No, il titolo di questo articolo non è un refuso della redazione o dell’articolista. Avete letto bene.
In questi giorni si parla molto del destino di Forza Italia o dei contraccolpi che potrà avere sulla maggioranza di governo la recente scomparsa di Silvio Berlusconi. Ma, salvo qualche rara voce, pochi si sono chiesti che conseguenze potrebbe avere questo evento sulle forze politiche dell’opposizione e della sinistra in particolare.
Problemi per le destre?
Certo, non c’è dubbio che l’attuale maggioranza possa avere dei problemi, ora che il «Cavaliere» con la sua scomparsa non potrà più costituirne il padre nobile: in varie occasioni aveva ospitato a casa propria i vertici dell’alleanza, invitato all’unità, stemperato rancori e incomprensioni…
Ma, in realtà, negli ultimi mesi, Berlusconi e Forza Italia erano stati piuttosto elementi di tensione per la Meloni che non fattori di moderazione. Si ricordi il famoso «pizzino» catturato da un fotografo a Montecitorio, in cui Berlusconi definiva di suo pugno il comportamento della Meloni «supponente, prepotente, arrogante…». Non certo un contributo «moderato» alla serenità del Governo.
Non è stato facile per Forza Italia e per il suo fondatore, in questi ultimi anni, accettare di avere perso la leadership della coalizione di centrodestra: spesso ha dovuto rivendicare posti e ascolto con le maniere forti, prima verso la Lega e poi verso Fratelli d’Italia.
Da questo punto di vista, una Forza Italia privata del suo storico proprietario e condottiero sarà certamente più debole, più timorosa del suo futuro e della sua tenuta e dunque facilmente più remissiva, meno attiva e rivendicativa nel Centrodestra. Insomma, per assurdo, la scomparsa di Berlusconi – in termini di puro equilibrio politico – potrebbe essere anche un vantaggio per la solidità della coalizione.
Del resto, il vero problema è nel futuro di Forza Italia, non nella tenuta della coalizione. Certamente, Meloni ha ancora bisogno degli «azzurri»: il partito di Berlusconi è sempre stato il link del centrodestra italiano al Partito Popolare Europeo, ossia la carta fondamentale per dare segnali rassicuranti all’elettorato centro-moderato italiano, quello che non ama i giri di valzer con i partiti tipo Orban e nazionalismi vari in salsa leghista e parafascista.
Come sappiamo, Forza Italia, in quanto partito proprietario di Berlusconi oggi, civilisticamente e anche economicamente, è una questione di assi ereditari, con la famiglia chiamata a deciderne il futuro. Se Forza Italia non dovesse implodere in questioni statutario/testamentarie, è probabile che un partito a guida Tajani sarà sempre «trattabile», governista, un ottimo interlocutore per la Meloni, specie per evitare il confronto frontale e binario con la Lega. Un ottimo partner per lo sforzo di Giorgia di tenere a bada le ali estremiste e nostalgiche del suo partito (quelle a cui una lacrimuccia sul ventennio scappa ancora), e proseguire nel suo tentativo di rendersi sempre più istituzionale e presentabile in Europa. Una Forza Italia a guida Tajani (e Mediaset), per questo scopo, è persino meglio di una a guida Berlusconi.
Insomma, non è affatto scontato che la scomparsa del Cavaliere porti un disastro alla Meloni e al centrodestra in termini tattici e di equilibri. Quanto ai voti di Berlusconi (che certamente ne aveva ancora tanti di «personali», legati al suo carisma) a chi dovrebbero mai andare oggi?
Renzi e l’eredità di Forza Italia
Si è molto parlato di un Renzi pronto ad ereditare il «gruzzolo elettorale» di Forza Italia. Addirittura, si è detto che sia stato proprio l’aggravarsi graduale della salute del Cavaliere a spingere Renzi a rompere con Calenda, per tenersi le mani libere in un’eventuale «aggressione» verso lo spazio libero lasciato dalla scomparsa di Berlusconi.
