L’improvvisa decisione dei 5stelle di rompere l’alleanza che li legava al PD, in vista delle elezioni regionali siciliane (fissate per il 25 settembre insieme a quelle nazionali), è solo l’ultima di una serie di scelte politiche, fatte da diversi partiti, che stanno caratterizzando questa vigilia elettorale e che non sembra esagerato definire suicidi annunciati.
La rottura dei 5stelle in Sicilia
Cominciamo dall’ultimo in ordine di tempo. In Sicilia, da tempo, i pentastellati e il Partito Democratico avevano progettato di affrontare uniti la battaglia per l’elezione del presidente della regione. Una scelta imposta dalla necessità di unire le forze per far fronte alla tradizionale prevalenza della destra nell’isola, ancora accresciuta dal progressivo emergere di Fratelli d’Italia in questo ultimo scorcio di legislatura. Tanto più che i partiti di destra, dopo alcuni dissensi, si stavano compattando, trovando alla fine un accordo sul nome di Renato Schifani, ex presidente del Senato e senatore di Forza Italia.
In vista della prossima scadenza elettorale erano state organizzate addirittura delle primarie comuni, allo scopo di scegliere un candidato su cui sia 5stelle che PD potessero convergere. Aveva prevalso Caterina Chinnici, figlia di Rocco Chinnici, già magistrato e attualmente europarlamentare con il PD. La rottura dell’alleanza è avvenuta, appena qualche giorno fa, per volontà dei 5stelle ed è stata definita, da qualche giornale, uno «schiaffo» al PD.
Ne vedremo fra poco la ragione. Quello che è certo è che si tratta di una scelta che rende estremamente probabile il successo della destra. Anche se la Chinnici ha dichiarato di non voler rinunciare alla candidatura, per rispetto a coloro che l’hanno votata alle primarie, è chiaro che ora la strada per lei è tutta in forte salita. Né ha migliori prospettive Nuccio Di Paola, capogruppo all’ARS dei 5stelle, sul cui nome il movimento ha ripiegato dopo la decisione di «correre da soli». Uno scontro, insomma, in cui non ci sono vincitori e vinti, ma solo perdenti.
La rottura di Letta con i 5stelle
Dicevamo delle motivazioni dello «schiaffo». Anche se Enrico Letta si è detto «esterrefatto» per il «voltafaccia» dei pentastellati, si deve proprio a lui la mossa, a livello nazionale, che ha provocato la stizzita risposta di Conte in Sicilia.
Il segretario del PD, dopo il ritiro dei 5stelle dal governo Draghi, che ne ha causato la caduta, ha dichiarato che da quel momento ogni possibilità di collaborazione tra i due partiti era irrimediabilmente esclusa. La drasticità di questa presa di posizione, da parte di un leader che aveva insistito molto, negli ultimi tempi, sulla necessità di convergere in un «campo largo», ha spinto qualche commentatore a parlare di una vera e propria fatwa, il termine usato per indicare la condanna a morte in contumacia a suo tempo emanata da Khomeini nei confronti dello scrittore Salman Rushdie, ritenuto reo di sacrilegio verso la religione musulmana.
Il sacrilegio di Conte sarebbe, in questo caso, quello di aver provocato la crisi di un governo in cui era alleato con il PD. Una «colpa» che forse, nella logica della politica, poteva essere giudicata con minore severità, soprattutto tenendo conto che la conseguenza diretta di questa rottura è la prevedibile sconfitta della sinistra, alle prossime elezioni nazionali, nella stragrande maggioranza dei 221 collegi uninominali. Insomma, un altro suicidio annunciato.
La rottura di Calenda col PD
Per la verità Letta ha cercato di restare fedele alla sua idea del «campo largo» cercando un’alleanza al centro col partito di Carlo Calenda e sembrava pure esserci riuscito. Non sarebbe stato un compenso, dal punto di vista numerico, alla perdita di quella con i 5stelle (Azione, il partito di Calenda, anche dopo essere stato potenziato, ora, dalla fusione con Italia viva di Renzi, nei sondaggi si aggira sul 5% dei consensi), ma avrebbe avuto un notevole significato politico, perché avrebbe segnato l’apertura del PD verso il centro, con la speranza di attirare gli elettori della destra diffidenti verso l’ala estrema di Fratelli d’Italia.
Anche questa prospettiva, però, è inopinatamente sfumata, appena pochi giorni dopo la firma dell’accordo, per il ripensamento di Calenda, che sembra essersi improvvisamente accorto, in ritardo, del fatto che col PD correva anche l’estrema sinistra. Da qui un’altra rottura.
Così, come ha osservato con una battuta qualcuno, il «campo largo» si è trasformato nel giro di poche settimane in un «camposanto». Senza che peraltro Calenda, l’autore della marcia indietro, se ne sia molto avvantaggiato: ha perso la speranza di avere eletti dei suoi rappresentanti con l’appoggio dei voti del PD e non sembra avere guadagnato consensi, almeno stando agli ultimi sondaggi. Ancora un suicidio.
Un sistema elettorale che mortifica la democrazia
Ma, a proposito di suicidi, ce n’è un altro, questa volta più grave, che riguarda lo stesso sistema elettorale. Mai come in questa tornata la partecipazione democratica rischia di ridursi a uno slogan vuoto. Colpevole già il «Rosatellum», che, per il proporzionale, esclude i voti di preferenza e prevede liste bloccate, impedendo all’elettore di scegliere il candidato che realmente preferisce.
Si vota non una persona, ma un partito. I nomi della lista risulteranno eletti nell’ordine stabilito dalla segreteria di quel partito. Ci sono, è vero, sia alla Camera che al Senato, i collegi uninominali. Là in primo piano non c’è il partito, ma la persona, con la sua identità, la sua storia, il suo maggiore o minore legame col territorio. Solo che, essendo escluso il voto disgiunto, chi vota la lista di un partito nel proporzionale non può votare per un candidato di un partito diverso nell’uninominale.
