Siria, i molti nodi da sciogliere

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Damasco, 8 dicembre 2024, festeggiamenti alla caduta di al-Assad (AP Photo/Omar Sanadiki)

Scelte decisive per evitare il caos attendono nelle prossime ore la nuova Siria. Intanto sono giunti altri segnali importanti. Per carpirne la portata occorre tenere a mente alcune dinamiche interne al mondo a cui la Siria appartiene: il soggetto politico da cui partire è la Fratellanza Musulmana, l’espressione leader di quello che noi chiamiamo «Islam politico», un tipo di visione che col passare del tempo è diventata sempre più rigida e avversa ai regimi, da quelli militari come Egitto e Siria, ai loro nemici del Golfo, come l’Arabia Saudita, tutti repressivi.

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Il nuovo leader siriano, un jihadista che ai tempi della battaglia si faceva chiamare con il nome di battaglia e ora è tornato al nome anagrafico, Ahmed al-Sharaa, ha chiaramente preso le distanze dal jihadismo di cui è stato un esponente radicale e ora si àncora all’Islam politico della Fratellanza Musulmana che ha nel turco Erdogan il suo principale sostenitore politico (con l’aiuto dell’emiro del Qatar).

Se si tiene a mente questo si capirà perché la notizia da cui partire sta in queste parole attribuite ad Ahmed al-Sharaa: «Guardiamo con interesse allo stato avanzato di sviluppo raggiunto dai paesi del Golfo, come l’Arabia Saudita, che hanno fatto piani molto ambiziosi e hanno una visione di sviluppo a cui anche noi aspiriamo». E lo sviluppo saudita è tutto orientato verso globalizzazione, economia di mercato.

Non c’è in questo un allentamento del rapporto con la Turchia, amica ma anche concorrente dei sauditi, ma il segnale di distensione e di «attenzione» è evidente. Il rigorismo in Arabia Saudita non è più di casa da anni, e questo sembra un segnale derivato; come a dire che non lo sarà neanche in Siria? Questo deve essere evidentemente un tema divisivo tra i seguaci del nuovo leader siriano.

Una dichiarazione evidentemente sessista del portavoce del governo provvisorio da lui nominato, ha suscitato un pandemonio in tutta la Siria, con veementi reazioni anche nel campo islamico, che secondo voci non confermate avrebbero portato a un accantonamento di chi le ha rese.

Gli orientamenti del nuovo leader non possono che fare i conti con l’esigenza di aprire al mondo un mondo come il suo, intriso di duri conservatorismi. La riprova di questa difficoltà tutta «pragmatica» sta nel fatto che al-Sharaa avrebbe incontrato un gruppo di giornalisti, senza chiedere alle donne di indossare il velo: ma poi a una di loro che gli chiedeva un selfie avrebbe detto di metterselo, evidentemente per non farsi vedere da certa parte della sua base accanto a una donna senza velo.

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Molti si chiedono dunque se dargli credito e il modo migliore per i più sembra quello di metterlo alla prova dei fatti, sorvolando per ora sul suo passato. Si potrebbe dire che i più propongono di seguire uno «scetticismo sano», che lo incoraggi ad aprirsi e non a chiudersi.

Un segnale importante in questo senso è venuto dalla prima delegazione americana giunta a Damasco, che ha definito incoraggianti i primi segnali dati da Damasco e ha annunciato che Washington toglierà la taglia di 10 milioni di dollari che pende sul capo di al-Sharaa, per i suoi trascorsi nel terrorismo islamico.

Dunque è nata una nuova amicizia? Per dirlo occorreranno «fatti», non «segnali», visto che si dovrà decidere sulle sanzioni che soffocano la Siria. Al- Sharaa dunque sembra avere davanti a sé un percorso a tappe, difficilissimo però, non solo per lui: se andrà bene o male conterà per tutta la Siria. E i curdi indicano la prima difficoltà.