Senza poter escludere nulla, sembra piuttosto fantapolitica. Buona parte dell’elettorato di Forza Italia è costituito da persone che hanno maturato nel tempo una sorta di «culto personale» verso Silvio, come si è visto bene sui social nei giorni dei funerali. Come trasmettere questo «culto» a Renzi, che – tra l’altro – è stato segretario degli odiati «comunisti»?
Certo, tra Renzi e Berlusconi – e tra Renzi e parte dell’establishment di Forza Italia – esiste storicamente vicinanza e qualche osmosi (si pensi al recente «acquisto» di Gelmini e Carfagna). Ma da qui a poter applicare la proprietà transitiva al voto di Forza Italia verso Italia Viva passa davvero tanta strada.
Renzi, sulla carta, con la sua indubbia abilità potrebbe sottrarre un po’ di consenso di Forza Italia, quello tradizionalmente «liberale» e meno personale-carismatico del Cavaliere: quello dei ceti produttivi e professionali del Centro-Nord, ad esempio.
Ma una Forza Italia a guida Tajani – probabilmente – si configurerà proprio come un piccolo «Partito Liberale Italiano» della terza Repubblica… Per cui, i voti in libera uscita da Forza Italia, semmai sono proprio quelli «carismatico-populistici» di Silvio: e per questi, se non scende in campo Marina Berlusconi o qualche altro familiare, la persona in pole position per incassare l’eredità politica del magnate di Arcore, oggi, sembra ancora una volta Giorgia Meloni, la leader «di lotta e di governo» che meglio può richiamare alla mente la scaltra ambivalenza berlusconiana.
Dunque, nessuno scossone in arrivo per il Governo, nessun «grande centro» in gestazione a breve in grado di fagocitare Forza Italia… La scomparsa di Berlusconi, a centrodestra, potrebbe non essere il terremoto che tanti si aspettano.
La sinistra senza Berlusconi
Potrà sembrare assurdo ma, se le premesse fin qui condotte sono corrette, chi rischia di più con la scomparsa di Berlusconi potrebbe non essere la Meloni, ma l’area di Centrosinistra e il (mai veramente nato) «campo largo», comprendente M5S e sinistre non-PD.
Infatti, al di là delle polemiche o delle negazioni interessate, non c’è dubbio che per molti anni la presenza del Cavaliere sia stato un fattore unificante per il «campo largo» di centrosinistra. Non l’unico, certo, ma un fattore importante.
Come Berlusconi utilizzava strumentalmente l’idea di «comunismo» o di «illiberalità» contro le sinistre italiane, così queste ultime sono spesso state francamente «antiberlusconiane».
Berlusconi è stato il maestro della semplificazione diadica e della contrapposizione tra due opzioni di marketing contrapposte, importata dal business e applicata con successo al «mercato» politico. Le prime vittime – ma anche le prime beneficiarie – della semplificazione berlusconiana del discorso politico sono state le sinistre stesse.
Divise sotto molti aspetti, come ben sappiamo, tra il 1994 e il 2011 le varie anime del centrosinistra hanno sistematicamente trovato nella contrapposizione a Berlusconi il collante più semplice ed efficace, specie nel messaggio elettorale. Questo è così vero che Veltroni, quando tentò di costruire un’identità politica nuova e originale con il PD, si rifiutava di nominare fisicamente Berlusconi, sostituendone il nome con giri di parole. Per avere un’identità a sinistra e far emergere un programma – quello del Lingotto – occorreva per un attimo sospendere l’antiberlusconismo, che rischiava di concentrare ogni riflessione sul «contro» e non sul «pro», sulla propria identità positiva e il proprio progetto sociale.
