Verso elezioni “di pancia”?

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Populismo

L’offensiva populista si sta materializzando in diversi paesi, Italia compresa.

Roma,15 marzo 2016

Elezioni di pancia: pare questa l’icona più appropriata di questa stagione politica. È la “pancia” in senso figurato – cioè l’umor nero per l’incombere di un nemico indistinto – a guidare i flussi elettorali in Germania, a spese di “mamma Merkel”; è ancora la “pancia”, nella medesima accezione, a reggere la violenta campagna di Donald Trump nelle primarie americane. E per l’Italia – dettaglio sgradevole – alla “pancia”, nel senso proprio di “gravidanza”, si è fatto ricorso per invitare una concorrente a “fare la mamma” anziché candidarsi a sindaco di Roma.

Fuor di metafora, l’offensiva populista, che è anche xenofoba, isolazionista e spesso razzista, si è materializzata in modo allarmante in Germania e si profila come una seria minaccia negli Stati Uniti. E non sembra che le forze chiamate a contrastarla espongano risorse strategiche adeguate, impegnate come sono spesso a lacerarsi su questioni oggettivamente minori che comunque sottraggono energie all’impegno principale del momento.

L’identità tra ideologia e storia

Per restare in Italia si prenda, ad esempio il dibattito interno al Pd, il partito guida del governo, dove il leader emerge non tanto perché conduce il convoglio quanto perché attrae su di sé l’intero carico del dissenso, del malumore e del mugugno. E non fa nulla per evitarlo quando offre a tutti l’occasione di eliminarlo con una sola puntata, quella del referendum istituzionale dell’autunno, sito si convergenza del dissenso parlamentare, di quello sociale e anche quello della rappresaglia “cattolica” annunciata da Gandolfini.

Ora, con la riunione della minoranza Pd, svoltasi a Perugia, prende avvio – come lo chiamano – un “percorso” di costruzione di una alternativa che mira a sostituire Renzi alla guida del partito al prossimo congresso. Battaglia interna, dunque, con esclusione delle pulsioni separatiste pure adombrate da alcuni negli ultimi tempi. E con una accentuazione sulla salvaguardia dell’identità del partito che sarebbe contaminata dalla disinvolta acquisizione di supporti parlamentari “altri”, personificati in Verdini.

Tutto quello che aiuta ad andare oltre le operazioni di corto respiro giova alla qualità della politica. Occorre, però, una visione che oggi manca. Lo stesso tema dell’identità può risultare fuorviante. La sinistra italiana ha cominciato ad aprirsi verso mondi ad essa estranei già nell’immediato dopoguerra con i discorsi di Togliatti rivolti ai ceti medi e ai cattolici. È vero che allora si pensava che, su una platea sociale assai eterogenea, avrebbe potuto esercitarsi un’egemonia della classe operaia mediata dal Partito Comunista. Il cui elettorato, già dalla metà del Novecento, rivelava una composizione “interclassista” paragonabile a quella della Dc, mentre il suo gruppo dirigente sempre più veniva estratto dalle esperienze di “buon governo” delle amministrazioni locali.

Va poi tenuto conto del fatto che, con l’avvento di Berlusconi e con la corrispondente nascita dell’Ulivo, in Italia si è consolidato un bipolarismo elettorale che ora, con l’Italicum, si avvicina ad un vero e proprio bipartitismo. E qui è necessario indagare se e quanto sia possibile, in un sistema siffatto, perseguire la conquista della maggioranza mediante un partito che intenda mantenere una qualificazione ideologica rigorosa, ciò che, naturalmente, porta alla selezione del consenso e quindi alla frustrazione della “vocazione maggioritaria”.

Tra Atene, Sparta e Corinto

D’altra parte, diventare “partito di governo” espone a seri rischi, a partire dall’ossessione per la conservazione del potere. Averne coscienza è importante anche per una minoranza che rifugga dalla segmentazione settaria, cattiva sempiterna abitudine delle sinistre. Sarebbe bello invece che il Pd nel suo complesso – e in esso le componenti più sensibili – riuscisse a svolgere il tema dell’aggiornamento storico della propria strategia anziché isterilirsi negli scontri tra vecchi “rottami” e presunte nuove speranze, tutte da mettere alla prova.

Ed è anche necessario e utile al paese che ciò avvenga, viste le condizioni degli altri attori in campo. Né la destra sempre più… plurale – leggi “frantumata” –, né un “cinquestelle” sempre più pasticciato e arroccato offrono approdi credibili che non siano, anche da noi, quelli dell’appagamento semplificato delle istanze della “pancia”.

La scelta dei candidati per le amministrative di primavera ha rivelato debolezze clamorose. A destra, dietro la facciata della contesa per il candidato sindaco di Roma, culminata con le “gazebarie” pro Bertolaso (!) si è consumata una rissa cruenta per la supremazia tra un Berlusconi, ostinato nel ritardare il proprio tramonto, e un Salvini impaziente di mettere in moto le sue ruspe.

Quanto al movimento di Grillo, la ricerca dei candidati attraverso la “rete” ha prodotto risultati tanto gracili quanto problematici, confermando che “il Pericle elettronico” – insegna della democrazia informatica – si presta a operazioni tutt’altro che rassicuranti.

Allo stesso modo delle “primarie” del Pd (vedi Napoli e, in parte, Roma) quando, sulla difficile ricerca del meglio, prevale nei ceti dirigenti la paura di perdere piccole o grandi rendite di ruolo. Come dire che, se Atene piange e Sparta non ride, neppure… Corinto ha di che rallegrarsi.

 

 

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