento religioso e risentimento sociale.
La scenetta apologetica del segretario leghista sembra in effetti la versione pedemontana di quelle lugubri e malinconiche processioni viste qualche mese fa in Polonia per la protezione dei confini, non promosse ma nemmeno dissuase dall’episcopato di quel paese, che ci dovrebbero aprire gli occhi sull’aria polacca che, assieme a quella di Cernobyl, ha spirato per qualche decennio fra i cirrocumuli della nostra vita pubblica, e che ci offrono chiare avvisaglie del formarsi di un sentire cattolico di base nella cui zona d’ombra, affezioni tradizionaliste, rigurgiti nazionalisti, antisemitismo di ritorno e razzismo dell’ultima ora convivono in una miscela indiscernibile, predisponendo un capitale di consenso pronto al fischio del primo che ne approfitta.
Il risentimento crescente nei confronti dell’impegno ecclesiale sul fenomeno migratorio, dai toni astiosi anche nel mormorio di fondo dei praticanti di base, che si accredita sempre più con giustificazioni di natura religiosa, basterebbe a sollecitare un serio interrogativo su cosa sta diventando un cattolicesimo trainato religiosamente ma non fecondato culturalmente, quel tirarsi su le maniche senza pensare, che nutre più l’orgoglio che la carità, insieme a quella particolare mancanza di senso critico che ci ha portato a scambiare il radicamento popolare della fede con l’introversione populista della religione, senza accorgerci dei processi che, da tempo, vanno trasformando uno nell’altra, disinteressandoci di quegli strumenti culturali indispensabili a mantenersi coscienti di quella differenza: i primi, del resto, a essere falciati quando il salvadanaio è vuoto, non solo per semplice disinvoltura, ma proprio anche con divertito compiacimento anti intellettualista.
La cura, la sorveglianza e il discernimento, per un cattolicesimo che, estratto da questi bassifondi emotivi, continui a respirare nelle altezze spirituali che si addicono alla sua storia, mi sembra un compito che la Chiesa deve, con profondo senso di responsabilità e non senza gravi interrogativi autocritici, all’impegnativo momento storico che stiamo vivendo. Non mi pare proprio il momento di far finta di niente.
“La cura, la sorveglianza e il discernimento, per un cattolicesimo che, estratto da questi bassifondi emotivi, continui a respirare nelle altezze spirituali che si addicono alla sua storia, mi sembra un compito che la Chiesa deve, con profondo senso di responsabilità e non senza gravi interrogativi autocritici, all’impegnativo momento storico che stiamo vivendo. Non mi pare proprio il momento di far finta di niente.” Una sintesi perfetta del bivio davanti al quale si trova oggi la Chiesa: o proclamare apertamente il Vangelo sapendo che è un discorso duro a causa del quale molti se ne andranno (ma successe già a qualcuno…) o far finta di niente e condannarsi ad una passività, magari dorata e riverita, ma tiepida e irrilevante (e anche di una chiesa tiepida mi pare di ricordare si sia già scritto quasi duemila anni fa in un libro ….).
Concordo però anche i convegni in chiesa della Bonino non è che siano stati il massimo.
Il problema e’ che i cristiani hanno poco da dire al mondo moderno e allora a destra sono succubi delle idee di destra e a sinistra di quelle di sinistra.
Lievito poco, altrimenti avremmo avuto almeno una campagna elettorale meno vergognosa.
A destra nel senso di Chiesa di destra. (E di sinistra)
Sarà frutto della secolarizzazione ma esiste una polarizzazione ecclesiale, ogni polo ha il suo clero, i suoi intellettuali e giornalisti di riferimento, poco il dialogo e i punti di contatto, basta vedere Andrea Grillo con Sarah (con tifoserie al seguito ovvio).
Qual’e’ il contributo e il peso dei cristiani alle ultimo vicende politiche? Trump Brexit, trivelle, costituzione, unioni civili, ius soli?
In tutti i casi il voto e’ andato nella direzione contraria alle indicazioni dei vescovi, Salvini lo sa e anche la Bonino cercano voti, per quei pochi che ancora possiamo dare.
“lugubri e malinconiche processioni viste qualche mese fa in Polonia per la protezione dei confini.” Basta questa frase a capire con quanto livore di bile schiumante sia stata scritta questa “riflessione “. Che dire, Giuliano Zanchi “gronda misericordia da tutti gli artigli” (cit.)
E come potrebbero essere, se non lugubri e malinconiche, le processioni fatte da cristiani in difesa dei confini di una patria che non è, non può essere la loro! A me hanno insegnato che per noi cristiani la sola Patria è il Cielo ed in ogni patria terrestre siamo stranieri, residenti ma stranieri. Processioni in difesa di confini tracciati da uomini e spostati avanti e indietro da uomini a seconda di fausti i meno fausti accadimenti storici mi richiamano alla mente solo periodo storici bui e tristi che si vorrebbero chiusi per sempre ma dei quali qualcuno pare avere nostalgia. Processioni in difesa di confini che si vogliono chiusi all’ingresso di fratelli che condividono con me la condizione di straniero non mi appartengono e mi rattristano. In una epoca di paradossi esse sembrano quasi la conferma a posteriori di quella decisione di non richiamare nella costituzione europea le radici cristiane! Allora mi parve assurda, tanto pareva inscindibile dal cristianesimo la vita dei paesi europei. Non vorrei dover scoprire oggi che essa fu sinistramente profetica, tanto poco mi paiono cristianamente orientate tante scelte odierne dei popoli europei.