Del resto, chi parla con gli elettori storici di centrosinistra, e li ha letti nei loro commenti social in questi giorni, si è reso conto di quanto sia vero che a unirli è proprio una «visione del mondo» contrapposta a quella di Berlusconi: sul piano dei linguaggi politici, del rispetto delle istituzioni, della magistratura, della donna… L’elettore di centrosinistra ha – giustamente – sviluppato un senso di alterità radicale alla proposta politica berlusconiana. Alterità che, ancor prima che in senso programmatico, è percepita in senso etico e antropologico.
Non stiamo dicendo, evidentemente, che le varie esperienze di centrosinistra dal 1994 in poi fossero unite solo dall’antiberlusconismo (tesi da sempre cara al Cavaliere, tra l’altro). Tuttavia, non possiamo negare che a tenere accostati Conte e PD, Travaglio e Scalfari, Bersani e Renzi, e a tenere distante Calenda, Renzi e tanti veri centristi da ogni ipotesi di accordo con il «centrodestra» italiano, era proprio l’impresentabilità politica di Berlusconi.
Certo, questo effetto «repulsivo» e unificante di Berlusconi nell’ultimo decennio era molto scemato. Di fatto, lo stellone politico del Cavaliere era finito nel 2011, tra crisi dello spread e «bunga bunga». Da allora, a tenere unite le sinistre «contro» il centrodestra, a polarizzare, a impedire una piena fluidità proporzionalistica sono stati prima la Lega di Salvini e i suoi linguaggi (tra odio etnico e mojito) e poi oggi il supposto pericolo «neofascista» di Fratelli di Italia.
Ma con la Meloni impegnata a farsi ricevere (e «ripulire» istituzionalmente) da tutte le Cancellerie occidentali, compresa la Casa Bianca… Con Salvini ormai marginale e ridotto a una macchietta sui social… Con una Lega che sempre più parla i linguaggi «tranquillizzanti» degli amministratori e degli industriali del Nord… cosa rimane a rendere «improponibile» il voto al centrodestra per le classi sociali alte e colte che ormai da tempo sono l’elettorato principale della sinistra?
Berlusconi era l’icona, l’immagine dello steccato antropologico tra elettore di destra e di sinistra in Italia. Uno steccato che la mobilità del voto, ormai rilevata da anni dagli analisti, ha già reso più fragile e che ora – senza più il Cavaliere – rischia di rompersi definitivamente.
Certo, l’elettore italiano ha ormai interiorizzato un forte bipolarismo. «Si sente» di destra o di sinistra, in molti casi, a prescindere che a destra ci sia Berlusconi o no. Ma non in tutti i casi. Ci sono elettori che transitano da destra a sinistra e viceversa, magari passando dal centro, ad ogni elezione, e soprattutto nella differenza tra elezioni politiche e amministrative. Quindi, quella fascia di elettorato che «non sopportava Berlusconi», che odiava il suo modo di trattare le donne, il suo ghigno siliconato, la sua affettata gentilezza da «caimano», oggi – senza il Cavaliere – è più mobile e libera di prima.
Non è questo già un grave rischio per una sinistra in crisi di voti e, soprattutto, in crisi di proposta politica, resa afona dalla difficilissima impresa di dire qualcosa che concili populismo antipolitico di marca 5Stelle ed elevato senso della coesione sociale e istituzionale, tipico dell’elettorato di sinistra?
Opportunità per «rifondare»?
Se quello che abbiamo detto è sensato, oggi, senza più Berlusconi, il «campo largo» è più lontano e difficile. Tra i leader come tra gli elettori. Sia che lo si interpreti da Renzi a Conte, sia che si guardi soprattutto all’alleanza giallo-rossa.
Tuttavia, a dei leader capaci, competenti e lungimiranti, alla guida di questa area politica, non sfuggirà di certo che in questa occasione si potrebbe una volta per tutte tentare di definire il «campo largo» o il centrosinistra, non più per contrapposizione a qualcosa o a qualcuno, ma per identità positiva e autonoma. Che si potrebbe cessare di fare di Berlusconi, Salvini e oggi Meloni degli incubi – pur spesso a ragione – e tentare di mettere a fuoco una proposta originale. Anzi, non solo si potrebbe: forse, ora che non c’è più l’antiberlusconismo a unire, è proprio divenuto indispensabile.
