Al di là della raffigurazione geometrica – e perciò fredda, statica e un po’ arbitraria – dei requisiti e degli obiettivi del buon governo, è necessario spostare l’attenzione su un altro fattore, fondamentale, dell’azione politica. Meridiani e paralleli servono infatti a dare riferimenti spazio-temporali ad un movimento umano che concerne la rotta che si sceglie di seguire.
L’energia solidale
Si può chiamare in vari modi: passione politica o ideologia, o “visione”, tutti indicatori di un finalismo più o meno definito in funzione del quale si mette in azione la forza motrice delle volontà collettive, necessaria per realizzare il disegno in un tempo dato. È evidente che qui siamo fuori dallo schema matematico e ci inoltriamo nel campo dell’intuizione, là dove, secondo il Pascal dell’esprit de finesse, ci si avvicina al “dover essere” dell’esistenza umana.
Nella nostra Costituzione questa spinta propulsiva, o forza d’impulso, volta a tradurre in realtà storica i modelli elaborati dal pensiero, può essere individuata in una “energia solidale” che avvolge l’insieme dei fattori politici e li orienta verso una finalità di bene comune.
Vocazione umanistica
Se ne parla poco, anche perché si dà per scontata la sua esistenza, ma si tratta di una dimensione decisiva. Oltre a conferire un significato etico all’agire politico, la dimensione solidale ne qualifica la vocazione umanistica che respinge l’approccio totalitario o paternalistico o semplicemente autoritario. Non coltiva sudditi obbedienti ma cittadini pensanti.
Ora questa energia solidale non viene fornita in misura costante. Vi sono intermittenze, alti e bassi nell’erogazione, corrispondenti a diversi periodi storici e a situazioni peculiari.
Diritti, doveri e tensione all’uguaglianza
Fondamentale è l’enunciato dell’art. 2 della Costituzione: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia singolo che nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica , economica e sociale».
Altrettanto impegnativo è il secondo comma dell’art. 3: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
La prova della penuria
Quale sia lo stato dell’arte nel campo della solidarietà nella sua esplicazione tendenziale verso l’uguaglianza è un’indagine difficile e rischiosa. I fenomeni sociali sono sempre gomitoli aggrovigliati nei quali è arduo individuare il filo che rivela la tendenza.
Si può solo constatare una variabilità di atteggiamenti non tutti riconducibili a situazioni oggettive.
All’inizio degli anni ’70, l’esplosione della crisi petrolifera impose alcune “novità” che contrastavano le abitudini dei miracolosi anni ’60. Si parlò persino di mobilitazione delle energie sacrificali e si auspicò un ritorno all’economia di guerra.
L’austerità rifiutata
Le “domeniche a piedi” ne furono l’esperienza più pittoresca per via della riabilitazione di mezzi di trasporto diversi dalle automobili, come i calessini e persino le diligenze trainate dai cavalli. Ma le limitazioni erano tante e di diverso impatto, a partire dalla riduzione dell’illuminazione delle strade. E, all’insieme delle misure adottate, si dava senza disagio il nome di “austerità”.
Ma, sul finire degli anni ’80, quando il segretario comunista Berlinguer propose di instaurare un regime di austerità per affrontare e risolvere la crisi economica e promuovere un nuovo modello di sviluppo, la risposta dell’opinione pubblica e del ceto politico fu una chiassosa ripulsa. L’austerità non mobilita le masse, si affermò con asprezza, e a Berlinguer toccò di essere effigiato in pantofole.
Le regole cambiate
Alti e bassi, si diceva. Corrente alternata. Ma complessivamente quale è stata la tendenza? Ultimamente il premio Nobel, Joseph Stigliz, noto come scienziato non meno che come alfiere della finanza, ha constatato che «le regole del gioco sono state cambiate a vantaggio di quelli in alto e a svantaggio di quelli in basso, aumentando la disuguaglianza».
Parrebbe questo il tema da svolgere, ma non si vedono all’orizzonte iniziative organiche adatte a ridurre i dislivelli che il cambio delle regole del gioco ha provocato. Irriducibilità del sistema o carenza conclamata di energia solidale?
La risposta coinvolge entrambi gli aspetti. Il meccanismo capitalistico, dopo aver sbaragliato il comunismo reale, si è orientato a compiere scelte che, assecondando la rivoluzione tecnologica, hanno dato luogo ad un attacco frontale alle strutture e alle forze che, in Occidente, hanno caratterizzato il così detto “compromesso socialdemocratico”, a partire dal welfare.
La competizione delle promesse
Questo attacco – che è ancora in corso – ha già prodotto più di una divisione nel campo delle sensibilità sociali. C’è chi pensa di riattivare un “rosso antico” denso di ideologia alternativa e chi spera in una presa di coscienza comune per un nuovo intreccio delle compatibilità. Con un quadro che comunque risulta più complicato per effetto della… conversione capitalistica dei regimi di Russia e di Cina, quest’ultimo ancora rigorosamente agganciato all’impianto comunista.
