«Non dobbiamo rimanere sotto choc a fronte della “Brexit”» ha detto il vescovo austriaco Ägidius Zsifkovics (Eisenstadt) che rappresenta l’episcopato austriaco nella Commissione delle conferenze episcopali dell’area UE – Comece).
Il voto sarà deplorevole, ma dovrebbe essere capito da parte di tutti gli altri componenti dell’UE come una «sveglia per un nuovo umanesimo europeo». «Il sogno europeo sarebbe finito soltanto quando dimenticassimo il posto preponderante dell’impegno per i diritti umani nella visione europea», dice Zsifkovics.
Il vescovo è convinto che bisogna “rispettare” la decisione della maggioranza dei britannici, ma nello stesso tempo definisce il voto come un «passo indietro per l’integrazione dell’Europa, per l’approfondimento e il rafforzamento dell’identità europea e il progetto di solidarietà europea». Ma l’egoismo non deve affermarsi: i problemi e le sfide transnazionali non si risolvono a livello nazionale, perché «i problemi europei possono essere affrontati solo su scala europea».
Zsifkovics sottolinea in questo contesto la crisi dei rifugiati e della migrazione, ma anche la necessaria ricerca di un modello di società sostenibile ed umana. L’Europa ha bisogno di nuova visione, è necessario sviluppare l’integrazione, il dialogo, gli incontri culturali.
Il teologo Jozef Niewiadomski, professore di dogmatica all’Università di Innsbruck vede nel risultato del referendum britannico anche una conseguenza dei dibattiti sull’identità. Certamente la questione economica sarà stato l’argomento principe della campagna elettorale nelle ultime settimane; tuttavia, è significativo il fatto che la questione dell’unione di solidarietà europea, basata su una concezione comune, non ha giocato alcun ruolo: «Soprattutto le Chiese, che hanno sottolineato quella concezione richiamando anche l’idea dell’anima dell’Europa, sono state irrise».
Nell’Unione Europea, secondo Niewiadomski, si è parlato sempre ed ovunque del “primato dei meccanismi economici”; lasciando da parte il discorso sui contenuti. Adesso questa discussione dovrebbe essere condotta con urgenza, il che offrirebbe alle Chiese un’opportunità per spiegare l’idea dell’Europa come progetto di pace basato sul messaggio evangelico.
Il voto britannico per il ritiro dall’UE potrebbe contribuire a un “cambiamento radicale” e a un “nuovo inizio”: questa la valutazione del gesuita austriaco p. Robert Deinhammer, che vive ed insegna a Londra. Le istituzioni europee, secondo lui, hanno urgente bisogno di una riforma profonda e di un cambiamento nel modo di pensare, finora apparso irraggiungibile.
Secondo p. Deinhammer il voto britannico si spiega come un rifiuto della classe politica e mediatica della Gran Bretagna, accusata di «negazione della realtà». I flussi migratori attuali e il modo dell’UE di trattarli sarebbero stati di primissima importanza per l’elettorato britannico: «La strategia dei sostenitori dell’Unione Europea di dipingere a tinte fosche le conseguenze di una “Brexit” era troppo ingenua, per questo non ha funzionato».
Le Chiese durante la campagna elettorale erano molto restie ad esprimersi, fatto giudicato positivo dal p. Deinhammer. «Molti cittadini si sentivano manipolati, prevaleva l’impressione che non si può più credere ai politici. In tale situazione un impegno delle Chiese, ricorrendo ad appelli accesi, sarebbe stato controproducente», dice il gesuita.
Ciononostante le Chiese avrebbero potuto fare di più: «L’intera campagna a favore e contro la “Brexit” è stata determinata da interessi economici. Le Chiese avrebbero dovuto offrire una discussione sui contenuti, richiamando anche la dimensione politica e religiosa dell’UE. Basti pensare al fatto che i padri fondatori dell’Unione Europea erano motivati dal cristianesimo. In seguito, con il diffondersi della secolarizzazione e il sopravvento dell’economia di stampo neo-liberale le componenti religiose e filosofico-culturali dell’Unione sono andate perdute».
Erich Leitenberger, Fondazione Pro Oriente
Testo raccolto da Francesco Strazzari