Sta infatti per arrivare a Damasco il capo della diplomazia turca, il grande sponsor politico e militare di al-Sharaa. Sarà una visita decisiva per tanti motivi. Innanzitutto perché Ankara non fa più mistero di essere interessata al petrolio siriano: e questo richiede una rapida soluzione del problema curdo, visto che il petrolio siriano si trova in buona parte nei territori che loro abitano. Damasco non potrà rinunciare a questo possibile guadagno, ma sembra proporre a Ankara un accordo senza altre guerre con i curdi siriani che Ankara vede come il fumo negli occhi.

Sarebbe una linea intelligente, complessa e che potremmo riassumere così: noi siriani sciogliamo tutte le milizie, islamiste da una parte e curde dall’altra, le assorbiamo tutte nell’esercito nazionale che ovviamente è sotto il controllo del nostro governo ed evitiamo così conflitti armati tra turchi, milizie filo turche e curdi.

I curdi siriani sembrerebbero bendisposti, qualcuno dice che le resistenze verrebbero da gruppi legati al PKK, partito dei curdi turchi con basi in Siria e che Ankara (non da sola) definisce terrorista. Una decisione andrebbe presa nei prossimi giorni e quindi la visita del capo della diplomazia turca diviene decisiva, anche per le garanzie che si può immaginare servano.

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Poi c’è il vecchio regime, che non è svanito. Emergono dall’ONU conferme che la Siria di Assad non solo non aveva smantellato il suo arsenale chimico, ma aveva nuovi progetti in via di elaborazione e realizzazione. Questo preoccupa anche perché i suoi tecnici potrebbero finire al soldo di chissà chi, ma sorprende che emerga solo ora, dopo anni che ci era stato detto che l’arsenale chimico di Assad era stato distrutto, mentre emerge certo che è stato usato contro i siriani centinaia di volte.

Ora che il regime è caduto però emergono anche i testimoni che quelle stragi furono compiute intenzionalmente dall’esercito di Assad, che ha anche tentato di darne la responsabilità a chi ne era stato testimone. Ma in un caso un testimone si è nascosto, ha visto tutto, non ne ha mai parlato e ora ha deciso di dire tutto, indicando anche i nomi delle vittime che ha visto morire sotto i suoi occhi: tutti suoi vicini di casa.

Ma le manovre del regime non afferiscono solo a un passato di sterminio che non passa: afferiscono anche al presente. Molti a Damasco affermano che la piccola (desolante se fosse stata vera) manifestazione per la laicità dello Stato che ha avuto luogo nelle ore trascorse sia stata in realtà una manifestazione di «elementi» legati al vecchio regime che tenterebbero di rendere più difficile il compromesso che alla Siria serve per trovare una via unitaria tra chi appare vicino a un Islam «conservativo» o «retrogrado» e il resto della popolazione, che parrebbe ai più maggioritario.

Di qui deriva quanto affermato da Yassin al Haj Saleh, il più noto intellettuale «laico» siriano e oppositore del regime, che per le sue idee ha trascorso 16 anni in carcere sotto gli Assad. In queste ore infatti ha scritto che quella «laicità» che si è vista in piazza è stata «un’ideologia funzionale che legava intelligence, artisti e intellettuali e legittimava l’esclusione di ampi settori della società siriana».

Quel che accade in queste ore però indicherà qualcosa di più chiaro quando si capirà quanto durerà e chi darà vita all’emendamento della costituzione vigente o alla stesura di una nuova carta costituzionale. Si era deciso per la prima deludente idea, ma ora la seconda recupererebbe punti, pensando di affidarsi nel frattempo a quella precedente l’epoca degli Assad, la costituzione del 1950. Sarebbe, se così fosse, un fatto incoraggiante. Ma chi la scriverebbe? Perderebbe quota l’idea di affidarla alla cura del solo esecutivo monocolore in carica, pensando invece ad un ampio coinvolgimento delle varie espressioni della politica e della società civile.

Vedremo tutto in pochi giorni, ma è certo che in pochi giorni Ahmed al-Sharaa ha fatto più compromessi di quanti ne ha abbia fatti in 24 anni di esercizio del potere il suo predecessore. Traguardo facile da raggiungere visto che Assad non conosceva il compromesso in politica interna, ma importante.

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