Tracce delle divisioni si notano anche nell’area politica più motivata sui temi dell’uguaglianza. In Italia, ad esempio, coloro che hanno abbandonato il Pd gli rimproverano, sostanzialmente, di aver compiuto scelte proprie del campo avverso. Ma, in generale, l’insieme dei soggetti politici sembra attestarsi più che attorno a un grumo di valori da affermare, attorno ad un metodo “pubblicitario” da accreditare, nel quale si consuma una competizione “al maggiore offerente” di promesse e ammiccamenti vari.
Quantità e volumi
Nei remoti anni ’60, alcuni studiosi dimostrarono che, tra i programmi elettorali dei partiti dell’epoca, c’erano più convergenze che divergenze; e allora c’erano ideologie ostinate e divisive. Oggi il quadro è cambiato: tutti si muovono nell’orbita del realismo della concretezza; e, non sussistendo più differenze di qualità, si punta tutto sul gioco delle quantità e dei volumi.
Fantasia al ribasso
Gli opinionisti fanno bene ad ironizzare sul fenomeno. C’è la tendenza generale all’abbattimento delle tasse, più misurata nel Pd, più semplificata nel centrodestra che inalbera il vessillo della flat tax al 15% o al 25%, fate voi.
E anche un compassato Pietro Grasso, che alla riduzione generalizzata è contrario, brucia il suo granello d’incenso all’accesso gratuito all’università
A sua volta Renzi si smarca con la trovata di cancellare del tutto il canone Rai, appena dopo averlo messo in bolletta, mentre il Movimento 5Stelle, oltre ad insistere sul suo “reddito di cittadinanza”, si espone su un’idea di ridurre in 10 anni di 40 punti il rapporto tra debito e Pil.
Un fondo condiviso di menzogna
Ma Berlusconi non si fa strappare il servizio: lui opera a quota mille. Il suo reddito di dignità a 1000 euro è più pesante di quello di Di Maio, che si ferma a 780; e pure a 1000 euro posta l’asticella delle pensioni minime. E poi la consueta inondazione di misure “dedicate” come l’abolizione delle tasse automobilistiche e le provvidenze per gli animali di compagnia.
E le coperture? I soldi si trovano, rispondono in coro i protagonisti della saga elettorale inimitabili nella disinvoltura con cui piegano le quattro operazioni alle esigenze della propria propaganda.
L’andamento di questa spregiudicata corsa al rialzo, nella quale la non partecipazione del Presidente del Consiglio sembra offrire una insperata sponda di saggezza, impone di ritornare al punto del “non mentire”, lasciato in sospeso nel precedente articolo.
Ora, in tanto mulinare di promesse, si cela un fondo condiviso di menzogna ed è dunque in nome di un cumulo di bugie che si chiede il consenso degli elettori.
Chi sa mentire meglio?
I cultori della materia possono evocare, al riguardo, un quesito che appassionò l’autore dei Viaggi di Gulliver, Jonathan Swift, mentre si accingeva a scrivere su L’arte della menzogna in politica. Il quesito era «se una menzogna sia contraddetta meglio dalla verità o da un’altra menzogna». E la risposta dell’autore era che «il modo più appropriato per contraddire una menzogna è un’altra menzogna», magari più grossa della precedente.
«Chi sa mentire meglio, i Tories o i Vhigs?» si domandava il nostro autore. E noi oggi come potremmo fargli eco? Tra i concorrenti ci sono professionisti patentati (una nota biografia di Berlusconi si intitola Il venditore) e dilettanti allo sbaraglio che si autodispensano da ogni saggia ricerca, e anche esseri – come dire? – refrattari alla materia, che però si sforzano di non rimanere indietro. Ma allora come scegliere?
Diamoci un taglio
Una modesta proposta sarebbe quella di sottoporre ogni cifra connessa ad una promessa ad un taglio lineare consistente, almeno sopra il 20%.
Un’altra suggestione, visto che è chiamato in causa, viene da un pensiero dello stesso Swift: «Un uomo non dovrebbe mai vergognarsi di confessare di aver avuto torto, che poi è come dire, in altre parole, che oggi è più saggio di quanto fosse ieri».
Ma, siccome non è il caso di immaginare che a cambiare siano i protagonisti della competizione in corso, pare più saggio confidare in un sussulto di saggezza del corpo elettorale. Che eserciti senza ritegno il suo “diritto al dubbio”, dichiari senza reticenza la propria incredulità davanti al quadro delle promesse farlocche e faccia capire che la conseguenza sarà la negazione del consenso.
Non sarà la piena rivincita della verità, ma si potrà evitare il trionfo delle bugie.
Vedi anche:
Verso il 4 marzo /1 Una pagina bianca ma non vuota.
Verso il 4 marzo /2 Una mappa… cartesiana per aiutare le scelte.