Un uomo solo al comando

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Che effetti sta avendo e potrà avere la pandemia sulla nostra democrazia? L’enfasi sugli esecutivi è transitoria o destinata a durare?

“Un uomo solo è al comando, la sua maglia è bianco-celeste, il suo nome è Fausto Coppi”. Così Mario Ferretti apriva la radiocronaca di una epica tappa del Giro d’Italia del 1949. Una frase passata alla storia, almeno a quella sportiva italiana.

Quest’anno il Giro d’Italia a maggio non si corre. Ma, secondo molti, l’uomo solo al comando c’è lo stesso.

Il riferimento è alle polemiche da tempo striscianti, esplose nella seduta parlamentare del 30 aprile scorso, contro il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Con tanto di liti e occupazioni dell’emiciclo. Cose non bellissime da vedere, tra l’altro, mentre negli ospedali si continua a morire.

Emergenza e strumento giuridico

Il tema è ormai chiaro a tutti: in Italia l’emergenza virus è stata affrontata principalmente con uno strumento giuridico (il DPCM) che a tutti gli effetti è un regolamento amministrativo emesso dal Presidente del Consiglio. Taglia fuori il Parlamento e, per certi aspetti, la stessa collegialità del Consiglio dei Ministri. Su temi che tra l’altro impattano diritti e libertà fondamentali.

Vari costituzionalisti hanno segnalato la delicatezza dell’uso di questo strumento. Tanto più che i pochi voti parlamentari avvenuti hanno avuto per oggetto decreti legge proposti dal Governo, sui quali è stata posta la fiducia (come per il cosiddetto “Cura Italia”).

Altrove le cose non sono andate molto diversamente, però alcune distinzioni sono da fare. A livello regionale si è sicuramente assistito ad un analogo protagonismo dei presidenti; i Consigli regionali sono stati − anche per le oggettive difficoltà a riunirli − francamente marginali, nelle misure e anche nel dibattito. Ma tutto questo si spiega col fatto che i presidenti di regione sono eletti a suffragio diretto e di fatto operano sempre più come organi monocratici, pur essendo al tempo stesso membri di organi collegiali (le Giunte regionali).

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Forma presidenziale

Da tempo, sbagliando, li chiamiamo del resto “governatori”: e spesso i nomi dicono molto di come un ruolo politico è giocato e soprattutto percepito. Un dibattito analogo si ritrova anche localmente, a carico dei sindaci, che però più di tutti hanno configurazione monocratica nel nostro sistema, specie su materie quali la salute pubblica.

Analogamente, nei paesi con regimi presidenziali o semipresidenziali, ci possiamo aspettare che tutte le decisioni (così delicate, complesse, urgenti) legate alla pandemia siano state prese in sostanziale isolamento dai leader. In parte è stato così e le polemiche non sono mancate verso Trump o verso Macron (difficile invece che voli una mosca contro Putin o verso Erdogan: succede poco in tempi normali, figuriamoci in condizioni così eccezionali).

Tuttavia, dobbiamo registrare il fatto che tanto in Francia come negli USA i passaggi e i dibattiti parlamentari non sono affatto mancati, anche nelle fasi emergenziali. Sono stati piuttosto scarni e lisci, ma ci sono stati.

In Europa

In Spagna, in Germania, in Gran Bretagna, sistemi parlamentari come il nostro, ma dove sicuramente il capo del governo è meno fragile e “collegiale” che in Italia, si è seguito un percorso chiaro alle Camere. Il 22 aprile Sanchez ha chiesto al parlamento di Madrid l’autorizzazione a prorogare per la terza volta lo stato di allarme.

Il piano tedesco da 1.100 miliardi è passato al Bundestag e al Bundesrat già a fine marzo. Da noi è già maggio e ancora il Parlamento non ha votato il cosiddetto “Decreto di Aprile”. Dunque, solo l’Italia ha avuto questa accelerazione monocratica? “L’uomo solo al comando”, in questa pandemia come nel Giro del 1949, è tipicamente italiano?