Sicuramente, ancora per qualche anno, l’opera di «segmentazione» diadica dell’elettorato, riuscita a Berlusconi negli anni Novanta – mercé anche il sistema elettorale maggioritario – durerà nei cuori e nelle menti degli elettori.
Ma, inevitabilmente, col tempo, il berlusconismo passerà alla storia e in un sistema sempre più proporzionalistico e magari, domani, presidenzialistico, l’idea che campo di sinistra si contrapponga a campo di destra non sarà più automatica come oggi. Del resto, come già accaduto in molti comuni, si può arrivare a situazioni in cui non sono le coalizioni di centrodestra o centrosinistra a contendersi i primi due posti ma una sola di queste resiste al vertice, sfidata da altre iniziative personali o locali. Nulla vieta che fatti analoghi accadano a livello nazionale (come del resto successe già nel 2013, non a caso nel punto più basso della traiettoria politica di Berlusconi, col M5S, quando ancora non era ascrivibile a nessun blocco contrapposto).
Insomma, oggi, senza Berlusconi, il bipolarismo è meno forte. Se lo si vuole portare avanti, con qualsiasi formula di alleanze, occorre trovarne le ragioni positive. È ora che sui temi dei diritti dei nuovi lavori, sulla sparizione della classe operaia manifatturiera (ormai in gran parte «robotizzata» o composta di stranieri senza diritto di voto), sulle nuove periferie esistenziali, sul nuovo «proletariato» urbano, sull’erosione del welfare universalista e gratuito, sui modelli di sviluppo sostenibile ma non utopistico o in decrescita, su migrazioni e crisi demografica, sui diritti sociali oltre che individuali, specie per i «nuovi italiani», la sinistra – se c’è – batta definitivamente un colpo chiaro. Per sé e, se possibile, con linguaggi comuni ai suoi alleati, perché non si tratti solo di alchemiche alleanze elettoralistiche.
Lo spazio per disegnare un’identità non di contrapposizione ma di proposta alternativa al centrodestra c’è ed è enorme, anche se praticamente inesplorato e inutilizzato. La morte di Silvio Berlusconi può essere un’occasione per non dare per scontati clichés del passato e «rifondare» davvero un pensiero politico di «sinistra», basato su un’analisi socioeconomica aggiornata della società globale e digitale, non sulle vecchie retoriche e le vecchie categorie analitiche degli anni Settanta e della prima rivoluzione industriale.
Diversamente, la sparizione del «nemico» (come direbbe Schmitt) o – meglio – dell’«avversario» politico per antonomasia, potrebbe diventare non un «sollievo», ma un problema.
«Simul stabunt, simul cadent», suona come un monito il vecchio detto in latino ecclesiastico…
Il nemico per le classi sociali alte e colte che votano PD e’ il “cafone arricchito” sentendosi tali classi una élite di illuminati, di migliori antropologicamente . Il loro problema oggi e’ che la massa della popolazione,vquelli non ricchi ,non colti, cafoni , non ha piu’ nessuna fiducia nell’ essere governati dalle elite colte e illuminate di sinistra. Una vera popolana, una uscita dai loro ranghi, dalle periferie di Roma, la Meloni riscuotera’ fra il popolo piu’ fiducia di Elly Schelein una signorina educata nelle migliori scuole svizzere con papa’ nella finanza a Wall Street.
Il problema del PD e’ che non rappresenta piu’ che una minoranza , la quale minoranza ha si’ governato il mondo fino ad adesso, ma adesso la gente comincia a stufarsi di sentirsi dare ordini da gente su cosa mangiare da gente come come Von der Lyen o fare sacrifici per permettere a Scheil e compagni una spensierata vita fra Pride e manifestazioni varie, neppure un giorno di lavoro.
Anche le formiche nel loro piccolo si incazzano.