I meccanismi partitici bloccano, così, anche le possibili sorprese che potrebbero venire determinate dal «fattore umano», là dove, sulla carta, esso dovrebbe essere decisivo. Si aggiunga a questo quadro desolante il fatto che la drastica riduzione dei parlamentari – voluta con grande determinazione dai 5stelle e da essi sbandierata come una vittoria rispetto alla logica della casta – sta avendo come effetto la quasi totale esclusione dalle candidature che contano (quelle, cioè dove c’è una speranza di successo) dei rappresentanti della società civile, a favore dei notabili dei vari partiti, che anzi hanno dovuto litigare anche fra loro per accaparrarsele. Una riforma voluta per colpire la logica della casta, l’ha invece portata alle estreme conseguenze (a proposito di suicidi…).
Il suicidio della Seconda Repubblica
Insomma, queste elezioni hanno tutta l’aria di segnare il de profundis della Seconda Repubblica e soprattutto, del sistema politico liberal-democratico che essa, con le sue contraddizioni, ha portato alla decadenza, facendo ampiamente rimpiangere la Prima.
Peraltro, paradossalmente, a collaborare alla sua definitiva crisi – sostenendo un partito di estrema destra, per molti versi eterogeneo rispetto alle loro posizioni (soprattutto di Forza Italia), qual è Fratelli d’Italia – sono due personaggi come Berlusconi e Salvini, la cui storia è inscindibile da quella di questa Seconda Repubblica e che hanno l’aria di stare segando allegramente il ramo su cui sono seduti (anche questo, in fondo, è un suicidio).
L’unica che non si è suicidata è la Meloni. Anche perché, nel delineare la sua linea politica, è rimasta così vaga – a parte l’ostilità verso i migranti e la rivendicazione del presidenzialismo – da rendere difficile rendersi conto di quello che farà quando salirà al potere (l’unica cosa che, di sicuro, fortissimamente vuole). I consensi nei suoi confronti sono cresciuti in modo esponenziale soprattutto per i suoi “no” (in ultimo, al governo Draghi).
Vedremo solo quando governerà, quali sono i suoi «sì». In uno dei miei recenti chiaroscuri paragonavo queste elezioni a un uovo di Pasqua. La Meloni è la sorpresa. Non sappiamo se e quanto la sua ascesa possa essere paragonata a quella del fascismo. Ma nei libri si storia c’è scritto che, ovunque esso è andato al potere, lo ha potuto fare per la debolezza e talora lo stato confusionale dei suoi avversari. Questa sì, mi sembra una sicura analogia con quanto sta accadendo oggi in Italia.
- Pubblicato sul sito della pastorale della cultura della diocesi di Palermo (www.tuttavia.eu) il 26 agosto 2022.
“Non sappiamo se e quanto la sua ascesa possa essere paragonata a quella del fascismo” un’affermazione assolutamente avventata. La Meloni può essere definita fascista quanto Letta può essere definito comunista.
Mentre si stigmatizza la rigidità della Meloni verso i migranti, non si fa cenno alle sue chiare prese di posizione su alcuni altri valori non negoziabili. E’ sorprendente come i temi che un tempo costituivano il centro del dibattito politico cattolico siano oggi totalmente assenti nella stampa cattolica, quasi fossero indifferenti al momento di scegliere per chi votare. Solo economia e accoglienza dello straniero. Stravolgimento delle famiglie, aborto, libertà di manifestare il proprio pensiero senza timore di essere incarcerati…lezioni di gender a scuola per tutti, leggi portate avanti costantemente dalla sinistra e spalleggiate anche dai cattolicissimi Renzi e Letta, – la Meloni ha preso chiare posizioni contrarie in proposito, non interessano più a nessuno.
Mi aspetterei dalla stampa cattolica una analisi più obiettiva che analizzi tutti i valori in gioco, quelli dove la sinistra sembrerebbe più conforme all’insegnamento evangelico e quelli dove invece lo è la destra. Se si vuole fare un servizio agli elettori sarebbe bene un articolo in cui si ricordano le posizioni dei vari partiti in relazione a tutti i temi sensibili e come sono stati affrontati negli anni. Non presentare una visione già spudoratamente di parte
è l’eterna divisione tra i cattolici di destra (più interessanti alla difesa della vita dal concepimento fino alla fine naturale e alla difesa della famiglia , ma spesso con posizioni non cattoliche su temi quali migrazioni ed economia) e cattolici di sinistra (attenti alla difesa del debole e all’eguaglianza sociale, ma su posizioni non cattoliche sui temi della vita e della famiglia)
e il pendolo del favore oscilla tra queste due grandi correnti, inibendo la possibilità di parlarsi e di trovare una sintesi che proponga in modo completo la dottrina evangelica nella società, senza visioni parziali e distorcenti
La storia non si ripete.
Studiare la storia può però contribuire alla comprensione del presente.
Per questo, a mio modesto avviso, il leader più simile a Mussolini attualmente alle viste è Mario Draghi.
È l’unico che ha provato a governare prescindendo dal parlamento e invocando un legame diretto con la volontà popolare.
A parte questo parlare di fascismo oggi in Italia significa far finta che non ci sia stata la seconda guerra mondiale e che non esistano gli USA, la Nato e la UE.
Poi la Meloni può piacere o meno.
no, Mussolini andò al potere andando oltre i partiti e ponendosi contro di loro
Draghi invece è stato il paravento usato dai partiti per prendere scelte impopolari facendo credere di non essere i diretti responsabili di queste