Come dicevamo, polemiche e tensioni ci sono state in molti paesi. La tendenza verso gli esecutivi è universale, da anni. Ma da noi il fenomeno è vistoso. Lo giustifica solo in parte la necessità di decisioni rapide e, fattore da non sottovalutare, la forte impronta tecnica di queste decisioni. Quando OMS, comitati scientifici, virologi suggeriscono le soluzioni sulla base di dati e valutazioni di merito, gli spazi per la discussione e la discrezionalità, cioè gli spazi tipici della democrazia parlamentare, sono destinati a ridursi drasticamente. Forse non poteva che essere così.

Altri interessi

Ma ora le cose cambiano. Gli interessi economici e sociali riprendono quota rispetto alla pura valutazione emergenziale sanitaria. Ci sono molte più discrezionalità quando si tratta di valutare come riaprire, se farlo su base nazionale o regionale, con quali priorità, persino se debba o no corrersi qualche rischio per far ripartire anche l’industria del calcio.

Su questo, al netto della esigenza di basarsi su dati oggettivi, i processi di concertazione e di compromesso politico ritornano a diventare centrali. Tanto che l’interlocutore sia Confindustria, il Sindacato, il mondo delle piccole imprese, la CEI, il mondo della cultura o la Federcalcio. E il Parlamento dovrebbe essere un luogo preposto a questi processi. Lo è stato storicamente. È nato così e per questo, per rappresentare i settori sociali e farli partecipare alla decisione politica.

Si deve quindi sottolineare che la crisi del nostro parlamentarismo è precedente al Covid-19, e non passerà ragionevolmente col passare della fase emergenziale. Le opposizioni attribuiscono il deficit democratico alla figura di Conte e per questo iniziano ad alzare il tiro sul Governo. Per la verità, anche settori della maggioranza lo fanno (il pensiero va a Renzi), probabilmente perché non disinteressati rispetto a un diverso equilibrio, a un cambio di maggioranza o soprattutto di guida del governo.

Ma anche le forze politiche centrali della maggioranza (PD e M5S) hanno mandato segnali verso Conte, per voce di rappresentanti solitamente molto misurati e responsabili, come nei giorni scorsi ha fatto Graziano Delrio.

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Conte poteva fare di più in questo senso, sicuramente. Ma il crinale su cui si trova ad agire è antiparlamentare, da molti anni. A riprova: nessun calo di popolarità per questo atteggiamento, anzi. A lui, dunque, la responsabilità di non aver contrastato a sufficienza la tendenza: ma il crinale è quello.

La lunga stagione della debolezza parlamentare

Quello di un Parlamento sempre più compresso nelle discussioni di bilancio, sommerso da voti di fiducia, spesso abbinati al ricorso ai decreti legge. Un Parlamento debole anche per un sistema elettorale che, almeno dalla metà degli anni 2000, lo ha isolato dal Paese e da un reale radicamento della classe dirigente nazionale sui territori.

Detto malamente, non sempre si ha l’impressione che il meccanismo di selezione porti in Parlamento il meglio del Paese, forse nemmeno il meglio della classe politica. E tutto questo alla lunga ha un prezzo.

Dunque, il Covid-19 ha evidenziato una malattia pregressa del nostro sistema parlamentare. Difficile dire se questo sia il tempo giusto per affrontare le necessarie, mai completate, riforme. Probabilmente no. Ma senza una presa di coscienza di questa china, il fenomeno è destinato ad accentuarsi. Giusto richiamare Conte, ma non sufficiente.

Serve uno scatto di tutto il sistema politico, maggioranza e opposizioni, per non limitarsi più a denunciare, magari polemicamente, il sintomo, e provare seriamente a dare il meglio di sé per affrontare la malattia soggiacente. Che, in fondo, è quella di un Paese che si identifica sempre meno nei suoi organi politici collegiali. E sempre più può essere attratto dall’epica dell’uomo solo al comando.

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3 Commenti

  1. Alberto Cirelli 24 maggio 2020
  2. Carlo Bruzzi 24 maggio 2020
  3. Giampaolo Centofanti blog 22 maggio 2020

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