Il 19 giugno papa Francesco, ricevendo in udienza il Prefetto della Congregazione per le cause dei santi, card. Marcello Semeraro, ha autorizzato la promulgazione di alcuni decreti. Uno di questi riguarda il riconoscimento delle virtù eroiche di Robert Schuman.
L’atto formalizza l’attribuzione del titolo di “servo di Dio” ad un uomo politico, che viene usualmente definito, assieme a Adenauer e De Gasperi, “padre fondatore” dell’Europa. Si avvia così il processo che, dopo l’accertamento di un primo miracolo, può portare alla beatificazione e, dopo l’approvazione di un secondo, alla canonizzazione.
Una causa promossa da cittadini europei
Questo esito è il frutto di un percorso singolare. La causa non è infatti promossa da un ordine religioso o da una diocesi, ma da un gruppo di persone, non tutte di fede cattolica e di diverse nazionalità, che, essendo state in rapporto con lo statista francese, si riuniscono nel 1988 nell’Institut saint Benoît patron de l’Europe.
Fondato nei pressi di Metz – Schuman era nato in Lussemburgo nel 1886, ma dopo gli studi aveva aperto in quella città uno studio di avvocato, mantenendovi sempre la sua residenza e venendo lì sepolto – ha come finalità principale l’elevazione alla gloria degli altari di un credente laico che ha tradotto la sua fede nella piena dedizione (non si è mai sposato) alla costruzione dell’unità europea.
Nel 1990 l’associazione ottiene che il vescovo di Metz dia inizio alla fase diocesana del processo. Nel 2004 l’inchiesta si conclude con la trasmissione degli atti a Roma, dove assume la funzione di postulatore Bernard Ardura, presidente del Pontificio comitato di scienze storiche, che l’ha portata ad una prima conclusione con l’emanazione del decreto del 19 giugno.
Schuman: biografia di un impegno politico europeo
Il documento ricorda le tappe fondamentali dell’itinerario biografico di Schuman. Attivo nell’associazionismo laicale cattolico prima della Grande guerra, in cui non viene coinvolto perché riformato, dopo la conclusione del conflitto partecipa alla vita politica.
In particolare con il ritorno dell’Alsazia e della Lorena sotto la giurisdizione francese si impegna per il mantenimento del concordato, che i tedeschi avevano conservato in quelle regioni dopo l’annessione seguita alla guerra franco-prussiana del 1870. Inizialmente aderisce al governo nazional-cattolico del maresciallo Pétain, ma ben presto se ne distacca e viene imprigionato dalla Gestapo.
Riesce a fuggire, sottraendosi alle ricerche dei nazisti in conventi e monasteri. Alla fine della guerra viene eletto prima alla Costituente e poi all’Assemblea nazionale nella fila del MRP, il raggruppamento democratico-cristiano francese.
Ricopre poi una serie di prestigiose cariche governative – in particolare guida il ministero degli esteri dal 1948 al 1953 – per concludere la carriera politica nel 1958 con l’acclamazione a primo presidente del Parlamento europeo.
Il decreto indica che il riconoscimento delle virtù eroiche si fonda sulle inequivocabili testimonianze relative all’intensa pratica cristiana di Schuman: la partecipazione quotidiana dell’eucarestia; la regolare frequenza al sacramento della penitenza; l’assiduo esercizio della preghiera, in particolare la recita del rosario; la celebrazione della liturgia delle Ore; la giornaliera meditazione della Scrittura; il generoso sostegno alle istituzioni caritevoli; la personale dedizione all’assistenza ai bisognosi.
Ma sottolinea anche che, all’interno di una scelta politica considerata come obbedienza alla volontà di Dio, il suo impegno europeista ha trovato efficace e costante alimento nella sua fede cristiana.
Quest’ultimo aspetto merita qualche approfondimento. Sul piano storico la “fabbrica dei santi” messa in campo dalla Chiesa cattolica solitamente risponde all’esigenza di fornire modelli di riferimento in grado di orientare la presenza dei fedeli nel mondo in direzioni che, in un determinato momento, si ritengono di importanza fondamentale per la comunità ecclesiale.
L’attribuzione del titolo di venerabile a Schuman non comporta ancora il riconoscimento della liceità di un culto nei confronti della sua figura – sarà possibile qualora venga proclamato beato -, ma certo comincia a presentarlo come un paradigma esemplare per i cattolici che nel nostro tempo si dedicano all’attività politica.
Coscienza e bene comune
In effetti il decreto rileva che Schuman fu un fedele servitore della laica République francese senza rinunciare ad ottemperare ai dettami della sua coscienza cattolica.
Sembrano lontani i tempi in cui Giovanni Paolo II e Benedetto XVI richiedevano ai cattolici impegnati nell’edificazione dell’Europa di far corrispondere il suo ordinamento costituzionale alle norme del diritto canonico.
Il nuovo venerabile sancisce un diverso modello di comportamento: l’azione politica dei cattolici si può pienamente esplicare, individuando nella personale coscienza religiosa il primo criterio di discernimento per l’individuazione del bene comune, anche nella serena accettazione di istituzioni, come sono oggi quelle europee, laiche e separatiste.
Visto da Francesco
Ma, al di là della lettera del decreto, è difficile sottrarsi all’impressione che l’assunzione di Schuman a figura di esemplare politico cattolico si leghi anche alla caratterizzazione che ne ha fatto papa Francesco.
Nel suo insegnamento il richiamo al personaggio è ritornato diverse volte allo scopo di collegarne l’opera all’idea di Europa che il pontefice intende incoraggiare.
In particolare Bergoglio si è ripetutamente soffermato su alcune frasi della Dichiarazione Schuman, il discorso tenuto a Parigi dall’allora ministro degli esteri francese il 9 maggio 1950, con cui si ponevano le basi per la CECA, la collaborazione economica dei paesi europei nella produzione di due strategici beni economici, il carbone e l’acciaio.
Non a caso l’Unione ha proclamato il 9 maggio festa dell’Europa: quel giorno ha in effetti preso avvio il processo di integrazione.
Francesco sottolinea due aspetti di quell’intervento. In primo luogo ricorda che alla base della Dichiarazione sta la volontà di trovare una soluzione ai contrasti che avevano seminato morte e violenza in Europa, individuando la via per garantire una pacifica convivenza dopo le tragedie della guerra.
L’uomo politico cattolico manifesta dunque la sua vocazione nell’operare per la pace. Schuman aveva lucidamente visto nella solidarietà economica la base per assicurare ai popoli d’Europa unità nel rispetto della loro diversità.
Ma Bergoglio individua qui un altro punto del modello che propone: la creatività. Sollecita infatti i politici cattolici – talora con una punta di sconforto: «oggi, dove c’è uno Schuman?» (conferenza stampa del 17 febbraio 2016) – a proiettare a livello planetario quel che lo statista francese aveva saputo fare, con successo, per il vecchio continente all’indomani dei disastri della guerra: abbattere muri e costruire ponti, per rendere tutti fratelli.